1. «Per autorità del Signore nostro Gesù Cristo, dei beati Apostoli Pietro e Paolo e nostra, annunziamo, dichiariamo e definiamo verità rivelata da Dio che l'Immacolata Madre di Dio sempre Vergine Maria, compiuto il corso della vita terrena, fu assunta in anima e corpo nella gloria celeste»: con questa dichiarazione dogmatica Pio XII, nel 1950, definiva espressamente l'Assunzione di Maria, e implicitamente confermava l'infallibilità del Vicario di Cristo quando intende definire solennemente una verità di fede.
La fede nell'Assunzione di Maria è affermata dalla Tradizione (che con la Scrittura è fonte di Rivelazione), e costituisce anche una deduzione di fede fondata sulla visione d'insieme del mistero di Maria.
Maria assunta con Gesù risorto nella gloria conferma la nostra speranza: la nostra sorte finale non è la morte - come afferma un cieco materialismo incapace di cogliere le impronte dello Spirito nel mondo e di fornire delle ragioni di vita - ma una vita luminosa in una condizione «ove non ci sarà più né morte né cordoglio, né gemito né pena», perché pienamente illuminata dalla visione di Dio, in un mondo completamente rigenerato.
A questa speranza sarà partecipe anche il nostro corpo mortale, se quale tempio di Dio sarà da noi custodito nella santità (le scienze moderne mettono maggiormente in luce le possibilità di riconversione della materia).
2. Consacrarsi a Maria significa erompere da una gretta visuale naturalistica e, con la speranza, protendersi verso una vita nuova completamente illuminata dalla presenza purissima dello Spirito di Dio, che ai suoi fedeli offre fin d'ora le primizie simboliche della felicità senza fine, nelle esperienze gioiose della fede cristiana, e particolarmente dell'amore.
Pur assaporando la gioia dei doni presenti di Dio, chi è consacrato a Maria esercita la virtù teologale della speranza, che costituisce l'anima stessa della fede: «la fede si sostanzia di cose sperate» (Eb 11, 1).
La speranza cristiana è inscindibile dalla fede. I primi cristiani avevano il senso dell'attesa del ritorno del Signore, e invocavano Maranathà!, cioè «Vieni, Signore Gesù!».
L'assenza di questa tensione verso i beni celesti comporta un'almeno implicita svalutazione di quanto Gesù ci ha meritato con la sua passione e morte, e fa dimenticare che «le sofferenze di questo tempo non sono proporzionate alla gloria futura che si rivelerà in noi» (Rm 8, 18). L'apostolo Paolo desiderava «sciogliersi dal corpo per essere con Cristo» (Fp 1, 23), poiché aveva sperimentato che «occhio mai vide, né orecchio mai udì, né il cuore dell'uomo ha potuto immaginare quanto Dio ha preparato a coloro che lo amano» (1 Cor 2, 9). E i mistici manifestano la stessa tensione.
3. Il pensiero della morte ci ammonisce sull'ultimo destino dell'uomo: il giudizio di Dio, il purgatorio, il paradiso, ma anche - Dio non voglia! - l'inferno. Non possiamo trascurare questa verità se Gesù ce ne mette in guardia con tanta insistenza!
Docili all'insegnamento della Chiesa ripetiamo ogni giorno: «Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori... nell'ora della nostra morte».
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