( COMPILAZIONE DI ASSISI )
«VENITE A VEDERE UN GHIOTTONE!»
39. Mentre stava riprendendosi da una gravissima malattia, pensandoci su, ebbe la sensazione di aver fruito di un trattamento ricercato durante la degenza. In realtà aveva mangiato ben poco, poiché a causa delle numerose, varie e lunghe infermità, quasi non riusciva ad alimentarsi.
Un giorno dunque si levò non ancora libero dalla febbre quartana, e fece radunare il popolo d’Assisi nella piazza per tenere una predica. Terminata che l’ebbe, ordinò ai presenti di non allontanarsi fintanto che lui non tornasse da loro. Entrato nella chiesa di San Rufino, scese nella cripta insieme con Pietro di Cattanio, che fu il primo ministro generale eletto da lui, e con alcuni altri frati; e comandò a frate Pietro che obbedisse senza contraddire a quanto voleva fosse fatto, o detto di sé. Gli rispose frate Pietro: «Fratello io non posso né debbo volere, in quanto concerne me e te, se non quello che ti piace».
Allora Francesco si tolse la tonaca e ordinò a frate Pietro di trascinarlo così nudo davanti al popolo, con la corda che aveva al collo. Ad un altro frate comandò di prendere una scodella piena di cenere, di salire sul podio dal quale aveva predicato, e di là gettarla e spargerla sulla sua testa. Questo frate però, affranto dalla compassione e dalla pietà, non gli obbedì. Pietro trascinava il Santo conforme al comando ricevuto, ma piangendo ad alta voce assieme agli altri frati.
Quando fu arrivato così nudo davanti al popolo nella piazza dove ebbe predicato, disse: «Voi credete che io sia un sant’uomo, così come credono altri i quali, dietro il mio esempio, lasciano il mondo ed entrano nell’Ordine. Ebbene, confesso a Dio e a voi che durante questa mia infermità, mi sono cibato di carne e di brodo di carne».
Quasi tutti scoppiarono a piangere per pietà e compassione verso di lui, soprattutto perché faceva gran freddo ed era d’inverno, e Francesco non era ancora guarito dalla quartana. E battendosi il petto si accusavano, dicendo: «Questo santo, esponendo il suo corpo al vilipendio, si accusa di essersi curato in una necessità così giusta ed evidente: e noi sappiamo bene la vita ch’egli conduce, poiché, per le eccessive astinenze e austerità cui si abbandona dal giorno della conversione, lo vediamo vivere in un corpo quasi morto. Che faremo noi infelici, che lungo tutta la nostra esistenza siamo vissuti e vogliamo vivere assecondando le voglie e i desideri della carne?».
VERGILIO GAMBOSO
Nessun commento:
Posta un commento