Dal giorno 9 fino al giorno 16 febbraio 1815 dice di sé la povera Giovanna Felice: il mio spirito, annientato in se stesso, ricevette da Dio molto lume di propria cognizione, e sopraffatto da santo timore, va domandando al suo Signore se si salverà. Tanto è penetrato e intimorito dalla giustizia di Dio! Piange giorno e notte la sua ingratitudine. «Mio Dio», va frequentemente dicendo, «è possibile che vi sia creatura più maliziosa di me sulla terra, che vi contrasti il conseguire il fine per cui la beneficate? Eppure, chi lo crederebbe? io sono quella ingratissima creatura, che contrasta al Creatore il conseguire il fine per cui tanto mi benefica: qual è di santificare la povera anima mia e renderla perfetta. Quale umiliazione, quale confusione è la mia, mio Dio, degnatevi di usarmi misericordia».
In queste ed in altre maniere andava struggendosi di amore in lacrime e si tratteneva in profonda mestizia; ma, nonostante tutta questa afflizione, il mio spirito conserva una pace, una tranquillità molto grande, perché la propria cognizione non mi toglie una fiducia vivissima nei meriti di Gesù Cristo, sicché questa pena, questa afflizione non la cambierei per qualunque altro bene, tanti sono i buoni effetti che produce in me, compiacendomi in queste stesse pene, per così dare una qualche soddisfazione all’amato Signore mi do volontariamente in preda al dolore e all’afflizione, acciò questa faccia crudo scempio di me e purifichi il mio cuore, acciò possa piacere all’amato Signore.
Il dì 16 febbraio 1815 così racconta di sé la povera Giovanna Felice: nella santa Comunione il mio spirito, sorpreso da dolce riposo, al momento passò da questo stato di afflizione in uno stato di gioia e di contento; quando da lungi vidi apparire l’amato Signore ferito. La povera anima mia, tutta piena di affetto, gli si fece incontro, e con premura e sollecitudine gli disse: «Gesù mio, e chi mai ha così ferito il vostro cuore?».
Il buon Signore, sorridendo e mirando con molta compiacenza la ferita, mi disse: «Tu, mia diletta, tu mi feristi!».
Le sue parole incendiarono il mio cuore di santo amore, e piena di santo affetto gli chiesi in grazia che si fosse degnato di ferire il mio cuore, e ne riportai la certa speranza di ottenerne, a suo tempo, la grazia.
Beata Elisabetta Canori Mora
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