venerdì 8 luglio 2022

I SETTE PRINCIPI DEGLI ANGELI IL RE DEI SERVI DEL CIELO

 


Jehudiel, Uriel, Gabriel, Miguel Rafael, Barachiel, Sealtiel 


"Sesto titolo: 
 Stelle della Buona Beatitudine". 

127. La Sapienza incarnata, che ha voluto onorarsi nell'Apocalisse con il nome di stella del mattino, ha voluto onorare anche in Giobbe i suoi sette degni angeli con il titolo di stelle, che all'alba lodavano e magnificavano le opere del Creatore: "Ubi eras, cu me laudarent astra matutina, & iubilarent omnes filij Dei". Dov'eri, chiese a Giobbe, quando le stelle del mattino mi applaudivano e tutti i figli di Dio mi celebravano? Si trattava di comunicare l'attributo della propria eccellenza ai suoi amici, per renderli, se non uguali a sé, molto simili alle luci delle grandi stelle. Inoltre, era per far conoscere questi principi come i primi tra gli altri Angeli. 
  
128. Tutti gli angeli sono figli di Dio, dice San Gregorio. Tutti lodano e magnificano la grandezza divina, ma i sette sono sorti per primi come stelle del mattino per benedirla con lingue di splendore, e così Clemente Alessandrino li ha chiamati: Primogeniti degli angeli. La versione caldea, invece di "figli di Dio", mette "Acies Angelorum", squadroni di Angeli. E di queste sette Stelle non si ricorda? Li mette in un coro separato come figli maggiori e capitani generali di questi squadroni. 
  
129. Ascoltiamo ora il motivo per cui questi angeli sono chiamati le stelle del mattino. È stata data da San Gregorio (S. Greg. Lib. 28. Moral. Ch. 7), ed è: "Perché Dio li manda nel mondo per risvegliare gli uomini dal letargo in cui vivono, e per scacciare le tenebre che impediscono loro di vedere i rischi della loro vita, e per esortarli a prevedere il resoconto che devono fare di essa al giudice supremo". E per addolcire il loro passo con la speranza di vedere Dio nella patria dei vivi. 

130. Questa grande sentenza ci dà la mano per avvertire i mortali del grande dolore e della tristezza che gli Spiriti Sovrani ricevono quando vedono alcune anime così aggrappate alla terra che, anche quando sono ben disposte a lasciarla per il riposo della gloria, non vogliono lasciarla. E così San Cipriano racconta che un buon vescovo, essendo all'ultimo stadio della malattia in cui si trovava, era in uno stato di grande dolore e tristezza. 
 
Era così afflitto e sconsolato per l'avvicinarsi della morte che chiese a Nostro Signore, con grande fervore, di prolungare ancora la sua vita. Un Angelo gli apparve sotto forma di un giovane bello e splendente, e con voce grave e severa gli disse: "Pati timetis, exire non unltis, quid facial vobis? Da un lato avete paura di soffrire in questa vita, dall'altro temete di uscirne, cosa volete che vi faccia? Gli fece capire che questa ripugnanza a lasciare questo mondo non era gradita a Dio. E San Cipriano lo avverte che queste parole gli furono dette dall'Angelo perché le pubblicasse e le facesse conoscere agli altri, poiché non poteva servire per la sua emendazione, perché poi morì. 
  
131. Questo stesso titolo di Stelle nei sette Principi Angelici è confermato in diversi punti delle Rivelazioni di San Giovanni. Nel primo capitolo dipinge la Maestà di Cristo con insegne di rigore, che si leggono nell'indignazione dei suoi occhi, che pregustano fiamme di fuoco penetrante, e negli acciai della sua spada, che era a due tagli e usciva dalla sua bocca, come un fulmine della sua giustizia per punire l'empietà. In mezzo a questi rigori, per aver dimenticato la clemenza del Redentore, portava nella mano destra, come segno della potenza della sua misericordia, sette stelle o astri gloriosi, che davano singolare smalto e grazia alle opere della sua misericordia. Nel secondo capitolo, scrivendo al vescovo di Efeso, ripete questo stesso blasone, dicendo: "Questo dice colui che ha sette stelle nella mano destra". Nel capitolo successivo, scrivendo al vescovo di Sardi, Cristo mostra l'altezza della sua benevola maestà e potenza, e pone come esordium della lettera queste parole: "Questo dice colui che ha in mano i sette spiriti di Dio e sette stelle". Ai sette Spiriti si accompagnano sempre sette stelle, simbolo di ogni felicità. 

132. Gli espositori parlano di queste sette stelle in senso mitico. Ma Origene, S. Ilario, S. Gregorio Nazianzeno, Maldonatus e altri intendono con essi sette Angeli o Spiriti celesti, seguendo l'interpretazione di S. Giovanni: "Septem stella", dice, "Angeli sunt septem Ecclesiarum". È molto probabile che si tratti dei sette principi protettori e custodi della Chiesa cattolica. Ed è la ragione, perché le stesse che San Giovanni chiama qui sette Stelle, sono quelle che chiama sette Lampade che ardono davanti al Trono e sette Occhi dell'Agnello, e in entrambi i simboli allude alla Profezia di Zaccaria, dove hanno gli stessi titoli, ed entrambi i Profeti dichiarano che sono i sette Spiriti di Dio inviati su tutta la terra. Tutti questi nomi: Stelle, Torce e Occhi, guardano allo stesso oggetto, come ha ben notato Alapide, poiché le stelle sono come torce o lampade, e gli occhi del cielo: "Sicut ergo Angeli ibidem stellis, ita hic lucernas quali oculis comparantur". 
 
  
133. Ora vi chiederete: perché Cristo portava queste Stelle luminose più nella mano destra che nella sinistra? Questo era un sacramento (Sacramentum septem stellarum) del Suo amore e della Sua benevolenza, e una figura in cui si manifestava la Sua inclinazione a fare del bene al mondo per mezzo di questi sette nobilissimi Angeli. Avere una buona stella significa avere la felicità in mano, e averla nella mano destra significa rendere la felicità pura, senza alcuna commistione con le comuni disgrazie, che fanno da contrappeso alle prosperità umane. Tutti vorrebbero che la stella della fortuna nascesse sul suo polo senza caso e senza alcuna commistione con i disordini del mondo, come le stelle nascono su un orizzonte limpido in primavera. Ma questo significa volere che il mondo, così abituato all'incostanza, faccia miracoli producendo fortune di diamante e fortune come la pietra focaia, quando tutti coloro che vivono in esso sono esposti ai suoi alti e bassi. E così Tertulliano diceva: "Che la luce risplende ogni giorno risorta come da un sepolcro, che le tenebre con uguale cambiamento dissipate, ritornano, e che le stelle defunte vivono dopo gli orrori della loro morte". In cui questo profondo Padre ci ha detto che la costanza della felicità e delle fortune degli uomini sulla terra si misura dalla durata delle luci con cui essa è illuminata dal Cielo. 

134. Vedo che in questo mondo la felicità non può vivere in poltrona, e anche i cieli più bassi stanno predicando questa incostanza nei loro continui movimenti. Per questo è necessario cercare la fortuna nel Cielo superiore, che è senza movimento e ha i suoi poli nel centro dell'eternità. Questo è il Cielo Empireo, che San Giovanni ha descritto in forma quadrata, per preservarlo da ogni cambiamento e per fissare nella sua figura l'immagine della perpetuità e il geroglifico della durata. In questo grande cielo la felicità vive nel Trono stesso di Dio, e lì bisogna cercarla alla destra di Cristo, noi che viviamo in questo esilio. In quella mano fatta per il favore e la liberalità ci sono le sette Stelle della fortuna, sempre salde nel credito della Sua Onnipotenza e sempre di bronzo contro il cambiamento dei tempi. Ed è da notare, dice l'Aquila agostiniana della Chiesa: "Che per quanto il mondo possa soffrire di disordine sotto il Cielo della Luna, per quanto gli elementi possano guerreggiare tra loro, e per quanto gli uomini possano rotolare su questo globo con la diversità delle loro fortune, queste Stelle non deviano mai di una virgola dal loro corso, mantengono sempre la stessa rotta e lo stesso ordine nella loro carriera". 
  
135. Vedete qui, o anime generose, un potente argomento per convincerci che il bene che queste sette stelle distribuiscono alla natura è lo stesso che esse distribuiscono alla natura. 
  
Vedete qui, o anime generose, un potente argomento per persuaderci che i beni distribuiti alla natura da questi sette eccellenti Spiriti, portano con sé stabilità e permanenza come attributo dell'eternità, e che per far vivere l'uomo in tutta felicità in questo mare di incostanza del mondo, il mezzo migliore è guardare a queste Stelle per la felicità, ed esaurire tutte le fortune dai loro raggi benigni. Per ottenere il massimo, i Re d'Oriente li condussero al Portan dove Dio rese la grandezza del suo essere, prima inaccessibile, a una stella distinta, che, secondo Teosilato, non era una vera stella ma un Angelo in veste di stella; ed è, secondo l'opinione comune, una delle sette che San Giovanni vide nella mano destra del Signore, perché in esse la felicità è ferma e sicura, come nelle mani di Dio. 

136. Resta anche da esaminare, prima di concludere questo discorso, perché, nel terzo capitolo, San Giovanni ricorda le sette Stelle come distinte dai sette Spiriti con le parole citate: "Colui che tiene in mano i sette Spiriti di Dio e le sette Stelle", sottintendendo che significano personaggi diversi, e che le sette Stelle erano diverse dai sette Spiriti che presiedono il mondo. Per rispondere a questa obiezione, è necessario notare che alcuni antichi Autori intendevano che questi illustri Angeli presiedessero ai sette pianeti, ai loro corsi e alle loro influenze nelle cose sublunari. È credibile che abbiano una sovrintendenza universale, che diriga altri spiriti inferiori ai quali la Provvidenza divina affida il governo immediato di queste stelle. Ma è certo che esse presiedono a quelle persone che agiscono nel mondo come pianeti e grandi stelle, come Monarchi, Principi, Signori, e soprattutto ai Prelati delle Chiese, che sono anch'essi simboleggiati da quelle sette stelle, come risulta dai primi capitoli dell'Apocalisse. E San Giovanni, unendo nel terzo capitolo i sette Spiriti e le sette Stelle, come soggetti distinti, intendeva implicare in questa unione che, finché le sette Stelle, cioè i Principi, i Signori, i Prelati, risplendevano fortunatamente in questo mondo, camminavano in compagnia dei sette Spiriti e li univano al loro seno con affetti nobilissimi. 
  
137. In questa supposizione, è necessario confessare che dipende dalla nostra diligenza vivere in questo mondo con la fortuna delle cure della gloria, e che nel compiacere i sette amici del Signore del cielo consiste nel trovare, non una stella di una sola vita traboccante di felicità, ma sette. Tra gli uomini che aspirano in questo mondo a una fortuna del tutto cieca, i Principi di esso sono le stelle le cui luci sollecitano la loro ambizione di assicurare la felicità umana. Ma le anime nobili, che si rallegrano solo di una fortuna tutta occhi, fanno in modo che le sette Stelle della destra del Signore, con le quali rendono fissa in questa valle di miserie una bella beatitudine, che non produce altro che esultanze di gloria.  Secondo lo stile del secolo, la felicità non è giudicata vera se non è favorita da amici potenti, e per questo Cassiodoro diceva: "Che senza amici ogni pensiero sarebbe tedio, ogni lavoro fatica, ogni terra esilio, e la vita non solo tormento, ma immagine di morte". Mi permetto di aggiungere alla solidità di questa frase, che senza i sette amici del Cielo, ogni pensiero è fatale, ogni lavoro una disgrazia, ogni terra una popolazione di spine, ogni vita una disperazione; e senza la loro compagnia, vivere, una morte con un'anima immortale. 

138. Perciò le anime migliori, che vivono nella regione della luce, abbandonano subito il disincanto e cercano di godere, con una nuova volontà, in una valle ricca di calamità e opulenta di cardi, di una vita tappezzata di gioie e di fiori, rendendo vera la finzione di Luciano (di Samosata) dell'Isola Fantastica, e certa l'abitazione di quest'isola felice, i cui piacevoli giardini sono irrigati dai due fiumi della pace e della gioia. Il modo per raggiungere questo obiettivo è riassunto nel famoso prologo dei Greci, che dice: "Un solo Dio e molti amici", il che significa che un'anima sana e saggia deve fissare i suoi occhi e i suoi affetti su un solo Dio e su molti amici. Si tratta di un Gesù, calamita dei cuori, con le sette Stelle nella mano destra, che annunciano continuamente prosperità e fortuna. Cerchiamoli con cuore sincero e amorevole, certi che faranno risplendere la loro luce favorevole nei nostri cuori. Non chiedo più diligenza nel conquistare la loro volontà di quanta ne chiedano gli uomini del secolo nel sollecitare i piaceri dei principi e dei signori della terra, da cui dipendono. Penso che, trasferendo questa cieca smania in quella regione di luce, troveremo nei sette amici di Dio due grandi felicità difficili da unire, l'una per il tempo, l'altra per l'eternità. Sono pronte a favorirci come quelle Stelle di cui il profeta Baruch dice: "Che hanno dato il loro splendore nelle loro veglie e si sono rallegrate; sono state chiamate e hanno detto: "Eccoci". 


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