lunedì 8 giugno 2020

L'AMORE DI DÌO PERSEGUITA L'UOMO



VI PRESENTO L'AMORE


Anche se noi possiamo non essere sempre in cerca di Dio, Dio è sempre in cerca di  noi. Anche se l'esperienza e i momenti della vita, valutati in se stessi non si  spiritualizzano, Dio nella sua bontà, può usarli per ritrarci indietro, verso di sè, Ecco  sette maniere con cui Dio amorosamente perseguita l'uomo:


Con il senso di sazietà.

Dio chiama l'anima e la conduce a sè con quel senso del disgusto che tiene dietro a  ogni peccato e con il senso di vuoto che esso produce. Egli così ci richiama per  riempirci della sua grazia.
Un animale cerca il piacere entro i limiti finiti del proprio organismo fisico: l'uomo,  invece, abbisogna d'un piacere che sazi la sete infinita della propria anima.  Nell'uomo, infatti, opera la legge dei cosiddetti ritorni diminuenti: quanto più un  piacere diminuisce, tanto più il suo desiderio cresce. I piaceri cominciano a diventare  esasperanti, perché essi « mentono », cioè perché non danno ciò che promettono.  Tristezza, umor nero, cinismo, ecc. s'impadroniscono dell'anima, accompagnati dalla  stanchezza di vivere.
Questo senso del vuoto può diventare il principio della conversione. Il desiderio della  felicità non può essere falso, ma deve dipendere dal fatto che noi abbiamo cercato la  felicità in oggetti falsi: nelle creature staccate da Dio, invece di cercarla nelle  creature, sotto la legge di Dio. In tal modo, nella stessa confusione e nel disgusto che  tiene dietro al peccato, si nasconde un germe di possibile risveglio spirituale. Quando  un'anima s'accorge mentre opera come una bestia, che potrebbe vivere come un  angelo, è vicina a conoscere se stessa. Il figlio prodigo della parabola (S. Luca, 15),  dopo di essersi nutrito di ghiande, cominciò a sospirare verso il pane della casa  paterna.

Con il valore del sacrificio.

Un'anima che sia sempre indulgente con se stessa, e si circondi con ogni forma di  comodità e di lusso e che faccia uso delle altre persone come di altrettanti strumenti  del suo benessere, qualche volta sente le proprie intime profondità come scosse dal  vedere qualche altro che vive felicemente e in perfetta pace in mezzo alla completa  dimenticanza di sè, tutto occupato a servire gli altri. Allora essa dice:
— Io potrei essere simile a quell'anima; io desidererei diventare felice come quella  persona.
Ecco allora spezzarsi la crosta dell'egoismo e far capolino la bellezza tremenda del  sacrificare sè stesso. Quell'anima allora, per la prima volta, arriva a sperimentare la  sublime verità, contenuta nelle parole dei Maestro: «La via migliore per salvar la propria vita è quella di perderla » (S. Luca, 9, 24). Tale consapevolezza è una grazia  attuale di Dio e se un'anima agisce in corrispondenza di essa, tale consapevolezza  getta una grande luce nell'oscuro involucro dell'anima.

Con il senso del soffrire.

Molti identificano se stessi con l'ambiente. Poiché la vita è buona verso di essi,  credono di essere buoni. Non si soffermano mai a meditare sull'eternità, perché il  tempo è tanto piacevole, Quando poi la sofferenza colpisce, si trovano come  divorziati dal loro ambiente piacevole, lasciati come nudi nella propria anima. Allora  vedono che non erano veramente affabili e simpatici; ma irritabili e impazienti.  Quando il sole della prosperità esterna tramonta, non hanno alcuna luce interna, per  guidare la propria anima ottenebrata.
L'importante in tutto questo, non è ciò che accade a noi, ma è il modo con cui noi vi  reagiamo. Nessuno diventa buono in forza della sola sofferenza. Generalmente anzi  uno scatta e si fa cattivo con la sofferenza. Il senso del vuoto dell'anima che tiene  dietro al distacco violento dall'ambiente piacevole, trascina l'anima entro se stessa, e,  se quell'anima coopera con la grazia in quel momento, può trovare il vero significato  della vita. Sant'Ignazio arrivò a conoscere se stesso, attraverso una ferita riportata in  guerra. Molti non incontrano Cristo Signore nella vita, finché, come il buon ladrone,  lo trovano sulla croce. Nei campi di battaglia, molti trovarono Dio, come l'unico a cui  rivolgersi.

Con il peso dell'età.

Il giovane è pieno di speranze, perché la vita è piena di promesse. Lo studentello che  nei collegi americani prende nome di sophomore (sapiente-folle, appartenente alla  seconda delle quattro classi) pensa che la scienza può prendere il posto di Dio, che il  progresso è necessario, senza che dipenda dalla disciplina, e che il piacere è lo scopo  della vita. Qualche tempo dopo, quando lo studentello ha tralasciato i cosiddetti colli della religione ed è disceso nelle pianure dove dovrebbero realizzarsi le speranze  eterne, comincia a diventare deluso per la monotonia della vita. Arriva un momento  nel quale l'anima comincia a guardare a quei colli della religione, come a una felicità  lasciata indietro. Il volare degli anni lascia l'impressione che suole lasciare un ladro  che è entrato in una casa. All'opera sua si riferiscono certe scomparse che prima non  si avvertivano. L'anima allora si sente come svegliata e grandi possibilità le stanno  davanti. Un poeta così cantò: «Finché il fuoco arde nel focolare, non ci sentiamo  imparentati con le stelle ».

Con l'urto del mondo peccatore.

Tutte le moderne spiegazioni, che si danno per trovare la ragione del male, sono false.  Gli specialisti in biologia vanno dicendo che il male è dovuto a un arresto  nell'evoluzione. Rispondiamo: se il progresso è inevitabile, perché mai in vent'anni  abbiamo avuto due guerre mondiali? A loro volta gli specialisti in sociologia dicono  che il male viene dai sistemi: capitalismo, comunismo, nazismo, fascismo.  Rispondiamo: come ha potuto il mondo accettare cattivi sistemi, se le menti non erano terreno adatto per il loro crescere? Dal momento che il male è tanto universale,  esso si deve attribuire a un crollo della legge morale universale. Il mondo è in  subbuglio, perché sono io personalmente in subbuglio; perché io non ho fatto ciò che  avrei dovuto fare.
Questo precisamente insegna il cristianesimo: Dio discese dal cielo in terra, per  raddrizzare il mondo. Il cristianesimo comincia da una catastrofe. Quando un'anima  comincia a convincersi che il mondo è guasto, perché ha violato la legge morale di  Dio, allora fa i primi passi verso la conversione. Dio e l'anima s'incontrano lungo la  strada d'un mondo spezzato e disordinato. Ecco il profondo significato di Betlemme  (nascita) e del Calvario (morte).

Con mettersi in contatto con la presenza divina.

Un uomo, che non ha mai pensato alla religione, entra in una chiesa cattolica. Benché  egli ignori completamente l'insegnamento cattolico, passa qualche tempo alla  presenza del Sacramento Eucaristico e subito si sente come dominato dalla  sensazione: qui c'è qualche cosa o qualcuno che rende questa chiesa differente dalle  altre. L'anima di questo visitatore occasionale non sa o non crede che Cristo Signore  sia realmente e veramente presente sull'altare di ogni chiesa cattolica; eppure si sente  come costretto a restare in quella misteriosa Presenza. Egli allora rassomiglia ai due  discepoli di Emmaus. Anche la sua anima si accompagna con il Salvatore, senza  conoscerlo. Dopo simili esperienze, il ricercarne le ragioni può condurre alla pienezza  della fede.

Con il peso della tristezza.

— perché amiamo vedere sul palco o sullo schermo avvenimenti dolorosi o tragici  che non vorremmo che toccassero a noi?
— perché il dolore altrui diventa il nostro piacere e le lacrime altrui diventano  nostro godimento?
— perché piangiamo sui fatti fantastici e non piangiamo sopra i fatti reali?
— perché ci piace leggere racconti di assassini, mentre non vorremmo che i nostri  amici fossero assassinati?
— La gente che vive in pace perché gode di vedere discordie inventate?
— perché chi è felice gode di conoscere tragedie inventate?
Ecco l'unica risposta alle domande: il vedere avvenimenti tristi o tragici è come una  rivelazione della tristezza e della tragedia che sta al fondo della nostra anima.  Un'anima che ami Dio e veda le miserie del prossimo, sente il bisogno di alleviarle.  Un'anima che ha abbandonato Dio e vede le miserie del prossimo, sente il bisogno di  piangere sopra di esse, ignorando che in realtà essa piange sopra di sè. Ci  comportiamo come compassionanti, mentre siamo noi oggetto di compassione.
Appena tocchiamo con mano che la nostra tristezza è generata dai nostri peccati,  siamo maturi per la conversione, perché allora intravediamo la forza di quell'invito:  «Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò » (S. Matteo, 11,  28).

FULTON J. SHEEN

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