giovedì 14 gennaio 2021

PIO IX

 


Verso l'unità d'Italia

«Non potrò fare la guerra, se non avrò una giustificazione agli occhi dell'Europa». Sono le prime parole rivolte da Napoleone III a Cavour al momento della conclusione dell'alleanza di Plombières 81. Gli espedienti e le messe in scena di ogni genere, ideati per provocare il casus belli; non furono necessari 82: bastò l'irritazione austriaca per i preparativi di guerra piemontesi. L'ultimatum inviato dall'Austria al Piemonte fu respinto e il 26 aprile 1859 si aprirono le ostilità fra il Regno di Sardegna e la Francia da un lato e l'Austria dall'altro.

Sconfitte il 4 giugno dai francesi a Magenta, il 12 le guarnigioni austriache si ritirarono da Bologna ad Ancona. L'8 giugno, Napoleone III e Vittorio Emanuele entrarono a Milano mentre l'avversario si ritirava nel quadrilatero. Pochi giorni dopo a San Martino fu combattuta l'ultima battaglia dell'esercito di Sua Maestà Sarda, secondo le regole dell'antica etichetta militare 83.

Anche lo stile di guerra del "Vecchio Piemonte" sarebbe presto mutato.

Mentre in Lombardia si iniziava a combattere, gli agenti di Cavour inseriti nella Società Nazionale fomentavano l'esplosione di moti nel granducato di Toscana, nei ducati di Parma e di Modena e nelle Legazioni pontificie. All'indomani della dichiarazione di guerra, il 27 aprile, il Granduca lascia Firenze; la duchessa di Parma abbandona i suoi Stati il 9 giugno; il Duca di Modena l'11 giugno. Il giorno seguente, il 12 giugno, non appena il presidio austriaco ha lasciato la città, si solleva Bologna. Le provincie insorte chiedono l'annessione al Piemonte 84. Non è questa però l'Italia che Napoleone aveva presentato a Plombières. L'imperatore avverte che il processo rivoluzionario innescato da Cavour sfugge al suo controllo e decide di chiudere la partita con l'armistizio di Villafranca dell'8-11 luglio 1859.

 Napoleone e l'imperatore d'Austria stabilirono la creazione di una Confederazione italiana con a capo il Papa, di cui l'Austria, grazie al possesso di Venezia sarebbe stato membro. Il Re di Sardegna avrebbe ottenuto la Lombardia e gli altri sovrani sarebbero stati restaurati sui loro troni. Vittorio Emanuele accettò l'armistizio senza consultare Cavour. Alessandro d'Assia annota nel suo Diario che «viene inoltre stabilito che il Re Vittorio Emanuele deve rompere con la Rivoluzione e congedare Cavour: Napoleone consente» 85. I mesi che seguirono possono essere considerati un vero e proprio tornante nella storia del Risorgimento italiano. Cavour vede negli accordi di Villafranca il fallimento della sua politica. Si precipita dal sovrano con cui ha un colloquio tempestoso. «Si calmi, si calmi - esclama a un certo punto Vittorio Emanuele - si ricordi che io sono il re». «Gli italiani - ribatte paonazzo Cavour - conoscono soprattutto me; io sono il vero re» 86. Costretto alle dimissioni, il conte si ritira in campagna dove legge e annota Il Principe di Machiavelli, mentre Vittorio Emanuele II ha formato un "gabinetto debole" sotto la direzione del generale Alfonso La Marmora.

Il trattato di pace, firmato a Zurigo il 10 novembre 1859, prevede che un congresso europeo avrebbe provveduto alla risoluzione dei problemi italiani. Gli accordi stravolgono i progetti di Cavour, perché stabiliscono la cessione della Lombardia al Regno di Sardegna tramite la Francia, ma non del Veneto che resta austriaco; si prevede inoltre la creazione di una Confederazione italiana sotto la presidenza onoraria del Papa che conserva i propri Stati. La Confederazione oltre al Regno delle Due Sicilie, dovrebbe comprendere il Granducato di Toscana e i ducati di Modena e di Parma che tornano sotto i rispettivi principi 87.

Tutta l'opera di Cavour è tesa a questo punto a rendere di fatto inapplicabili gli accordi di pace. Se Napoleone III spera ancora nella fondazione di un regno dell'Italia settentrionale gravitante nell'orbita francese, il fine di Cavour resta quello dell'unificazione sotto lo scettro dei Savoia attuata attraverso la destabilizzazione dei legittimi sovrani e la distruzione del potere temporale del Pontefice. Le sue manovre non contrastano solo i programmi dell'Austria e della Francia, ma anche quelli della parte più radicale del movimento rivoluzionario, per la quale l'unità e l'indipendenza italiana non sono che un mezzo: il fine resta quello della repubblicanizzazione e dalla laicizzazione della penisola. Non è un caso che le terre da "liberare" siano solo quelle appartenenti allo Stato Pontificio e all' Austria cattolica e conservatrice e non quelle appartenenti alle potenze "liberali", Francia e Inghilterra, che sostengono la Rivoluzione 88.

L'apparizione il 22 dicembre 1859 dell'opuscolo Le Pape et le congrès, redatto dal visconte de La Gueronnière, ma ispirato dallo stesso Napoleone III, che ripropone la mutilazione dello Stato della Chiesa, determina tuttavia la definitiva rottura delle trattative e il fallimento del progetto di congresso internazionale che dovrebbe tenersi a Parigi 89. il 16 gennaio 1860 Vittorio Emanuele riaffida la presidenza del Consiglio a Cavour che ha di fronte a sé gli ultimi diciotto mesi, quelli decisivi, della sua vita. John Daniel, il ministro americano a Torino, lo descrive in quei giorni come un uomo «volterriano in filosofia e totalmente privo di scrupoli anche nelle parole e nelle azioni: un fatto in cui non si deve vedere una colpa, perché diversamente egli sarebbe completamente inidoneo a - e incapace di - governare una popolazione italiana» 90.

Cavour conclude a questo punto con Napoleone III la definitiva cessione alla Francia di Nizza e della Savoia in cambio dell'annessione dell'Italia centrale al Regno di Sardegna 91. L'annessione viene sancita da "plebisciti", l'11 e il 12 marzo 1860 in Emilia, in Toscana, a Modena e Reggio, a Parma e Piacenza. Il voto era pubblico e nessuno si stupì se in certe zone il numero dei suffragi a favore dell'annessione superò quello degli iscritti nelle liste elettorali. Un osservatore inglese seguì le operazioni elettorali a Pisa, e le qualificò un'«assurda farsa». «Ma lo scopo - osserva Mack Smith - non era tanto di accertare la volontà del popolo, quanto di esibire una schiacciante, incontrovertibile maggioranza» 92. «In realtà - osserva a sua volta Montanelli - i sistemi a cui si era dovuti ricorrere dimostravano che le masse italiane, le quali si erano sempre rifiutate di fare l'Italia, trovavano qualche difficoltà perfino ad accettarla» 93.

Il 20 giugno 1859 Pio IX aveva esposto in Concistoro le sue preoccupazioni per vedere «innalzati i vessilli della ribellione, tolto di mezzo illegittimo governo pontificio, invocata la dittatura del Re di Sardegna 94, e aveva chiamato i sovrani europei a difesa del dominio temporale del papato, affermando che «i nemici della Chiesa Romana, qualora questa fosse spogliata del suo patrimonio, potrebbero deprimere e abbattere la dignità e la maestà della Sede Apostolica e del Romano Pontefice, e più liberamente arrecare grandissimo danno e muovere asperrima guerra alla santissima Religione, e abbattere dalle fondamenta questa Religione, se fosse possibile» 95. Il 26 marzo 1860 il Papa lancia la scomunica maggiore contro tutti coloro che, in qualunque modo, abbiano cooperato all'usurpazione dei suoi domini, ribadendo, con la lettera apostolica Cum catholica ecclesia, la necessità del principato civile del pontefice 96. «Vengono meno le parole - afferma - per riprovare un così grande delitto che racchiude in sé molti misfatti di estrema gravità. Viene perpetrato infatti un grave sacrilegio, che comporta nello stesso tempo l'usurpazione degli altrui diritti contro ogni legge umana e divina, il sovvertimento di ogni ragione di giustizia e il pieno sradicamento delle basi di ogni Potere civile e di tutta la Società umana» 97.

Un sacerdote belga generoso e combattivo, Francesco Saverio de Merode 98, già soldato nella guerra di Algeria, nel gennaio 1860 convince Pio IX a chiamare a raccolta i cattolici da tutta Europa per formare un esercito in difesa dello Stato Pontificio. Pio IX, malgrado la resistenza del cardinale Antonelli, nomina mons. de Merode pro­ministro delle Armi, affidandogli l'incarico di organizzare il nuovo esercito. Al suo appello in difesa dello Stato della Chiesa accorrono volontari da tutta Europa. Comandante in capo delle forze pontificie è nominato il generale de La Moricière 99, veterano delle guerre del Nord Africa, che affida al capitano Atanasio de Charette 100 il comando del nuovo battaglione di Tiragliatori franco­belgi che poi assumeranno il nome di "zuavi pontifici" 101.

Il 5 maggio Garibaldi, divenuto maggiore generale dell'esercito sardo, con l'assenso segreto di Vittorio Emanuele e di Cavour si imbarca a Quarto alla testa dei "Mille" per invadere il Regno delle Due Sicilie. Si tratta di un'operazione militare contraria alle norme del diritto internazionale, finanziata e sorretta dal Regno Sardo, dall'Inghilterra e dalla Massoneria internazionale 102, con l'obiettivo di sovvertire le legittime istituzioni di uno Stato sovrano e indipendente.

Le truppe piemontesi dal canto loro, senza dichiarazione di guerra, invadono le Marche e l'Umbria. Il comandante piemontese, Cialdini, emana un proclama in cui definisce l'esercito pontificio una banda di assassini, mercenari e codardi, pur mostrando egli stesso, come ricorda Mack Smith, scarsi scrupoli, quanto all'impiego di mezzi terroristici 103. Il 18 settembre 1860, il generale La Moricière muove verso Ancona e sulle alture di Castelfidardo affronta in campo aperto il nemico. In una dura battaglia il piccolo esercito pontificio è sopraffatto dalla preponderanza militare piemontese. Il colonnello de Pimodan 104 cade alla testa dei suoi soldati che, caricando alla baionetta, costringono i sardi a retrocedere verso le cime del colle. Gli studiosi di storia militare affermano che, grazie all'abilità strategica e al valore dimostrato nella battaglia, i pontifici avrebbero facilmente vinto se avessero meglio sfruttato il successo, senza permettere ai nemici l'afflusso dei rinforzi che avrebbero capovolto la situazione 105. Ancona capitola il giorno 29, dopo un violento bombardamento navale proseguito anche dopo la resa. A sud intanto, attaccato alle spalle e stretto tra due eserciti, il re Francesco II deve ritirarsi su Capua e poi su Gaeta, dopo aver invano tentato di forzare le linee garibaldine sul Volturno. 

Roberto De Mattei


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