LIBRO DELLE LAMENTAZIONI
Il Libro di Giuditta ci rivela che i capi della città avevano deciso la resa a causa della mancanza di acqua. Il popolo moriva perché l’acqua si era quasi esaurita.
Fu proprio a causa di questa decisione che Giuditta entrò in scena. Dio la ispirava a compiere un’opera memorabile in favore del suo popolo.
Il giorno dopo, Oloferne diede ordine a tutto il suo esercito e a tutta la moltitudine di coloro che erano venuti come suoi alleati di mettersi in marcia contro Betùlia, di occupare le vie d’accesso alla montagna e di attaccare battaglia contro gli Israeliti. In quel giorno ogni uomo valido fra loro si mise in marcia. Il loro esercito si componeva di centosettantamila fanti e dodicimila cavalieri, senza contare gli addetti ai servizi e gli altri che erano a piedi con loro, una moltitudine immensa. Essi si accamparono nella valle vicino a Betùlia, oltre la sorgente, allargandosi dalla zona sopra Dotàim fino a Belbàim ed estendendosi da Betùlia fino a Kiamòn, che è di fronte a Èsdrelon. Gli Israeliti, quando videro la loro moltitudine, rimasero molto costernati e si dicevano l’un l’altro: «Ora costoro inghiottiranno la faccia di tutta la terra e neppure i monti più alti né le valli né i colli potranno resistere al loro urto». Ognuno prese la sua armatura e, dopo aver acceso fuochi sulle torri, stettero in guardia tutta quella notte.
Il giorno seguente Oloferne fece uscire tutta la cavalleria contro il fronte degli Israeliti che erano a Betùlia, controllò le vie di accesso alla loro città, ispezionò le sorgenti d’acqua e le occupò e, dopo avervi posto attorno guarnigioni di uomini armati, fece ritorno tra i suoi.
Allora gli si avvicinarono tutti i capi dei figli di Esaù e tutti i capi del popolo di Moab e gli strateghi della costa e gli dissero: «Il nostro signore voglia ascoltare una parola, per evitare che il tuo esercito vada in rotta. Questo popolo degli Israeliti non si affida alle sue lance, ma all’altezza dei monti sui quali essi vivono, e certo non è facile arrivare alle cime dei loro monti. Quindi, signore, non attaccare costoro come si usa nella battaglia campale e così non cadrà un solo uomo del tuo esercito. Rimani fermo nel tuo accampamento, avendo buona cura di ogni uomo del tuo esercito; invece i tuoi gregari vadano a occupare la sorgente dell’acqua che sgorga alla radice del monte, perché di là attingono tutti gli abitanti di Betùlia. La sete li farà morire e consegneranno la loro città. Noi e la nostra gente saliremo sulle vicine alture dei monti e ci apposteremo su di esse per sorvegliare che nessuno possa uscire dalla città. Così cadranno sfiniti dalla fame essi, le loro donne, i loro figli e, prima che la spada arrivi su di loro, saranno stesi sulle piazze fra le loro case. Avrai così reso loro un terribile contraccambio, perché si sono ribellati e non hanno voluto venire incontro a te con intenzioni pacifiche».
Piacque questo discorso a Oloferne e a tutti i suoi ministri e diede ordine che si facesse come avevano proposto. Si mosse quindi un distaccamento di Ammoniti e con essi cinquemila Assiri si accamparono nella vallata e occuparono gli acquedotti e le sorgenti d’acqua degli Israeliti. A loro volta i figli di Esaù e gli Ammoniti salirono e si appostarono sulla montagna di fronte a Dotàim. Spinsero altri loro uomini a meridione e a oriente di fronte a Egrebèl, che si trova vicino a Cus, nei pressi del torrente Mocmur. Il resto dell’esercito degli Assiri si accampò nella pianura, ricoprendo tutta l’estensione del terreno. Le tende e gli equipaggiamenti costituivano una massa imponente, perché in realtà essi erano una turba immensa.
Allora gli Israeliti alzarono suppliche al Signore, loro Dio, con l’animo in preda all’abbattimento, perché da ogni parte i nemici li avevano circondati e non c’era via di scampo. Il campo degli Assiri al completo, fanti, carri e cavalieri, rimase fermo tutt’intorno per trentaquattro giorni e venne a mancare a tutti gli abitanti di Betùlia ogni riserva d’acqua. Anche le cisterne erano vuote e non potevano più bere a sazietà neppure per un giorno, perché davano da bere in quantità razionata. Incominciarono a cadere sfiniti i loro bambini; le donne e i giovani venivano meno per la sete e cadevano nelle piazze della città e nei passaggi delle porte, e ormai non rimaneva più in loro alcuna energia.
Allora tutto il popolo si radunò intorno a Ozia e ai capi della città, con giovani, donne e fanciulli, e alzando grida dissero davanti a tutti gli anziani: «Sia giudice il Signore tra voi e noi, perché voi ci avete recato un grave danno rifiutando di proporre la pace agli Assiri. Ora non c’è più nessuno che ci possa aiutare, perché Dio ci ha venduti nelle loro mani per essere abbattuti davanti a loro dalla sete e da terribili mali. Ormai chiamateli e consegnate l’intera città al popolo di Oloferne e a tutto il suo esercito perché la saccheggino. È meglio per noi essere loro preda; diventeremo certo loro schiavi, ma almeno avremo salva la vita e non vedremo con i nostri occhi la morte dei nostri bambini, né le donne e i nostri figli esalare l’ultimo respiro. Chiamiamo a testimone contro di voi il cielo e la terra e il nostro Dio, il Signore dei nostri padri, che ci punisce per la nostra iniquità e per le colpe dei nostri padri, perché non ci lasci più in una situazione come quella in cui siamo oggi».
Vi fu allora un pianto generale in mezzo all’assemblea e a gran voce gridarono suppliche al Signore Dio. Ozia rispose loro: «Coraggio, fratelli, resistiamo ancora cinque giorni e in questo tempo il Signore, nostro Dio, rivolgerà di nuovo la sua misericordia su di noi; non è possibile che egli ci abbandoni fino all’ultimo. Ma se proprio passeranno questi giorni e non ci arriverà alcun aiuto, farò come avete detto voi». Così rimandò il popolo, ciascuno al proprio posto di difesa, ed essi tornarono sulle mura e sulle torri della città e rimandarono le donne e i figli alle loro case; ma tutti nella città erano in grande costernazione (Gdt 7,1-32).
In quei giorni Giuditta venne a conoscenza di questi fatti. Era figlia di Merarì, figlio di Os, figlio di Giuseppe, figlio di Ozièl, figlio di Chelkia, figlio di Anania, figlio di Gedeone, figlio di Rafaìn, figlio di Achitòb, figlio di Elia, figlio di Chelkia, figlio di Eliàb, figlio di Natanaèl, figlio di Salamièl, figlio di Sarasadài, figlio di Israele. Suo marito era stato Manasse, della stessa tribù e famiglia di lei; egli era morto al tempo della mietitura dell’orzo. Mentre stava sorvegliando quelli che legavano i covoni nella campagna, fu colpito da insolazione. Dovette mettersi a letto e morì a Betùlia, sua città, e lo seppellirono insieme ai suoi padri nel campo che sta tra Dotàim e Balamòn. Giuditta era rimasta nella sua casa in stato di vedovanza ed erano passati già tre anni e quattro mesi. Si era fatta preparare una tenda sul terrazzo della sua casa, si era cinta i fianchi di sacco e portava le vesti della sua vedovanza. Da quando era vedova digiunava tutti i giorni, eccetto le vigilie dei sabati e i sabati, le vigilie dei noviluni e i noviluni, le feste e i giorni di gioia per Israele. Era bella d’aspetto e molto avvenente nella persona; inoltre suo marito Manasse le aveva lasciato oro e argento, schiavi e schiave, armenti e terreni che ora continuava ad amministrare. Né alcuno poteva dire una parola maligna a suo riguardo, perché aveva grande timore di Dio.
Venne dunque a conoscenza delle parole esasperate che il popolo aveva rivolto al capo della città, perché erano demoralizzati a causa della mancanza d’acqua, e Giuditta seppe anche di tutte le risposte che aveva dato loro Ozia e come avesse giurato loro di consegnare la città agli Assiri dopo cinque giorni. Subito mandò la sua ancella che aveva in cura tutte le sue sostanze a chiamare Cabrì e Carmì, che erano gli anziani della sua città.
Vennero da lei ed ella disse loro: «Ascoltatemi, capi dei cittadini di Betùlia. Non è un discorso giusto quello che oggi avete tenuto al popolo, e quel giuramento che avete pronunciato e interposto tra voi e Dio, di mettere la città in mano ai nostri nemici, se nel frattempo il Signore non verrà in vostro aiuto. Chi siete voi dunque che avete tentato Dio in questo giorno e vi siete posti al di sopra di lui in mezzo ai figli degli uomini? Certo, voi volete mettere alla prova il Signore onnipotente, ma non comprenderete niente, né ora né mai. Se non siete capaci di scrutare il profondo del cuore dell’uomo né di afferrare i pensieri della sua mente, come potrete scrutare il Signore, che ha fatto tutte queste cose, e conoscere i suoi pensieri e comprendere i suoi disegni?
No, fratelli, non provocate l’ira del Signore, nostro Dio. Se non vorrà aiutarci in questi cinque giorni, egli ha pieno potere di difenderci nei giorni che vuole o anche di farci distruggere dai nostri nemici. E voi non pretendete di ipotecare i piani del Signore, nostro Dio, perché Dio non è come un uomo a cui si possano fare minacce, né un figlio d’uomo su cui si possano esercitare pressioni. Perciò attendiamo fiduciosi la salvezza che viene da lui, supplichiamolo che venga in nostro aiuto e ascolterà il nostro grido, se a lui piacerà.
In realtà in questa nostra generazione non c’è mai stata né esiste oggi una tribù o famiglia o popolo o città tra noi, che adori gli dèi fatti da mano d’uomo, come è avvenuto nei tempi passati, ed è per questo che i nostri padri furono abbandonati alla spada e alla devastazione e caddero rovinosamente davanti ai loro nemici. Noi invece non riconosciamo altro Dio fuori di lui, e per questo speriamo che egli non trascurerà noi e neppure la nostra nazione. Perché se noi saremo presi, resterà presa anche tutta la Giudea e saranno saccheggiate le nostre cose sante e Dio ci chiederà conto col nostro sangue di quella profanazione. L’uccisione dei nostri fratelli, l’asservimento della patria, la devastazione della nostra eredità Dio le farà ricadere sul nostro capo in mezzo ai popoli tra i quali saremo schiavi, e saremo così motivo di scandalo e di disprezzo di fronte ai nostri padroni. La nostra schiavitù non ci procurerà alcun favore; il Signore, nostro Dio, la volgerà a nostro disonore.
Dunque, fratelli, dimostriamo ai nostri fratelli che la loro vita dipende da noi, che le nostre cose sante, il tempio e l’altare, poggiano su di noi. Per tutti questi motivi ringraziamo il Signore, nostro Dio, che ci mette alla prova, come ha già fatto con i nostri padri. Ricordatevi quanto ha fatto con Abramo, quali prove ha fatto passare a Isacco e quanto è avvenuto a Giacobbe in Mesopotamia di Siria, quando pascolava le greggi di Làbano, suo zio materno. Certo, come ha passato al crogiuolo costoro con il solo scopo di saggiare il loro cuore, così ora non vuol fare vendetta di noi, ma è a scopo di correzione che il Signore castiga quelli che gli stanno vicino».
Allora Ozia le rispose: «Quello che hai detto, l’hai proferito con cuore retto e nessuno può contraddire alle tue parole. Non da oggi infatti è manifesta la tua saggezza, ma dall’inizio dei tuoi giorni tutto il popolo conosce la tua prudenza, come pure l’ottima indole del tuo cuore. Però il popolo sta soffrendo duramente la sete e ci ha costretti a comportarci come avevamo detto loro e a impegnarci in un giuramento che non potremo trasgredire. Piuttosto prega per noi, tu che sei donna pia, e il Signore invierà la pioggia a riempire le nostre cisterne e così non moriremo di sete».
Giuditta rispose loro: «Ascoltatemi! Voglio compiere un’impresa che verrà ricordata di generazione in generazione ai figli del nostro popolo. Voi starete di guardia alla porta della città questa notte; io uscirò con la mia ancella ed entro quei giorni, dopo i quali avete deciso di consegnare la città ai nostri nemici, il Signore per mano mia salverà Israele. Voi però non fate domande sul mio progetto: non vi dirò nulla finché non sarà compiuto ciò che sto per fare».
Le risposero Ozia e i capi: «Va’ in pace e il Signore Dio sia con te per far vendetta dei nostri nemici». Se ne andarono quindi dalla sua tenda e si recarono ai loro posti (Gdt 8,1-36).
Nel caso di Gerusalemme siamo dopo la sua devastazione e distruzione. Tutto manca. Nulla si ha per poter continuare a vivere. Niente è sufficiente.
In questa condizione di penuria, tutto il suo popolo sospira in cerca di pane. Danno gli oggetti più preziosi in cambio di cibo, per sostenersi in vita.
È un momento di forte disagio. Per cibo ognuno si vende quello che possiede. Anche i suoi tesori impegna per potersi sfamare.
La salvezza può venire solo dal Signore. A Lui si innalza la preghiera: Osserva, Signore, e considera come sono disprezzata.
La salvezza dell’uomo non viene dall’uomo. Essa viene solo da Dio. Dio però la condiziona al nostro desiderio, alla nostra volontà, alla nostra richiesta.
La condiziona alla nostra conversione e al nostro pentimento. Si abbandona il male, si accoglie la sua Parola. Dio ci riveste di sé.
MOVIMENTO APOSTOLICO CATECHESI
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