martedì 24 novembre 2020

Il ricordo dell'eternità è per se più efficace di quello della morte.

 


TEMPO ED ETERNITÀ 


La gran voce dell’eternità . 

Importerà perciò formarsi un concetto vivo dell'eternità e, fatto ciò, conservarlo continuamente nella memoria, perché sarà da solo più efficace che il ricordo della morte. Sebbene sia importantissimo il ricordo, sia dell'una, sia dell'altra, quello dell'eternità è più generoso, più forte e più fecondo di opere sante. Per mezzo di questo i vergini hanno conservato la loro purezza, gli anacoreti hanno fatto rigorose penitenze ed i martiri hanno sofferto la morte, non indietreggiando per la paura della morte, ma bensì affrontandone tutti i tormenti per il timore santo dell'eternità e per l'amore di Dio. 

I filosofi, sebbene non attendessero all'immortalità dell'altra vita come noi, con la sola memoria della morte, si ritiravano dalla vanità del mondo, disprezzavano le loro grandezze e regolavano la loro vita secondo la ragione e la virtù. Epiteto consigliava di tenere sempre la morte presente al pensiero: In questa maniera, dice, non avrai un pensiero basso, né desidererai nulla con ansia. (Epitect., cap. 28). Platone diceva che uno sarà tanto più sapiente, quanto più vivamente penserà alla morte. Così comandava ai suoi discepoli che camminando andassero sempre a piedi nudi, volendo far intendere con questo che nel cammino di questa vita dobbiamo tenere sempre scoperta la nostra estremità, ossia la fine, cioè la morte (Apud S. Hieronym., cap. 10 in Matth). 

Ma i cristiani che hanno fede nell'altra vita devono aggiungere il ricordo dell'eternità. Per i vantaggi che avrà questo ricordo sopra quello della morte, si potrà vedere la differenza tra l'eternità e le cose temporali. I filosofi erano tanto tocchi dalla morte, perché con essa si dovevano staccare da tutte le cose della vita mortale. Quello infatti è il termine fino al quale gli uomini possono godere delle ricchezze, dei piaceri e degli onori e con esso ha da cessare tutto. Se altri desideravano morire, era perché con la morte dovevano finire tutti i mali. Se quindi tanto spaventa la morte, solo perché toglie i beni della vita — beni che possono mancare già per altre mille maniere e sono passeggeri per sé già prima della morte del loro padrone e sono in se stessi tanto corti, minuti, pericolosi e pieni di preoccupazioni e di ansietà — e se altri attendevano solo perché toglie i mali temporali, pur tanto piccoli, come sono quelli di questo mondo, come non ha da toccarci l'eternità, la quale non  solo ci assicura beni eterni ed immensi, ma ci minaccia pure mali senza fine? 

Senza dubbio, se si forma un concetto esatto dell'eternità, è molto più potente il suo ricordo che quello della morte. Se di questa uomini tanto sapienti ebbero così profondo ricordo e lo consigliarono ad altri, più ancora si deve averlo dell'eternità. Zenone, desiderando conoscere un mezzo efficacissimo per ordinare la sua vita, frenare gli appetiti della carne ed osservare la legge della virtù, consultò in proposito un oracolo, il quale lo rimise col ricordo della morte dicendogli: Va' ai morti e consultali; da essi imparerai come devi ordinare la tua vita. Vedendo che i morti non posseggono più nulla di ciò che avevano e che con la loro vita finirono pure tutte le loro felicità, egli non le avrebbe più stimate, né si sarebbe più insuperbito per esse. 

Per la medesima ragione alcuni filosofi, sia pure esagerando, bevevano e mangiavano nel cranio di uomini morti per ricordarsi sempre che avevano da morire e che non dovevano attaccarsi a questa vita. 

Così pure grandi monarchi si servivano del ricordo della morte come antidoto della loro fortuna, affinché la loro vita non fosse peggiore della loro fortuna. Filippo, re di Macedonia, aveva comandato ad un suo paggio che ogni mattina gli dicesse tre volte: Filippo, sei uomo, ricordandogli così che aveva da morire e da lasciar tutto. E l'imperatore Massimiliano I, quattro anni prima di morire, comandò che gli si facesse la sua cassa da morto, ch'egli portava poi con sé dovunque andava, perché sempre gli rammentasse, nel suo muto linguaggio: Massimiliano, pensa che hai da morire e devi lasciare tutto. Anche gli imperatori d'Oriente, fra altre insegne della loro maestà, portavano nella sinistra un libro dai fogli d'oro, chiamato innocenza, ma tutto lordo di polvere e terra, con cui volevano significare la mortalità umana e  rammentare quell'antica sentenza: Sei polvere ed in polvere ritornerai (Gen.. 3, 19). Questo ricordo della morte in forma di libro era convenientissimo, per far comprendere di quanto insegnamento e dottrina sia il ricordo della morte e che questo solo è una scuola di disinganno. 

Anche i fogli d'oro e l'essere portato nella mano sinistra aveva il suo significato, e voleva dire che, essendo la mano sinistra più vicina al cuore, tenessimo bene scolpito nell'animo nostro quanto sia prezioso questo disinganno. Con ragione poi quel libro si chiama Innocenza, poiché chi oserà peccare, sapendo che ha da morire? Neppure gli imperatori dell'Abissinia si allontanavano da questo uso. Infatti nella loro incoronazione, fra le altre cerimonie, si portavano ad essi un vaso pieno di terra ed il cranio di un morto, avvertendoli, fin dal principio del loro regno, come questo doveva aver fine. Finalmente tutti i filosofi convennero in questo che tutta la loro filosofia era nient'altro che la meditazione della morte. 

P. Gian Eusebio NIEREMBERG S. J. 

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