sabato 5 agosto 2023

IL DISCERNIMENTO DEGLI SPIRITI

 


Caratteri dello spirito diabolico circa i moti o atti della volontà, affatto opposti ai caratteri dello spirito di Dio. 


§. I. 

120. Dice S. Lorenzo Giustiniani che molto conferisce al conseguimento dell'eterna salute, non ignorare le astuzie del nemico infernale. Ma bisogna aver lume nella mente per scoprirle. E lo spiega con la parità di un cieco che venga a singolar tenzone con un nemico che abbia la luce chiara e viva negli occhi. E come dice egli, può sperare costui di riportare vittoria? Così, come potrà un soldato di Cristo vincere il demonio suo capital nemico che ha cent'occhi per ingannarlo, se il suo divin capitano non gli rischiara la vista interiore della mente, per scoprire i suoi inganni? Anche chi ha buona vista, stenta a schermirsi dalle sue frodi: come dunque potrà difendersene chi non ha luce per rimirarle? (S. Laurent. Justin. de inter. conflict. cap. 11). A fine dunque che il lettore non sbagli nella condotta dei suoi penitenti, se egli è direttore delle anime; e se tale non e, non erri nel proprio regolamento: voglio qui dargli alcuni lumi. per conoscere le arti fraudolenti con cui opera nelle nostre volontà il demonio. Nel passato capitolo diedi alcuni contrassegni delle mozioni divine nelle nostre volontà: nel presente esporrò altri contrassegni affatto contrari per conoscere le mozioni diaboliche nelle stesse volontà. Così gli uni posti al confronto degli altri saranno più discernibili, come il nero posto a fronte del bianco. 


§. II. 

121. Primo carattere dello spirito diabolico circa gli atti della volontà, è, come chiaramente dice il Crisostomo, l'inquietudine, la turbazione, e la torbidezza, affetti diametralmente opposti alla pace, che dona Iddio (S. Io. Crys. Horn. 29.in ep. 1 ad Cor.). Ed in realtà, se egli ci tenta apertamente, sveglia dentro di noi o affetti di odi, di sdegni, di rabbie, d'invidie: passioni tutte torbide ed inquiete; o pure desta nelle anime desideri di piaceri, di diletti, di ricchezze, di onori: cose tutte che allettano con una bella apparenza, ma non possedute ci affliggono, e possedute c'inquietano in mille guise; come appunto le Tose che ci rapiscono con la vista della loro bellezza. ma prese in mano ci pungono con le loro spine. Perciò S. Gregorio spiegando quel detto del santo Giobbe: “Dalle sue narici esce fumo come da caldaia, che bolle sul fuoco” (Gb.41,12): dice, che il demonio con l’alito delle sue suggestioni accende in noi il fuoco degli appetiti che non lasciano mai l'animo quieto (S. Greg. Moral. lib. 33, cap. 28). 

122. Se poi viene il demonio copertamente a tradirci con buoni affetti e con pensieri all'apparenza devoti, benché rechi allora nel principio qualche dilettazione, alla fine lascia sempre l'anima turbata ed inquieta. Anzi dice il P. Alvarez de Paz, con la comune dei santi e dei maestri di spirito, che uno dei segni per conoscere se le apparizioni di Cristo e dei santi siano illusioni diaboliche, è appunto questo: vedere se nel principio recano qualche diletto sensibile, e poi sul fine lasciano l'anima con agitazione, con amarezza, con inquietudine e turbazione (Alvarez de Pas tom. 3, lib. 5, part. 4, cap. 5, industr. 9.). Possono bene applicarsi ai nostri nemici quelle parole del profeta reale: “Più untuosa del burro è la sua bocca, ma nel cuore ha la guerra; più fluide dell'olio le sue parole, ma sono spade sguainate” (Ps. 54, 22): le parole, ed ogni altra illusione dei demoni entrano nelle anime nostre più mollemente dell'olio, ma in realtà sono dardi che finalmente la pungono con mille inquietudini, e la lasciano addolorata e mesta. Si stabilisca dunque sicuramente il direttore questa massima di discrezione, che: spirito il quale inquieta, agita, turba, intorbida e mette l'anima sossopra, è spirito del demonio. 


§. III. 

123. Secondo carattere di spirito diabolico si è o una manifesta superbia, o una falsa umiltà; ma non mai l’umiltà vera che dona Iddio. Se il demonio, dice S. Gregorio, se ne viene senza maschera, essendo padre della superbia, non può suscitare nei nostri cuori altri affetti, che di vanagloria, d'enfiagioni e di compiacenze superbe; né altri desideri può risvegliare in noi, che di onori, di glorie, di posti, di preeminenze e di dignità (S. Gregor. Moral. lib. 34, cap. 18). 

 124. Anzi se mai accade, che il nemico introduca nelle cose spirituali per ingannare qualche persona incauta, subito si fa conoscere per quello che egli è, infondendo spirito di vanità e di gonfiezza, onde quello si empia di vane compiacenze, abbia gli altri in dispregio e sé stesso in molta stima. Se poi gli venga fatto d'instillare nel cuore questo suo spirito perverso, ne entra in pieno possesso, e fa di lui ciò che più gli aggrada. Così insegna Giovanni Gersone, e la esperienza tutto dì lo dimostra (Gerson. in centiloq. de impuls. dec. 9.). Sebbene facendosi il demonio vedere sotto queste sembianze altere e vane, è meno pericoloso; perché è facile raffigurarlo per quel ch'egli è. 

 125. È più da temersi, quando viene mascherato sotto le divise di una falsa umiltà; perché il traditore non essendo allora conosciuto, trova ricetto. Questo accade, quando egli ci suggerisce alla memoria i peccati passati o le imperfezioni presenti, e ci fa vedere la perdizione in cui siamo stati, o il misero stato in cui ancor ci troviamo: ma opera tutto questo con una luce maligna, la quale altro effetto non produce, che sollevare l'anima, metterla tutta in rivolta, riempirla di afflizioni, d'inquietudini, di amarezze, di turbazioni, di sgomento, di pusillanimità, ed alle volte di profonda malinconia. Intanto l'anima incauta non si difende punto da questi pensieri; perché trovandosi con i suoi peccati e mancamenti avanti gli occhi, in un basso concetto di sé, crede di esser piena di umiltà, quando per verità è piena di un veleno d'inferno. Sentiamo su questo proposito Santa Teresa. «La vera umiltà, benché l'anima si conosca per cattiva, e dia pena il vedere quello che siamo considerando le grandezze dei nostri peccati e miserie (tanto grandi come le accennavate, e che con verità si sentono) non però viene con sollevazione; né inquieta l'anima, né l'offusca, né cagiona aridità; anzi la consola ... Duolsi di quanto ha offeso Dio, e dall'altro canto le allarga il cuore la sua misericordia: ha luce per confondere sé stessa, e per lodare la divina maestà, che tanto l'ha sopportata. Ma in quest'altra umiltà che mette il demonio, non v'è luce per alcun bene; pare che Dio ponga tutto a fuoco e sangue... È una invenzione del demonio delle più penose, sottili, e dissimulate, che abbia conosciuto di lui” (Vita di santa Teresa scritta da lei stessa, cap. 30.). 

 126. Si persuada dunque il direttore, che vi sono due umiltà: una santa, che la dona Iddio; l'altra perversa, che la muove il demonio. La prima è piena di luce soprannaturale, per cui conosce l'anima chiaramente le sue colpe e le sue miserie, si confonde internamente e si annichila, ma con quiete; e ne sente pena, ma dolce; e mai non perde la speranza in Dio. E questa, è un balsamo di paradiso. La seconda umiltà è piena d'una luce infernale che fa vedere i peccati, ma con un certo cruccio penoso, con turbamento, con inquietezza, con scoramento e con diffidenza nella bontà di Dio. E questa è un tossico d'inferno, che se non dà morte all’anima, la rende almeno debole, inferma ed inabile ad ogni bene. E qui per maggior chiarezza di questa importante dottrina avverta diligentemente il lettore, che tra l'umiltà divina, e la diabolica passa questa differenza: che quella va unita con la generosità, questa va congiunta con la pusillanimità. La prima, è vero, che umilia, e talvolta annichila l'anima a vista del suo niente e dei suoi peccati; ma nel tempo stesso la solleva con la fiducia in Dio, la conforta, la corrobora; e inoltre è pacifica, è serena, è quieta, è soave: onde non solo spera il perdono delle sue colpe, ma si fa animo a riparare con la penitenza e con le opere buone le sue passate, o presenti cadute; e dallo stesso suo niente prende maggior fiducia per far gran cose in servizio di Dio. La seconda poi con una confusione torbida ed inquieta, con un timore pieno di angustia e di affanno, toglie all'anima ogni speranza, la rende vile e neghittosa, la riempie di diffidenza, di sgomento, di pusillanimità e di scoramento; le toglie insomma tutte le forze spirituali, onde non possa muoversi, o al più si muova con languidezza alle opere virtuose e sante. Se accadrà al direttore trovare in qualche suo penitente questa umiltà perversa (come purtroppo gli accadrà, e non di rado, specialmente nelle donne che sono timide e pusillanimi di lor natura) gli apra gli occhi, gli faccia intendere lo spirito diabolico da cui è dominato, e lo riduca sulla buona strada con i mezzi che ora proporrò.  

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G. BATTISTA SCARAMELLI SERVUS IESUS 

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