TRA LA TERZA E LA QUARTA SESSIONE DEL CONCILIO VATICANO II
Il concilio Vaticano II sarà stato in definitiva un beneficio per la Chiesa? Lo si vedrà all'atto pratico. Una cosa certa, della quale è impossibile dubitare senza dover attendere la fine del Concilio, è che esso avrà manifestato con evidenza incontestabile come la Chiesa in taluni dei suoi membri più elevati possa essere influenzata dal magistero dei tempi nuovi: l'opinione pubblica.
UN NUOVO MAGISTERO: L'OPINIONE PUBBLICA
Mai come in questa occasione si era potuto misurare la terribile potenza dei mezzi di comunicazione sociale e in particolare della stampa e della radio poste al servizio degli ispiratori dell'opinione pubblica. Non si sono forse udite e lette nei testi conciliari queste parole: «il mondo attende, il mondo desidera…, il mondo è impaziente…»? Quanti interventi sono stati fatti, anche inconsciamente, sotto questo influsso! Quanti padri hanno voluto farsi portavoce di questa «opinione pubblica», quanti altri hanno approvato tali interventi per timore di contraddire questo nuovo magistero. Ricercare i fini, i mezzi degli ispiratori della pubblica opinione sarebbe uno studio appassionante e molto istruttivo. Da parte mia mi contento di constatare i fatti, di ricercare le linee di forza di tali fatti e, raggruppandoli, di mostrare con certezza che non si tratta di manifestazioni occasionali, bensì di una delle fasi della battaglia del Principe di questo mondo contro la Chiesa di Nostro Signore. È impossibile infatti non paragonare ciò che ci hanno insegnato i nostri venerati maestri della Gregoriana e del Seminario francese, ciò che hanno insegnato i papi in questi ultimi decenni, con ciò che abbiamo inteso e con ciò che leggiamo in occasione del Concilio. Come non concludere che si tratta di un magistero altro da quello della Chiesa? I discorsi dei Papi a chiusura delle sessioni dei concili passati e i loro interventi non fanno che corroborare quest'affermazione. Numerosi sono i sacerdoti e più numerosi ancora i fedeli sconvolti da quanto leggono o sentono e che è, il più delle volte, solamente l'eco di questo nuovo magistero. No, la Chiesa, nella persona del successore di Pietro, non l'ha ancora sostituito al magistero tradizionale; né l'ha fatto la Chiesa di Roma, e questo conta ancor più. Infatti la Chiesa di Roma è, attraverso la unione con il suo vescovo, mater et caput omnium ecclesiarum. Ora, la maggioranza dei cardinali e specialmente i cardinali di Curia, la maggioranza degli arcivescovi della Curia e dunque della Chiesa di Roma, i teologi romani nel loro insieme non hanno parte in questo nuovo magistero. Ed è questo che costituisce la forza di tale minoranza, di cui l'opinione pubblica parla con una certa commiserazione. Fino a oggi essa si trova con Pietro e con la Chiesa romana: è una buona garanzia. Si può cercare di scoprire gli elementi principali del nuovo magistero? Un arretramento nel tempo faciliterebbe indubbiamente questa analisi. Ma poiché appuro certo che molti di quei princìpi sono stati ereditati dalle tendenze moderniste abbondantemente descritte dagli ultimi papi, è più agevole individuarli. Si può, mi pare, raggruppare le osservazioni attorno a due fatti o due punti nevralgici del Concilio: la collegialità giuridica e la libertà religiosa.
Pare innegabile che uno dei primi obiettivi proposti da coloro che si facevano portavoce dell'opinione pubblica era la sostituzione del potere personale del Papa con un potere collegiale. I tempi cosiddetti moderni non consentendo più un'autorità personale come quella del Papa, esercitata da organismi interamente a sua discrezione, si renderebbe necessario sopprimere la Curia e affiancare al Papa un consiglio di vescovi con i quali egli governi la Chiesa, e in tal modo anche i vescovi godrebbero di una reale partecipazione al governo della Chiesa universale. Questa affermazione colpirebbe a un tempo il potere personale del Papa e il potere personale del vescovo. Bisognava dunque a qualsiasi costo provare che la collegialità giuridica ha fondamento nella Tradizione e di conseguenza nella teologia. La soppressione della distinzione tra il potere d'ordine e il potere di giurisdizione avrebbe facilitato la dimostrazione. Avendo il vescovo grazie alla sua consacrazione potere sulla Chiesa universale, il Papa non può governare la Chiesa universale senza fare appello ai vescovi. Allo stesso modo il Papa non può togliere o restringere troppo i poteri di giurisdizione dei vescovi poiché quei poteri derivano loro dalla consacrazione. La collegialità era dunque l'obiettivo da raggiungere. Una volta raggiunto quell'obiettivo, tutte le conclusioni sarebbero venute da sole, modificando radicalmente le strutture tradizionali della Chiesa. Ormai tanto a Roma quanto nelle varie nazioni la Chiesa sarebbe governata da assemblee e non più da un'autorità personale assolutamente contraria, secondo i novatori, a tutti i princìpi della società moderna. La collegialità si presentava dunque come il primo «cavallo di Troia» destinato a far crollare le strutture tradizionali. Di qui l'accanimento con il quale tutto fu messo in opera per assicurarne la riuscita. Bisogna confessare che umanamente, dato il numero di coloro che credevano dover approvare, dati i mezzi impiegati, il successo della nuova tesi era certo. Ma lo Spirito Santo vegliava, e occorre leggere attentamente la Nota esplicativa 2 per rendersi conto che questo messaggio è veramente sceso dal cielo, perché in primo luogo essa elimina la collegialità giuridica e di conseguenza sopprime qualsiasi diritto dei vescovi al governo della Chiesa universale; in secondo luogo sottomette la giurisdizione personale dei vescovi alla piena autorità del successore di Pietro; in terzo luogo riafferma che l'ufficio di Pastore della Chiesa universale appartiene al solo Papa; in quarto luogo dichiara apertamente che ai vescovi non è dato agire collegialmente se non per volontà esplicita del Papa. La struttura tradizionale della Chiesa è dunque salvaguardata, come il Papa stesso ha affermato nel suo discorso di chiusura, almeno nei testi. Bisogna confessare che dopo le angosce da noi sofferte nel corso della seconda sessione e all'inizio della terza, questa luce divina proiettata nuovamente sull'immutabile costituzione della Chiesa ci è parsa un segno strepitoso della divinità della Chiesa. Come d'altronde non collegare i due avvenimenti: l'eliminazione degli errori derivanti da una collegialità mal compresa e l'apparizione di Maria Madre della Chiesa,3 della Chiesa di Nostro Signore, della Chiesa cattolica romana, della Chiesa composta dal Papa, dai vescovi uniti e sottomessi al Papa e capi delle loro Chiese particolari, dai sacerdoti e particolarmente dai parroci collaboratori dei vescovi e infine dai fedeli, che attraverso questo sacerdozio gerarchico ricevono le grazie innumerevoli che permettono loro di santificarsi, di santificare la famiglia, la parrocchia, la comunità civile, la professione, la città, e così di sottomettere tutto all'ordine divino attraverso la pratica della virtù di giustizia: «Opus iustitiae pax»? La Chiesa è veramente eterna, e Maria, che da sola ha vinto tutte le eresie, continua a vegliare su di essa con materna sollecitudine.
Marcel Lefèbvre
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