La nostra volontà, più guasta dal peccato che tutte le nostre altre facoltà e quindi più imperiosa e arrogante, è sempre pronta a comandare e pochissimo disposta a ubbidire; ci vogliono grandi sforzi ed assidue applicazioni per tenerla soggetta e sottomessa.
Essa ordina ogni cosa senza aspettare gli ordini, la mozione e la direzione nè dello Spirito Santo. nè della carità che sola deve dominare in noi e muoverci soavemente ad assecondare i desiderii di Dio.
La vera e perfetta umiltà interiore consiste dunque nel sottomettere a Dio la nostra volontà nonché la nostra intelligenza, la quale deve tenersi come morta,
in un'attesa fedelissima e docile delle divine impressioni ed illuminazioni che Dio promette ai suoi figli. In tal modo l'anima sarà veramente umile e sarà tale in ispirito e verità; perché
sarà umile effettivamente e con perfetto sacrificio. In questo stato, l'anima riconoscerà di non essere nulla che valga qualche cosa, di non essere capace di operare nella giustizia e nella santità,
protestando che tutto viene da Dio, tutto dipende da Dio, tutto in noi deve essere operato da Dio.
Conoscere che siamo un niente senza valore, che non sappiamo nulla, che non siamo capaci di nulla e compiacerci in questa vista e in questa conoscenza, ecco il primo grado d'umiltà.
Il secondo grado è di amare la propria viltà, la propria abiezione, il proprio nulla, anche nello spirito degli altri tanto come in noi medesimi, vale a dire, compiacerci di assere conosciuti
come vili, come abietti, come cose da nulla, come. peccato, e di essere stimati tali nello spirito degli altri. Infatti, è proprio d'umiltà di far sì che abbiamo amore, gioia e piacere ad essere conosciuti e stimati da tutti per quel che siamo in realtà; se desideriamo di comparire migliori di ciò che siamo, se cerchiamo di scusare i nostri difetti, siamo ipocriti e impostori.
Dal difetto di umiltà nascono la pena, il dispetto e l'affanno che proviamo quando vengono scoperte le nostre imperfezioni. Da qui quell'agitarci e inquietarci penosamente a riguardo della buona riuscita delle nostre opere, volendo acquistarci presso gli altri, col suo spirito di umiltà. Non sapremo sopportare di essere conosciuti
quali siamo in realtà, ossia come niente e peccato, poiché non siamo altri in noi e da noi fama, considerazione e stima. Non saremo dunque mai capaci di soffrire ciò che G. C. vuole operare in noi medesimi? Fuorché il nulla e il peccato, tutto
in noi è cosa di Dio, se pretendiamo attribuircene anche la minima parte, commettiamo un furto a danno di Dio medesiano.
Noi siamo in tal modo un vero niente, che se Dio ad ogni istante non ci comunicasse l'essere, non vi sarebbe più nulla in noi, non vi rimarrebbe che il niente che è
il nostro fondo e che unicamente ci è proprio. Anzi, se v'è in noi qualche cosa nelle nostre facoltà che non sia corrotta dal peccato, ne dobbiamo rendere grazie a Dio che lo ha operato in noi per la sua bontà: a Lui
ne appartiene tutta la gloria.
Si può dire che noi medesimi abbiamo peccato in Adamo perchè abbiamo in certo qual modo consentito con lui al peccato e siamo stati coinvolti nella sua colpa. Adamo, infatti, era il nostro procuratóre e teneva come nelle sue mani tutte le volontà dei suoi discendenti. Dio con grande bontà l'aveva scelto per essere il nostro rappresentante,
corme l'uomo più perfetto al quale potevamo con la massima ragione affidare l'incarico di trattare con Dio in nostra vece ed in nome nostro. Adamo trattava dunque con Dio a nome di tatto il genere umano; in
tal modo la nostra volontà era unita alla sua e consenziente con la sua.
Oltre questa prima colpa che in questo senso può dirsi opera delle nostre mani, colpa che è la causa di tutto quel semenzaio di mali che pullulano in noi ad ogni giorno
ed ogni ora, come pure di quella corruzione che portiamo in noi, che S. Paolo chiama peccato perchè nasce dal peccato, ci porta al peccato e per la quale quindi, siamo peccato; oltre quel primo peccato cui abbiamo
consentito in Adamo, oltre questa perversità che ci porta continuamente al peccato, noi abbiamo pure commesso moltissime colpe che ci rendono orribilmente deformi.
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