martedì 6 agosto 2024

PER QUAL FINE DIO CI HA CREATI? Dio ci ha creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita e goderlo poi nell'altra in Paradiso.

 


SPIEGAZIONE TEOLOGICA DEL CATECHISMO DI S. S. PIO X


Nella risposta che Gesù Cristo diede a un dottore della legge (cfr. Mc. 12, 28-32), è indicato chiaramente il fine per cui l'uomo è creato: Amare Dio sopra tutte le cose, in modo che a Lui siano indirizzati tutti i pensieri della mente, tutti gli affetti del cuore e tutte le azioni.  

 I. Dio ci ha creati per conoscerlo. - Dio creando le cose ha assegnato ad ognuna un fine particolare (cfr. n. 12): tendendo al loro fine particolare le creature raggiungono anche il fine ultimo, cioè la gloria di Dio, per la quale sono state create. 

Anche l'uomo è stato creato per dare gloria a Dio. Raggiungendo il fine generale della gloria di Dio, l'uomo consegue anche il suo fine particolare, la felicità eterna.  

 Dio non solo assegna all'uomo il fine da raggiungere, ma gli dà anche i mezzi adatti.  

 Il primo di questi mezzi è l'intelligenza, con la quale possiamo conoscere Dio Creatore e Signore. Con il lume dell'intelligenza o ragione naturale possiamo ammirare le perfezioni del mondo creato, adorare in esso l'impronta della sapienza, della bontà e della giustizia infinita di Dio, che risplendono di fulgore inestinguibile nel mondo fisico e morale. Dalla conoscenza delle creature dobbiamo ascendere alla conoscenza del Creatore.  

 Al lume naturale della ragione si aggiunge il lume della fede, per conoscere Dio che si è manifestato nella rivelazione. Conoscere Dio con la scienza e con la fede: ecco il primo dovere, il primo e sommo onore, la prima e somma felicità dell'uomo. Conoscerlo con la scienza e con la fede nelle tenebre di questa vita, per contemplarlo poi senza veli nel lume di gloria, che ce lo farà vedere faccia a faccia, nella vita eterna: ecco il nostro destino.  

 II. ... amarlo.  

 Mentre (Gesù) così parlava, una donna alzò la voce tra la folla e disse: «Beato il seno che ti ha portato e il petto che ti ha nutrito!» «Anzi - riprese Gesù - beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 9, 27-29).  

 Quella donna era così entusiasta della dottrina del Maestro, da uscire in quel grido di ammirazione, giunto, attraverso le pagine del Vangelo, fino a noi, che lo ripetiamo riverenti e pieni di amore. La conoscenza aveva suscitato l'entusiasmo e l'amore verso Gesù.  

 Dio ci ha creati perché conoscendo Lui e le sue perfezioni (bontà, santità, sapienza, giustizia, bellezza, potenza ...) lo amiamo; ci ha dato la regola, secondo la quale dobbiamo amarlo, la sua legge riassunta nei dieci Comandamenti; ci ha dato la volontà libera perché osserviamo la sua legge e gli dimostriamo con i fatti, e non solo con le parole, che noi veramente lo amiamo. La prova dell'amore sono i fatti. Chiarissima a questo riguardo è la parola infallibile della Sapienza incarnata: Non tutti quelli che mi dicono; «Signore! Signore!» entreranno nel regno dei cieli; ma chi fa la volontà del Padre mio, che è nei cieli (Mt 7,21).  

 III... e, servirlo in questa vita. - Amare Dio significa non solo volergli bene con le parole, ma dargli prova di amore con le opere, servendolo: Osservare la legge di Dio, osservarla per amore, osservarla nell'Amore e nella grazia dello Spirito Santo, significa servire Dio. Servirlo non secondo i nostri gusti, servirlo non finché ci fa comodo, o non c'incomoda troppo, ma servirlo nella dedizione più assoluta alla sua volontà, nella conformità più piena al suo divino beneplacito, significa vivere pienamente secondo le parole di Gesù: Padre non la mia volontà sia fatta, ma la tua (Lc, 22, 42). Servire Dio altro non significa che amarlo compiendo la sua adorabile volontà, quale ci è manifestata dalla sua legge, che conosciamo con l'intelligenza nel lume della fede.  

 IV .... e goderlo poi nell'altra in Paradiso. - Chi avrà servito Dio in questa vita, con fedeltà e con amore, avrà il premio. E il premio sarà la visione e il possesso di Dio stesso in Paradiso, visione e possesso, che faranno l'uomo pienamente beato, nel godimento senza fine della più piena felicità. Gesù per far comprendere questa verità raccontò la parabola dei talenti (v. n. 97, I). Al servo che aveva ricevuto cinque talenti e al rendiconto ne consegnava dieci il padrone disse: Servo buono e fedele, poiché sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; entra nella gioia del tuo Signore. Il servo, che aveva ricevuto due talenti e che ne consegnò quattro, ebbe la stessa lode e la stessa ricompensa. Solo il servo infingardo, che aveva sotterrato l'unico talento ricevuto ed ebbe la sfrontatezza di consegnarlo nudo e di dire che non aveva trafficato la somma per il timore di perderla e di incorrere nello sdegno del padrone, ebbe un severo castigo (Mt. 25, 14-31).  

 Riflessione. - Il buon cristiano ha sempre presente lo scopo per cui Dio l'ha creato: conoscerLo, amarLo, servirLo in questa vita, per goderLo poi nell'altra in cielo. La considerazione di queste verità è efficacissima per tenerci lontani dal peccato, per invogliarci a servire fedelmente Iddio e per infonderci forza e coraggio a superare gli ostacoli e le difficoltà che si oppongono.  

 ESEMPI. - 1. Perché la vita? - Un missionario domandò ad un cinese: «Perché sei al mondo?» - «Per mangiar riso!» rispose il poveretto. Quanti cristiani, se fosse loro rivolta la stessa domanda, per essere sinceri dovrebbero dare la stessa risposta!  

Quanti vivono come se non dovessero mai morire! Come se fossero in questo mondo solo per mangiare, bere e divertirsi!  

 2. Pane e Paradiso. - S. Filippo domandò ad alcuni operai perché lavorassero. «Per guadagnarci il pane e mantenere la famiglia» fu la risposta. «Sta bene lavorare per mantenere la famiglia, ma bisogna anche lavorare per guadagnare il Paradiso: pane e Paradiso, se no, voi perdete il frutto principale delle vostre fatiche».  

 3. S. Francesco Saverio. - Il nobile spagnuolo Francesco Saverio studiava con ardore all'Università di Parigi: l'acume d'ingegno e la forza di volontà gli facevano sperare un brillantissimo avvenire. A Parigi Francesco conobbe Sant'Ignazio di Loyola, che, entrato nella sua intimità, dopo aver ascoltato i progetti ambiziosi dell'amico poneva invariabilmente la sconcertante domanda: «Quid prodest? Che ti giova?» Col passar del tempo, il giovane fu impressionato da quella domanda. Che cosa gli avrebbe giovato acquistare tutta la scienza, tutti gli onori e tutte le ricchezze che gli prometteva l'avvenire nel mondo, se poi la sua anima ne avesse sofferto danno? Francesco infine si arrese alla grazia, si fece religioso e missionario e divenne un gran santo.  

Sac. C. T. DRAGONE, P. S. S. P.

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