Simeone aveva predetto che il Divino Infante sarebbe stato una Luce per i Gentili. I quali erano già in cammino. Alla Sua nascita, c'erano stati i Magi, ovvero i dotti dell'Oriente; alla Sua morte, ci sarebbero stati i Greci, ovvero i filosofi dell'Occidente. Il Salmista aveva predetto che i re dell'Oriente sarebbero venuti a rendere omaggio a Emanuele. Seguendo una stella, essi si recarono difatti a Gerusalemme per chiedere ad Erode dove fosse nato il Re.
«Alcuni Magi, venuti dall'Oriente, giunsero a Gerusalemme e chiesero 'Dov'è il nato re dei Giudei? Perché noi abbiam veduto la sua stella in Oriente e siam venuti per adorarlo'» (Matt. 2: 1,2)
Fu una stella a guidarli. Ai Gentili Dio aveva parlato attraverso la natura e i filosofi; agli Ebrei, attraverso le profezie. Il tempo era maturo per la venuta del Messia, e il mondo intero lo sapeva. Sebbene astrologhi, l'esile traccia di verità presente nella scienza loro delle stelle li condusse alla Stella secondo il percorso seguito da Giacobbe, allo stesso modo che più tardi il «Dio Ignoto» degli Ateniesi avrebbe fornito a Paolo l'occasione di predicar loro il Dio che quelli non conoscevano ma vagamente desideravano. Quantunque provenissero da un paese in cui vigeva l'adorazione delle stelle, cessarono dalla pratica di tale religione, in quanto si prosternarono e adorarono Colui che aveva creato le stelle. A compimento delle profezie di Isaia e di Geremia, i Gentili «vennero a Lui dagli estremi limiti della terra». La Stella, ch'era scomparsa mentre essi interrogavano Erode, riapparve, e definitivamente si fermò sopra il luogo ov'era nato il Bambino.
«Vedendo la stella, provarono una grandissima gioia; ed entrati nella casa, trovarono il bambino con Maria, sua madre, e, prosternatisi, l'adorarono. Aperti poi i loro tesori, gli offrirono in dono oro, incenso e mirra» (Matt. 2: 10,11)
E Isaia aveva profetato: «Un'onda di cammelli ti coprirà, i dromedari di Madian e di Efa; verranno tutti quei di Saba recando oro e incenso e annunziando le lodi del Signore» (Isaia 60: 6).
Tre doni recarono: l'oro per onorare la Sua Regalità, l'incenso per onorare la Sua Divinità, e la mirra per onorare la Sua Umanità, ch'era destinata alla morte. Per la Sua sepoltura si adoperò la mirra: la greppia e la Croce sono anche in questo senso congiunte tra loro in quanto in entrambe troviamo la mirra.
Quando i Magi vennero dall'Oriente recando doni per il Bambino, Erode capì ch'era nato il Re chiaramente annunziato dai Giudei, e oscuramente si spaventò delle aspirazioni dei Gentili; sennonché, come tutti gli uomini dotati di sentimenti carnali, mancava di spiritualità, e si reputò quindi certo che quel Re fosse un re politico. E s'informò del luogo in cui Cristo era nato, e i principi dei sacerdoti e i dotti gli risposero: «A Betlemme, in Giudea, perché così è stato scritto dai profeti». Erode disse che avrebbe voluto recarsi ad adorare il Bambino, ma le sue azioni provarono le sue vere intenzioni: «Se questo è il Messia, bisogna che lo uccida». «Erode, vedendo che i Magi si erano presi gioco di lui, montò su tutte le furie e ordinò che in Betlemme e nei dintorni venissero uccisi tutti i bambini maschi» (Matt. 2: 16)
Erode rimarrà nel tempo il prototipo di coloro che indagano sulla religione ma non agiscono mai come dovrebbero in base alla conoscenza che ne ricevono: simili agli annunziatoci dei treni, costoro conoscono tutte le stazioni, ma non viaggiano mai. Di niun valore è il massimo sapere ove non sia accompagnato dalla sottomissione e dalla volontà di operare rettamente.
I totalitari si compiacciono d'affermare che il Cristianesimo è il nemico dello Stato: un eufemismo per dire che ad essi stessi è nemico. Erode fu il primo totalitario a pensarla così: vedeva un nemico in Cristo ancor prima che questi compisse i due anni. Ma poteva mai un Bambino nato in una caverna sotterranea scrollare i potentati e i re? Poteva mai Lui, che nel demos, o popolo che dir si voglia, non aveva ancora un séguito, essere un nemico pericoloso per il demos cratos, cioè per la democrazia, ossia per il governo del popolo? Nessun essere umano in si tenera età avrebbe mai potuto usar simile violenza a uno Stato. Lo zar, per esempio, non paventò Stalin, figlio d'un ciabattino, quando contava due anni: non esiliò il figlio del ciabattino, e la madre sua, per tema che un giorno quegli potesse costituire una minaccia per il mondo. Analogamente, nessuna spada pendette sul capo di Hitler bambino; né il governo cinese agì contro Mao Tse-tung quando questi era ancora in fasce, in quanto non paventò che un giorno costui potesse consegnar la Cina alla falce omicida. Perché dunque si ordinò alle guardie di agire contro quell'Infante? Dev'essere stato certamente per questo, che coloro che posseggono lo spirito del mondo celano un odio istintivo, una istintiva invidia per il Dio che regna sopra i cuori umani. L'odio che alla morte di Cristo il secondo Erode avrebbe dimostrato per Lui aveva avuto il suo prologo nell'odio che il padre suo Erode il Grande, aveva nutrito per Cristo Bambino.
Erode paventava che Colui ch'era venuto a portare una corona celeste potesse rapirgli l'orpello: affermò di voler recar doni, ma il solo dono che voleva recare era la morte. Talvolta i malvagi nascondono i propri iniqui disegni sotto un'apparenza di religione: «Io sono religioso, ma ...» Per due ragioni gli uomini possono indagare su Cristo: o per adorare o per nuocere; e alcuni sarebbero fin disposti a servirsi della religione per tradurre in atto i loro iniqui disegni, al modo stesso che Erode si servi dei Magi. Le domande relative alla religione non producono in tutti i cuori i medesimi risultati. Ciò che gli uomini vogliono sapere circa la Divinità non è mai tanto importante quanto il motivo per cui vogliono saperlo.
Prima che Cristo compisse i due anni, sangue si sparse per cagion Sua: e fu il primo attentato alla Sua vita. Una spada per il Bambino; sassi per l'Uomo; e la Croce finale. Così il Suo popolo stesso Lo accoglieva. Betlemme fu l'alba del Calvario. La legge del sacrificio che si sarebbe avvinghiata intorno a Lui e ai Suoi Apostoli, e a tanti dei Suoi seguaci nei secoli futuri, principiò a operare ghermendo quelle giovani vite che sono così felicemente commemorate nella Festa dei Santi Innocenti. Una croce per Pietro, uno spintone da un pinnacolo per Giacomo, un pugnale per Bartolomeo, una caldaia d'olio bollente seguita da una lunga attesa per Giovanni, una spada per Paolo, e molte spade per i bimbi innocenti di Betlemme. «Il mondo vi odierà,» promise Cristo a tutti coloro che recavano il segno del Suo sigillo. Quegli Innocenti morirono per il Re che non avevano mai conosciuto. Come agnellini, morirono per l'Agnello, prototipi di una lunga processione di màrtiri, quei bambini che non avevano mai lottato e che, nondimeno, sono stati incoronati. All'atto della circoncisione, Egli sparse il Proprio sangue: adesso la Sua venuta annunzia lo spargimento del sangue altrui per cagione Sua. Come la circoncisione era il segno dell'Antica Legge, così la persecuzione sarebbe stata il segno della Nuova Legge. «In mio nome,» Egli disse agli Apostoli, «sarete perseguitati». Tutto intorno a Lui parlava della Sua morte, perché essa era il fine della Sua venuta. La porta stessa che metteva nella stalla in cui Egli era nato fu contrassegnata col sangue, al medesimo modo delle soglie degli Ebrei in Egitto. Per Lui, in occasione della Pasqua, nei secoli trascorsi, avevano sanguinato gli agnelli innocenti; per Lui ora sanguinano, simili ad agnelli umani, i bimbi innocenti senza macchia. Ma Dio avvertì i Magi di non ritornare da Erode.
«Se ne tornarono al loro paese seguendo un'altra via» (Matt. 2: 12)
Nessuno di quelli che con buona volontà si sono recati incontro a Cristo han mai fatto ritorno per la stessa strada percorsa all'andata. Frustrato nel disegno di uccidere il Divino, l'irato tiranno ordinò la strage indiscriminata di tutti i bambini maschi al di sotto dei due anni. C'è più d'un modo per praticare il controllo delle nascite.
Maria era già preparata ad una Croce nel corso della vita del suo Piccino, al contrario di Giuseppe, che, partendo da un grado inferiore di conoscenza, abbisognò della rivelazione d'un angelo, che gli dicesse di condurre in Egitto il Bambino e la madre Sua.
«Lèvati, prendi il bambino e la madre sua e fuggi in Egitto. Ivi ti fermerai finché io non ti avvisi, perché Erode cercherà il bambino per ucciderlo. Giuseppe si alzò e, preso di notte tempo il bambino e la di lui madre, riparò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode» (Matt. 2: 13-15)
All'esilio doveva essere condannato il Salvatore, ché altrimenti gli innumerevoli esuli dai paesi perseguitati mancherebbero di un Dio comprensivo della pena di quanti non hanno tetto e volgono in precipitosa fuga. Con la Sua presenza in Egitto, l'Infante Salvatore consacrò una terra che del popolo Suo stesso era stata la tradizionale nemica, dando in tal modo a sperar bene a quegli altri paesi che più tardi Lo avrebbero scacciato. Si diè quindi un Esodo al rovescio, perché il Divin Bambino fece dell'Egitto la Sua dimora temporanea. Al modo che aveva cantato Miriam, cantava adesso Maria, mentre un secondo Giuseppe vigilava sul Pane di Vita del quale avevano fame i cuori umani. L'assassinio degli innocenti ordinato da Erode rievoca la strage dei fanciulli ebrei ordinata dal Faraone; e ciò che accadde alla morte di Erode rievocò l'Esodo originario. Allorché Erode il Grande venne a morire, un angelo stabili il cammino di Giuseppe, comandandogli di tornare in Galilea; dove quegli andò e prese dimora perché si compisse ciò ch’era stato detto dai profeti: «Egli sarà chiamato Nazareno».
«Quando ebbero adempite le prescrizioni della legge del Signore, se ne tornarono in Galilea, nella loro città di Nazaret» (Luca 2: 39)
Il termine «Nazareno» stava a significare dispregio. Quel villaggetto sito ai piedi dei monti si trovava lontano dalle strade maestre: annidato com' era in una conca collinosa, era tagliato fuori dalle vie percorse dai mercanti greci, dalle legioni romane, dai viaggiatori del bel mondo. Non è neppure menzionato nelle antiche carte geografiche. Meritava quel nome, perché non era che un «rampollo», un germoglio cresciuto sul ceppo d'un albero: alcuni secoli prima, difatti, Isaia aveva predetto che un «ramo», o «germoglio», o «rampollo» sarebbe spuntato dalle radici di quella terra, e che, misero sarebbe parso, e che da molti sarebbe stato disprezzato, e che, tuttavia, infine avrebbe dominato il mondo. Il fatto che Cristo fissasse la Sua residenza in un villaggio tenuto in tanto dispregio stava a prefigurare l'oscurità e l'ignominia che avrebbero poi vessato Lui e i Suoi discepoli: sopra il Suo Capo, sul «segno di contraddizione», sarebbe stata inchiodata la parola «Nazaret», a significare il dileggiante ripudio delle Sue asserzioni. Prima, allorché Filippo aveva detto a Natanaele: «Abbiamo trovato colui di cui scrissero Mosè nella Legge, e i profeti: Gesù, figlio di Giuseppe, da Nazaret» (Giov. 1: 45)
Natanaele aveva ribattuto: «Può mai venir qualcosa di buono da Nazaret? (Giov. 1: 46)
Si crede talvolta che le grandi città racchiudano tutto lo scibile umano, mentre i paesini sono considerati retrogradi e incivili. Cristo scelse per la gloria della Sua nascita l'insignificante Betlemme, per la Sua adolescenza la schernita Nazaret, ma per l'ignominia della Sua morte la gloriosa, cosmopolita Gerusalemme. «Può mai venir qualcosa di buono da Nazaret?» non è che il preludio a «Può mai venire una qualche redenzione da un uomo che muore su una croce?» Nazaret fu per Lui un luogo d'umiliazione, una palestra per il Golgota. Si trovava in Galilea, Nazaret, e la Galilea tutta era una regione spregevole agli occhi del ben più progredito popolo di Giudea. La parlata galilea era considerata aspra e rozza, tanto che quando Pietro rinnegò Nostro Signore la serva gli fece notare che appunto la sua pronunzia lo aveva tradito: sì, egli era stato col Galileo. Nessuno si sarebbe quindi mai sognato di guardare alla Galilea come a una fonte d'insegnamento; eppure, il Galileo era la Luce del Mondo. Perché Dio sceglie quanto v'è di più misero su questa terra per confondere i presuntuosi e gli orgogliosi. Natanaele, pertanto, non fece che esprimere lo stolto pregiudizio, antico quanto il genere umano, che le persone vengono giudicate più o meno capaci d'insegnare alcunché a seconda dei rispettivi luoghi di origine. La sapienza terrena proviene di là dove sempre l'aspettiamo: i successi librari, i «fari di conoscenza», le università; mentre la Sapienza Divina proviene da sorgenti insospettate, che il mondo deride. L'ignominia di Nazaret Lo avrebbe, in séguito, perseguitato, ché i Suoi ascoltatori lo avrebbero così schernito: «Come mai costui sa di lettere se non ha mai studiato?» (Giov. 7: 15)
Il che non significava soltanto la riluttanza a dar credito al Suo sapere, ma anche un modo di farsi beffe del Suo «retrogrado» villaggio ... Com'era infatti possibile ch'Egli sapesse? Non sospettavano, coloro, la verità: cioè che, oltre al sapere proprio al Suo intelletto umano, Egli possedeva una Sapienza che non era di origine scolastica, né didattica, e neppure d'ispirazione divina, nel senso dell'ispirazione divina dei profeti. Dalla madre Sua Egli aveva appreso, e dalla sinagoga del villaggio; ma i segreti del Suo sapere andavano ricercati nell'identità Sua col Padre ch'è nei Cieli.
Venerabile Mons. FULTON J. SHEEN
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