venerdì 29 ottobre 2021

Santi Martiri del I – II e III Secolo

 


Dalla Gerarchia Cardinalizia di  Carlo Bartolomeo Piazza e dalle Rivelazioni Private della mistica Maria Valtorta 


Deposizione di Sant’Agnese.  


Scritta nuovamente la mattina del 23, per paura di smarrimento di  quei fogli staccati. 


Vedo un giardino di casa patrizia. Vi sono viali, aiuole, peschiere, praticelli, piante d’alto fusto. Pare molto vasto e deve confinare con la campagna o con altri vasti giardini, come vedo  poi, perché là dove finisce non vi sono case ma altri prati e  piante. 

Il giardino all’inizio della visione è vuoto di persone. Lo vedo al chiarore di rade luci date da lucerne a olio o da torce  messe qua e là. Vedo le fiamme rossastre che si piegano ogni  tanto al vento leggero della sera. Vi è anche un chiaro di luna.  Essa è alla sua fase iniziale perché lo spicchio è sottile e volto a  ponente. Giudico, data la stagione e la posizione della luna, che  è appena alta al limite del cielo, che siano le prime ore della  notte, che di questa stagione è molto precoce. 

In un secondo tempo noto presso la casa, che pare tutta  chiusa come fosse vuota, molti gruppi di uomini e donne vestiti  come a quel tempo, accompagnati da altri uomini che sembrano  rivestiti di speciale incarico e dignità, ai quali tutti ubbidiscono  con rispetto. Comprendo che sono cristiani venuti ai funerali di  Agnese. 

Molti hanno delle lucernette a olio, cosa che mi permette di  vedere che ce ne sono alcuni, fra gli uomini, con capelli corti, direi rasati, e vesti corte e bigiognole, altri con chiome più curate ma sempre corte e vesti  lunghe e chiare con manto di cui un lembo passa sulla testa come un  cappuccio. Nelle donne pure alcune vestite dimesse e di scuro, altre in chiaro e meglio vestite; un folto gruppo è vestito di bianco, con velo bianco sul capo.  Mentre osservo tutti questi particolari, si apre una vasta  porta nella casa, nella facciata che dà sul giardino, e ne esce viva  luce. Questa proviene da un peristilio vivamente illuminato. Di fronte a questa porta ve ne è un’altra, certamente sulla facciata che dà sulla via, la quale ad un certo punto viene aperta come se  dal di fuori qualcuno avesse bussato. 

Entra un gruppo di persone che circondano una lettiga portata da quattro robusti uomini vestiti di color scuro (color lana bigia), i  quali depongono il loro carico in mezzo al peristilio mentre la  porta di casa è subito rinchiusa con cura. Quando vengono sollevate le cortine della lettiga, vedo che essa contiene un corpo steso, tutto  avvolto in un sudario. Questo corpo viene pietosamente  sollevato e adagiato, senza il sudario che resta nella lettiga, su una  specie di barellina ricoperta di un prezioso drappo porpureo  che pare ricamato a bordure come fosse un damasco. Essa era  certo già preparata a ricevere il suo carico. 

Vedo la martire Agnese, irrigidita nella morte. Pare una  statua di marmo candido tanto è esangue nel volto, nelle mani  piccine, nei piccoli piedi calzati da sandali. È tutta vestita di  bianco e con un velo candido che l’avvolge tutta. Ma il primo  velo glielo fanno i suoi splendidi capelli biondi, lunghi sino al ginocchio, ora tutti sciolti come un manto d’oro. Non sono ricci, sono morbidi e appena ondati, ma tanti, tanti e bellissimi.  Ella sorride come davanti ad una visione di pace. Ha le mani  congiunte sul grembo e con una palma, unico ornamento, fra le  dita irrigidite. 

È tutta monda. Si capisce che l’hanno detersa dal sangue e rivestita di veste pulita prima di trasportarla qui, perché non ha più  sangue sul volto, fra i capelli e sulla veste. La ferita al collo non si vede. Gliel’hanno pietosamente coperta coi capelli e col velo. 

Si avvicinano a lei i parenti che la baciano piangendo sulle  manine ceree e sulla fronte gelata. Ma il loro dolore è composto e  dignitoso. Nessuna di quelle manifestazioni isteriche solite in quei casi. Un  dolore cristiano. Dopo i parenti si affollano gli amici e fratelli di  fede. Vedo Emerenziana piangente e sorridente insieme alla sorellina di latte che l’ha preceduta nella gloria. Tutti salutano la martire e pregano. 

Ho qui l’impressione, che ho dimenticato di scrivere nella 1a versione,  limitandomi di dirla a lei a voce, di un grande amore fra i cristiani, la sensazione di quello che sia la “comunione dei santi” così come era intesa  dai primi cristiani, dai quali tanto avremmo da imparare. Essi erano  venuti, sfidando ogni pericolo, a rendere onore alla martire di Cristo, a  raccomandarsi a lei, già assurta al Cielo, di esser per tutti loro fonte di  intercessione presso Dio nei prossimi combattimenti per la Fede, e lei mi  pareva planasse già col suo spirito sui presenti, trasfondendo in essi i suoi  sentimenti eroici e la sua protezione. Il Cielo e la Terra erano in  comunicazione. 

In questo mentre105 si riapre la porta esterna ed entra un  vegliardo accompagnato da due uomini dai 25 ai 35 anni. Il  vecchio ha un aspetto dolcemente serio, è molto magro, direi  sofferente, e pallidissimo. Deve essere persona molto influente  presso i cristiani, perché al suo apparire tutti si inginocchiano ed  egli passa fra due file di teste chine, benedicendo. Ho l’impressione sia un vescovo o lo stesso Pontefice. 

Si avvicina alla barella e benedice la morta e prega su lei. Poi  si veste degli abiti sacerdotali (vedo il pallio, non so se si dice così: è  una striscia bianca che forma come un cerchio sulle spalle e sul petto e  scende poi dietro e davanti in due strisce. Il tutto è ornato di piccole croci  scure). Anche gli altri suoi accompagnatori si vestono mettendo  le vesti dei diaconi (tunica sino al ginocchio e maniche sino a poco più su  del gomito). 

Poi il corteo si ordina. Davanti il clero, ossia il vegliardo, i  due diaconi e gli altri sacerdoti che prima erano sparsi fra la  folla dei cristiani e che hanno messo pure loro le stole sacerdotali. 

Intorno ad essi si pongono uomini portanti fiaccole accese. 

Hanno la veste corta e scura. Direi che sono servi, cristiani, perché ho l’impressione che nella casa tutti siano seguaci di Gesù. Anche intorno  alla barella si fa una fila di lumi portati dalle vergini biancovestite e bianco-velate, una vera siepe di gigli intorno al giglio  reciso. La barella viene sollevata facilmente da 4 vergini, fra cui  Emerenziana. Non deve pesare molto perché, per quanto  Agnese, stesa come è, sembri più alta che da viva, è sempre un’adolescente e per di più poco formosa. 

Il corteo si avvia verso la tomba per i viali del giardino. Tutti  portano fiaccole o lucerne accese. E cantano. Sottovoce. Un  inno pieno di dolcezza e speranza che sulle prime non  riconosco. Mi pare di avere già udito quelle parole, ma non so  dove. Il vento serale piega le fiamme che poi si drizzano più  belle. Vedo distintamente una ciocca di capelli di Agnese, uscita  da sotto al velo, che si muove sotto il sospiro della brezza. Il  corteo è molto composto e pio. 

Si giunge al limite del giardino. Lì vi è una specie di pozzo dall’apertura molto larga. Una scaletta, intagliata nell’arenaria o nel tufo, porta in basso. Si scende in molti.  

Chi non può, resta intorno all’orlo del pozzo e canta ancora,  rispondendo ai canti del basso. Nella cavità del pozzo le voci acquistano  risonanza e comprendo bene di che si tratti. Sono versetti dell’Apocalisse nel punto dove parla dei vergini che seguono  l’Agnello.106 Un versetto è cantato dagli uomini, l’altro dalle  donne alternativamente e come le ho scritto nel I° racconto. 

Vedo che il pozzo è semicircolare, anzi a ferro di  cavallo, e dei cunicoli partono da esso a raggiera. Così. 

Dove ho fatto la crocetta vi è un loculo scavato nell’arenaria. Preparato per Agnese. Il primo di questo sepolcro,  futura tomba di molti martiri e catacomba. Dei cunicoli, il primo  a destra della croce (rispetto a chi guarda, quello che io segno con un V) è il più fondo.  

Si addentra nella terra per un 5 o 6 metri. Mentre gli altri sono meno  fondi e uno, il primo a sinistra di chi guarda, presso la scala, è appena appena iniziato. Ho l’impressione che sia un ipogeo che è appena  incominciato, quasi che la morte di Agnese l’abbia trovato impreparato. 

I parenti e i più prossimi si accostano per un ultimo saluto. 

Poi il drappo porpureo su cui è appoggiata la martire viene alzato ai lati  sulla stessa ed ella viene avvolta in questa stoffa preziosa dalla testa ai  piedi. 

Il Pontefice le dà l’ultimo saluto: “Veni, sponsa Christi. Veni, Agne sanctissima. Requiescant in pace!” come se a nome della 

Chiesa la prendesse in consegna. E il corpo viene sollevato con  devozione e deposto nel loculo, sul quale viene ribattuta una  pietra che lo chiude. 

E la visione si cristallizza così. 

In me rimane la dolcezza del canto e la religiosità di tutta la scena, nei suoi particolari più minuti, in cui è palese l’unione degli antichi cristiani e il loro fervore. 

Ho scritto nuovamente questa visione per ordine di Gesù, il quale mi dice: 

«Questa è un’altra ragione probatoria. Solo chi ha visto una  scena che lo ha fortemente colpito può, a distanza di giorni,  ripeterne con esattezza il racconto.» 

Questo me lo dice questa sera, 23-1, alle 24, quando cioè io ho scritto per la causa dettami all’inizio. 

 A cura di Mario Ignoffo 

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