GESÙ MODELLO DI POVERTÀ
Beati i poveri in spirito.
Matteo, V, 3.
I. - Lo spirito, la virtù, la vita di Gesù è spirito, virtù, vita di povertà, e di povertà totale e perpetua.
Il Verbo eterno la sposa a Betlemme; facendosi uomo, incomincia da quello che la povertà ha di più umiliante, l'abitazione degli animali; di più duro, la stalla, la mangiatoia, la paglia, il freddo, la notte; nasce lungi da ogni soccorso, da ogni abitazione umana. Per essere ancora più povero, il Verbo fatto carne nasce durante un viaggio e si vede rifiutata l'ospitalità, a cagione della povertà dei suoi parenti. Quindi va a passare una parte della sua infanzia in Egitto, paese straniero, ostile ai Giudei, ove i suoi parenti sono ancor più poveri e abbandonati, se è possibile.
Fino ai trent'anni vive a Nazaret nell'esercizio della povertà: povero nella dimora, come si vede osservando la Santa Casa di Loreto; povero negli arredi, ridotti allo stretto necessario, semplici come ne dice la scodella della Santissima Vergine che si venera a Loreto; povero negli abiti, la sua tunica, che si vede ancora ai dì nostri, è di grossa lana, come fasce di grossa tela lo avevano avvolto da bambino; povero il suo alimento, frutto del mestiere di falegname, che non può guadagnare che il necessario.
Nella sua condotta Gesù si fa vedere povero: si ritiene come l'ultimo di tutti, e prende sempre per sé l'ultimo posto: rispetta e onora tutti, come fanno i poveri; si tiene in silenzio e ascolta umilmente le istruzioni che si fanno nella sinagoga; non fa sfoggio di sapienza o di scienza straordinaria; in tutto vive della vita comune alle persone della condizione in cui si è posto: ha tutta la forma del povero e come esso passa inosservato e dimenticato.
In tutto quel che fa e si procura, cerca per sé ciò che è più povero. Vedetelo nella vita di evangelizzatore: mantiene il suo vestito di operaio, le sue abitudini di povertà: prega in ginocchio sulla terra nuda, mangia il pane d'orzo dei poveri, vive d'elemosina, viaggia come i poveri, e com'essi soffre la fame e la sete; la sua povertà lo fa disprezzare dai grandi e dai ricchi; ciononostante Egli non esita a dir loro: Guai a voi, o ricchi!
Si elegge discepoli poveri anch'essi e loro vieta di avere due tuniche, provvisioni, danaro, perfino un bastone per difendersi.
Muore spogliato delle proprie vesti; è avvolto in un sudario fornito dalla carità, come il sepolcro che lo accoglie.
Anche dopo la sua risurrezione appare ai suoi apostoli povero, all'esterno, come prima.
Ed ora nel Santissimo Sacramento per amore della povertà nasconde gli splendori della sua divinità e della stessa umanità gloriosa, e per essere più povero e nulla avere di suo, si priva d'ogni libertà e movimento esterno, come di qualsiasi proprietà. Se ne sta nell'Eucaristia, involto e nascosto sotto le sacre specie, aspettando dalla carità degli uomini la materia del suo Sacramento, gli oggetti del suo culto: ecco la povertà di Gesù; l'ha amata e l'ha fatta sua compagna inseparabile.
II. - Perché mai Gesù Cristo ha prescelto questo stato permanente di povertà?
Innanzi tutto perché, figlio di Adamo, ha sposato la condizione della nostra natura esiliata, spogliata dei suoi diritti sulle creature; poi per santificare con la sua povertà tutti gli atti di povertà che si sarebbero fatti nella sua Chiesa.
Si è fatto povero per comunicarci le ricchezze del Cielo, distaccandoci ad un tempo dai beni della terra con la nessuna stima che egli né fa. Si è fatto povero perché la povertà, che è la nostra condizione, la nostra penitenza, il mezzo della nostra riparazione, ci divenga in lui onorabile, desiderabile ed amabile. Si è fatto povero per mostrarci e provarci il suo amore. E resta povero nel Sacramento, non ostante il suo stato glorioso, per essere sempre presso di noi il modello vivente e visibile di questa virtù.
Per tal modo la povertà che in sé stessa non è amabile, essendo punizione e privazione, diventa nobile e piena di attrattive in Gesù Cristo, che ne fa la sua forma di vita, il fondamento evangelico, la prima delle beatitudini, la sua erede privilegiata. E' santa in grazia di Gesù che ne ha fatto la sua grande virtù, e perché ripara la gloria di Dio tolta dal peccato originale e dai nostri peccati personali, e produce la virtù della penitenza per mezzo delle privazioni che impone: è l'occasione della pazienza che è tanto necessaria, corona le nostre opere e le rende perfette; alimenta l'umiltà con le umiliazioni, sue inseparabili compagne: suppone una grande mansuetudine e forza di animo per soffrire a lungo, giacché il soffrire senza consolazione, senza benevolo soccorso, è cosa che va di pari passo con la povertà.
Ora, bisogna che la povertà sia mansueta, perché nulla si da ad un povero insolente; piena di deferenza e di rispetto per coloro da cui attende soccorso; riconoscente, che qui sta la sua forza; bisogna che preghi: la preghiera è la sua vita.
Quanta gloria il povero da a Nostro Signore! E' sempre contento del suo stato, perché Iddio lo ha voluto per lui; si serve di ogni cosa inerente ad esso per farne a Dio un omaggio; ringrazia della gioia come della sofferenza; adora Iddio in tutto, lo ama più di qualsiasi stato e fa sua ricchezza della santa volontà di Lui; si abbandona alla sua paterna provvidenza, sia che si manifesti con la misericordia, la bontà od anche con la giustizia: Getta nel seno del Signore la tua ansietà ed Egli ti sostenterà. Il povero di spirito è nelle mani di Dio.
Oh, com'è dunque bella la povertà, che ci fa amar Dio sopra ogni cosa! E' bella la povertà cristiana, ma più bella la povertà religiosa che onora Dio con il dono di tutto e l'abbandono alla sua bontà in tutte le cose! Il godimento; ha fatto cadere l'uomo, la povertà lo rialza e lo rende beato.
Ma più specialmente quant'è ammirabile la povertà di Gesù nel Santissimo Sacramento, ove egli si spoglia di ogni gloria, di ogni bene naturale, d'ogni libertà, abbandonandosi alla carità, al beneplacito dell'uomo: oh trionfo dell'amore!
Perciò tutti coloro che vogliono essere santi debbono essere poveri nel cuore; e per divenir gran santi bisogna esser poveri nel cuore e nello stato: la perfezione, la santità consiste nel preferir sempre di aver meno che più, nel semplificare la vita diminuendone i godimenti, nell'impoverirsi per amor di Nostro Signore, nel prendere a modello Gesù povero, la sua povertà a legge di vita interiore ed esteriore, a forma della vita di Gesù in noi.
III. - Consideriamo la povertà spirituale di Gesù Cristo: è la corona e la vita della virtù di povertà. Noi non sappiamo nulla, perciò dobbiamo tacere ed ascoltare. Nostro Signore che sapeva tutto, poiché era la sapienza del Padre, il suo Verbo, si tenne in silenzio durante la maggior parte della sua vita, come se fosse stato privo di cognizioni. Oh quanto difficilmente c'induciamo a mostrarci poveri a questo riguardo, noi, pieni di vanità spirituale!
Gesù possedeva tutte le virtù nel più alto grado e protestava di non aver nulla di per sé. Noi davvero non abbiamo nulla di buono nel cuore: siamo secchi dinanzi a Dio, aridi come una pietra od un giumento; il nostro cuore nulla sa dire a Dio, non produce che rovi e spine; di che cosa c'insuperbiremo? E' ben povera la terra che non produce se non rovi e spine.
Gesù poteva tutto in ordine al bene: invece tutto aspettava dal Padre suo. Noi nulla possiamo per il bene, poiché a questo riguardo la nostra povertà è ancora più grande; abbiamo fatto molto male, poco bene e quel poco bene l'abbiamo mescolato con imperfezioni. Ecco la nostra povertà inferiore: cambiamola in virtù. Perciò andiamo a Gesù nel nostro stato di povertà; esercitiamone gli atti come un fanciullo che è debole, ignorante, sventato, guastamestieri, ma che tuttavia sta in pace con se stesso ed è tutto felice accanto alla mamma, che per lui è tutto; così la virtù di Gesù sia tutta la nostra ricchezza. Il povero ordinariamente non ha mezzi, non ha scienza né influenza: ciononostante vive tranquillo nella sua condizione; ama i suoi cenci, titoli eloquenti alla beneficenza del ricco; se ha piaghe ne fa mostra e se ne vale per procacciarsi il pane.
Ma Nostro Signore non è più buono, più tenero di una madre? Non è la nostra dolce provvidenza, la nostra luce, il nostro tutto? Serviamolo dunque in spirito di povertà, con vera umiltà il cuore; restiamo senza difesa nel mondo: Gesù nel Sacramento non ne ha; neppure il povero. Chi non vedrebbe con ammirazione la povertà interiore ed esteriore di Gesù, di Maria e di San Giuseppe? Un povero non ha nulla, non tiene a nulla, da sé nulla può, non sa nulla per gli altri; se no, sarebbe ricchissimo; perché i beni dell'anima sono molto più pregevoli di quelli del corpo, e si è tanto più stimati potendo dar consigli che dando denari.
Così intesa, la povertà interiore diventa in noi il rimedio alle tre concupiscenze: combatte la vanità, il desiderio smodato di saper sempre più, la sensualità dello spirito.
Teniamoci nella convinzione che siamo poveri di intelligenza, di cuore, di energia, di costanza, di forza, e la povertà dello spirito verrà in noi da se: l'adotteremo come nostro stato, in tutto vorremo dipendere da Dio: dalla sua luce per l'intelligenza, dalla sua grazia per la volontà, dal suo amore per il cuore, dalla sua croce per il corpo.
Ma perché questa virtù della povertà si renda amabile, bisogna vederla e amarla in Nostro Signore che è tanto povero nel Sacramento e sempre ci ripete: Senza di me non potete far nulla; non avete nulla: io sono la sola vostra ricchezza, non cercatene altre, né in voi stessi né intorno a voi.
IV. - Donde mai vengono i nostri peccati contro la povertà, se ne abbiamo fatta professione, e, se siamo nel mondo, la ripugnanza a condurci secondo la povertà del cuore? Provengono anzitutto dalla vanità, per cui vogliamo avere a nostro uso cose belle, cerchiamo il meglio, il fine, l'appariscente con il pretesto che dura più a lungo. Sarebbe molto meglio consultare Nostro Signore e il suo spirito di povertà, e un atto di questa virtù ci varrebbe assai più che tutta questa pretesa economia.
La sensualità anch'essa ci fa violare la povertà con le cure esagerate che ci usiamo. Quante precauzioni contro ogni minima indisposizione! In molti la natura ha paura della povertà più che dell'umiltà, della modestia o di qualunque altra virtù.
Bisogna dunque che ci mettiamo all'opera risolutamente se vogliamo rassomigliare a Nostro Signore: ciascuno nella sua condizione miri ad avere qualche cosa di meno bello, meno abbondante; e tutto quel che riceviamo o prendiamo contenga un omaggio alla santa povertà di Gesù Cristo Nostro Divin Maestro.
di San Pietro Giuliano Eymard
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