Dalla Gerarchia Cardinalizia di Carlo Bartolomeo Piazza e dalle Rivelazioni Private della mistica Maria Valtorta
Deposizione di Sant’Agnese.
Scritta nuovamente la mattina del 23, per paura di smarrimento di quei fogli staccati.
Vedo un giardino di casa patrizia. Vi sono viali, aiuole, peschiere, praticelli, piante d’alto fusto. Pare molto vasto e deve confinare con la campagna o con altri vasti giardini, come vedo poi, perché là dove finisce non vi sono case ma altri prati e piante.
Il giardino all’inizio della visione è vuoto di persone. Lo vedo al chiarore di rade luci date da lucerne a olio o da torce messe qua e là. Vedo le fiamme rossastre che si piegano ogni tanto al vento leggero della sera. Vi è anche un chiaro di luna. Essa è alla sua fase iniziale perché lo spicchio è sottile e volto a ponente. Giudico, data la stagione e la posizione della luna, che è appena alta al limite del cielo, che siano le prime ore della notte, che di questa stagione è molto precoce.
In un secondo tempo noto presso la casa, che pare tutta chiusa come fosse vuota, molti gruppi di uomini e donne vestiti come a quel tempo, accompagnati da altri uomini che sembrano rivestiti di speciale incarico e dignità, ai quali tutti ubbidiscono con rispetto. Comprendo che sono cristiani venuti ai funerali di Agnese.
Molti hanno delle lucernette a olio, cosa che mi permette di vedere che ce ne sono alcuni, fra gli uomini, con capelli corti, direi rasati, e vesti corte e bigiognole, altri con chiome più curate ma sempre corte e vesti lunghe e chiare con manto di cui un lembo passa sulla testa come un cappuccio. Nelle donne pure alcune vestite dimesse e di scuro, altre in chiaro e meglio vestite; un folto gruppo è vestito di bianco, con velo bianco sul capo. Mentre osservo tutti questi particolari, si apre una vasta porta nella casa, nella facciata che dà sul giardino, e ne esce viva luce. Questa proviene da un peristilio vivamente illuminato. Di fronte a questa porta ve ne è un’altra, certamente sulla facciata che dà sulla via, la quale ad un certo punto viene aperta come se dal di fuori qualcuno avesse bussato.
Entra un gruppo di persone che circondano una lettiga portata da quattro robusti uomini vestiti di color scuro (color lana bigia), i quali depongono il loro carico in mezzo al peristilio mentre la porta di casa è subito rinchiusa con cura. Quando vengono sollevate le cortine della lettiga, vedo che essa contiene un corpo steso, tutto avvolto in un sudario. Questo corpo viene pietosamente sollevato e adagiato, senza il sudario che resta nella lettiga, su una specie di barellina ricoperta di un prezioso drappo porpureo che pare ricamato a bordure come fosse un damasco. Essa era certo già preparata a ricevere il suo carico.
Vedo la martire Agnese, irrigidita nella morte. Pare una statua di marmo candido tanto è esangue nel volto, nelle mani piccine, nei piccoli piedi calzati da sandali. È tutta vestita di bianco e con un velo candido che l’avvolge tutta. Ma il primo velo glielo fanno i suoi splendidi capelli biondi, lunghi sino al ginocchio, ora tutti sciolti come un manto d’oro. Non sono ricci, sono morbidi e appena ondati, ma tanti, tanti e bellissimi. Ella sorride come davanti ad una visione di pace. Ha le mani congiunte sul grembo e con una palma, unico ornamento, fra le dita irrigidite.
È tutta monda. Si capisce che l’hanno detersa dal sangue e rivestita di veste pulita prima di trasportarla qui, perché non ha più sangue sul volto, fra i capelli e sulla veste. La ferita al collo non si vede. Gliel’hanno pietosamente coperta coi capelli e col velo.
Si avvicinano a lei i parenti che la baciano piangendo sulle manine ceree e sulla fronte gelata. Ma il loro dolore è composto e dignitoso. Nessuna di quelle manifestazioni isteriche solite in quei casi. Un dolore cristiano. Dopo i parenti si affollano gli amici e fratelli di fede. Vedo Emerenziana piangente e sorridente insieme alla sorellina di latte che l’ha preceduta nella gloria. Tutti salutano la martire e pregano.
Ho qui l’impressione, che ho dimenticato di scrivere nella 1a versione, limitandomi di dirla a lei a voce, di un grande amore fra i cristiani, la sensazione di quello che sia la “comunione dei santi” così come era intesa dai primi cristiani, dai quali tanto avremmo da imparare. Essi erano venuti, sfidando ogni pericolo, a rendere onore alla martire di Cristo, a raccomandarsi a lei, già assurta al Cielo, di esser per tutti loro fonte di intercessione presso Dio nei prossimi combattimenti per la Fede, e lei mi pareva planasse già col suo spirito sui presenti, trasfondendo in essi i suoi sentimenti eroici e la sua protezione. Il Cielo e la Terra erano in comunicazione.
In questo mentre105 si riapre la porta esterna ed entra un vegliardo accompagnato da due uomini dai 25 ai 35 anni. Il vecchio ha un aspetto dolcemente serio, è molto magro, direi sofferente, e pallidissimo. Deve essere persona molto influente presso i cristiani, perché al suo apparire tutti si inginocchiano ed egli passa fra due file di teste chine, benedicendo. Ho l’impressione sia un vescovo o lo stesso Pontefice.
Si avvicina alla barella e benedice la morta e prega su lei. Poi si veste degli abiti sacerdotali (vedo il pallio, non so se si dice così: è una striscia bianca che forma come un cerchio sulle spalle e sul petto e scende poi dietro e davanti in due strisce. Il tutto è ornato di piccole croci scure). Anche gli altri suoi accompagnatori si vestono mettendo le vesti dei diaconi (tunica sino al ginocchio e maniche sino a poco più su del gomito).
Poi il corteo si ordina. Davanti il clero, ossia il vegliardo, i due diaconi e gli altri sacerdoti che prima erano sparsi fra la folla dei cristiani e che hanno messo pure loro le stole sacerdotali.
Intorno ad essi si pongono uomini portanti fiaccole accese.
Hanno la veste corta e scura. Direi che sono servi, cristiani, perché ho l’impressione che nella casa tutti siano seguaci di Gesù. Anche intorno alla barella si fa una fila di lumi portati dalle vergini biancovestite e bianco-velate, una vera siepe di gigli intorno al giglio reciso. La barella viene sollevata facilmente da 4 vergini, fra cui Emerenziana. Non deve pesare molto perché, per quanto Agnese, stesa come è, sembri più alta che da viva, è sempre un’adolescente e per di più poco formosa.
Il corteo si avvia verso la tomba per i viali del giardino. Tutti portano fiaccole o lucerne accese. E cantano. Sottovoce. Un inno pieno di dolcezza e speranza che sulle prime non riconosco. Mi pare di avere già udito quelle parole, ma non so dove. Il vento serale piega le fiamme che poi si drizzano più belle. Vedo distintamente una ciocca di capelli di Agnese, uscita da sotto al velo, che si muove sotto il sospiro della brezza. Il corteo è molto composto e pio.
Si giunge al limite del giardino. Lì vi è una specie di pozzo dall’apertura molto larga. Una scaletta, intagliata nell’arenaria o nel tufo, porta in basso. Si scende in molti.
Chi non può, resta intorno all’orlo del pozzo e canta ancora, rispondendo ai canti del basso. Nella cavità del pozzo le voci acquistano risonanza e comprendo bene di che si tratti. Sono versetti dell’Apocalisse nel punto dove parla dei vergini che seguono l’Agnello.106 Un versetto è cantato dagli uomini, l’altro dalle donne alternativamente e come le ho scritto nel I° racconto.
Vedo che il pozzo è semicircolare, anzi a ferro di cavallo, e dei cunicoli partono da esso a raggiera. Così.
Dove ho fatto la crocetta vi è un loculo scavato nell’arenaria. Preparato per Agnese. Il primo di questo sepolcro, futura tomba di molti martiri e catacomba. Dei cunicoli, il primo a destra della croce (rispetto a chi guarda, quello che io segno con un V) è il più fondo.
Si addentra nella terra per un 5 o 6 metri. Mentre gli altri sono meno fondi e uno, il primo a sinistra di chi guarda, presso la scala, è appena appena iniziato. Ho l’impressione che sia un ipogeo che è appena incominciato, quasi che la morte di Agnese l’abbia trovato impreparato.
I parenti e i più prossimi si accostano per un ultimo saluto.
Poi il drappo porpureo su cui è appoggiata la martire viene alzato ai lati sulla stessa ed ella viene avvolta in questa stoffa preziosa dalla testa ai piedi.
Il Pontefice le dà l’ultimo saluto: “Veni, sponsa Christi. Veni, Agne sanctissima. Requiescant in pace!” come se a nome della
Chiesa la prendesse in consegna. E il corpo viene sollevato con devozione e deposto nel loculo, sul quale viene ribattuta una pietra che lo chiude.
E la visione si cristallizza così.
In me rimane la dolcezza del canto e la religiosità di tutta la scena, nei suoi particolari più minuti, in cui è palese l’unione degli antichi cristiani e il loro fervore.
Ho scritto nuovamente questa visione per ordine di Gesù, il quale mi dice:
«Questa è un’altra ragione probatoria. Solo chi ha visto una scena che lo ha fortemente colpito può, a distanza di giorni, ripeterne con esattezza il racconto.»
Questo me lo dice questa sera, 23-1, alle 24, quando cioè io ho scritto per la causa dettami all’inizio.
A cura di Mario Ignoffo
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