Domanda di Paolino: Quale utilità per uno l’essere sepolto presso la Memoria di un santo?
1. 1. È tanto tempo, o venerando coepiscopo Paolino, che alla tua santità sono in debito di una risposta, da quando mi mandasti quel tuo scritto tramite i messi della nostra religiosissima figlia Flora, e mi chiedevi quale giovamento poteva esserci per uno dal fatto che il suo corpo, dopo la morte, venisse sepolto presso la Memoria di un santo. Era quello che aveva chiesto a te la summenzionata vedova in merito al suo figliolo che era morto in coteste parti e alla quale avevi risposto consolandola e raccontandole della salma del giovane fedele Cinegio, per il quale l’affetto religioso della madre aveva disposto che tutto fosse fatto il meglio possibile, e che venisse tumulato nella basilica del beatissimo confessore Felice. Così hai colto l’occasione che, con gli stessi latori della tua lettera, hai scritto anche a me per coinvolgermi nella medesima questione, chiedendomi che cosa ne pensi io e, da parte tua, manifestando che cosa ne pensi tu. Tu dichiari che non ti sembrano inutili i sentimenti di questi animi religiosi e fedeli che hanno a cuore queste cose per i loro cari. E aggiungi che non può essere senza significato l’antica usanza della Chiesa universale di pregare per i defunti; e che da questa usanza si può dedurre anche che è utile all’uomo, dopo la morte, se la premura affettuosa dei suoi cari nell’inumarne il corpo gli assegna anche un posto che esprima già di per sé il desiderio della protezione dei santi.
Nel comportamento in questa vita si determina ciò che gioverà per l’altra.
1. 2. Però, stando così le cose, tu dici di non capir bene se a questa opinione non contraddica quanto afferma l’Apostolo: Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute mentre era nel corpo, sia in bene sia in male 1. È chiaro che questo detto dell’Apostolo ammonisce che è prima della morte che si deve provvedere a ciò che può essere utile dopo. La questione si risolve così che, vivendo bene quando si vive nel corpo, si raggiunge la possibilità che le suddette cose siano di giovamento quando si sarà morti; e perciò, secondo quello che essi fecero per mezzo del corpo, potranno esser loro di giovamento le cose che devotamente si faranno per loro dopo il tempo del corpo. Quindi ci sono di quelli a cui queste cose non porteranno alcun vantaggio: o che si facciano per coloro che hanno meritato tanto male da non esser degni di avere nessun aiuto, o che si facciano per coloro che hanno meritato tanto bene da non aver bisogno di nessun aiuto. Quindi il modo con cui ciascuno è vissuto mentre era nel corpo fa sì che giovi o non giovi quanto religiosamente si fa per lui quando non sarà più nel corpo. Il merito per cui queste cose potranno giovare, se non si è acquistato in questa vita, invano lo si cercherà dopo questa vita. Ecco perché la Chiesa, o anche il devoto affetto dei propri cari, fa tutto quel che può di bene per i defunti; però ciascuno riceverà la ricompensa delle opere compiute mentre era nel corpo sia in bene che in male, perché il Signore renderà a ciascuno secondo le sue opere. Perché dunque quel che si fa per uno gli possa giovare dopo la vita del corpo dipende da quanto egli ha meritato quando viveva nel corpo. La Chiesa ha l’antica usanza di pregare per i defunti all’interno della Messa.
Sant'Agostino
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