martedì 24 ottobre 2023

IL DOGMA DEL PURGATORIO

 


Materia delle espiazioni nel Purgatorio. - Dottrina dello Suarez e di S. Caterina da Genova a tal riguardo. ­ Giovanni Sturton. - Visione di S. Liduina. 

  

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   Perché le anime, prima d'esser ammesse alla visione di Dio, hanno in tal modo a soffrire? Qual è  la materia, quale il soggetto di queste espiazioni? Il fuoco del Purgatorio che cosa deve purificare e  consumare in esse? Sono, dicono i Dottori, le macchie provenienti dai loro peccati. 

   Ma che s'intende qui per materia? Secondo la maggior parte dei Teologi non è la colpa del  peccato, ma la pena o il carico della pena proveniente dal peccato. 

   Per ben comprenderla, bisogna ricordarsi che ogni peccato produce nell'anima un doppio effetto,  che si chiama il debito (reatus) della colpa e quello della pena, rendendo il peccatore non soltanto  colpevole, ma degno ancora di pena o castigo. Ora, dopo perdonata la colpa, d'ordinario rimane a  scontare la pena in tutto o in parte, e dev'essere soddisfatta in questa o nell'altra vita. Le anime del  Purgatorio non hanno più alcuna macchia di colpa: ciò che avevano di colpa veniale al punto della  loro morte, disparve nell'ardore della pura carità di cui si sono accese nell'altra vita: ma portano  tutto il debito delle pene che non hanno deposto prima di morire. 

     Questo debito proviene da tutti i falli commessi durante la vita, sopratutto dai peccati mortali  rimessi, quanto alla colpa, con una sincera confessione, ma che si trascurò d'espiare con frutti degni  di penitenza esteriore. 

    Tal è la dottrina così dallo Suarez riassunta nel suo trattato del Sacramento della penitenza (34): 

     «Conchiudiamo dunque, dice egli, che tutti i peccati veniali coi quali un uomo giusto muore,  sono rimessi quanto alla colpa nel momento in cui l'anima si separa dal corpo, in virtù d'un atto di  amor di Dio o di contrizione perfetta, che allora fa di tutti i passati suoi trascorsi. Infatti, l'anima in  quel momento perfettamente conosce il suo stato ed i peccati di cui è colpevole dinanzi a Dio,  essendo nel tempo stesso padrone delle sue facoltà per operare; d'altronde, da parte di Dio, le è dato  il soccorso più efficace per operare secondo la misura di grazia santificante che possiede. Ne deriva  che, in questa perfetta disposizione, l'anima opera senza il menomo ritardo, tutta intera direttamente  si porta verso il suo Dio, e, per un atto di suprema detestazione. si trova sciolta da tutti i suoi peccati  veniali. Quest'atto efficace ed universale basta per cancellarli quanto alla colpa». 

     Dunque scompare ogni macchia di colpa; ma resta a scontare la pena in tutto il suo rigore e per  tutta la sua durata, a meno che le anime non siano aiutate dai vivi. Per se stesse più non potrebbero  ottenere qualsiasi remissione, perché, passato il tempo del merito, non possono più meritare, non  possono che soffrire, e in tal modo pagare alla terribile giustizia di Dio quanto le devono, fino  all'ultimo quadrante: usque ad novissimum quadrantem (Matth., V, 26). 

    Questi debiti di pena sono le reliquie del peccato ed una sorta di macchia, che impedisce la  visione di Dio e mette ostacolo all'unione dell'anima coll'ultimo fine. «Non esistendo la macchia o  la colpa del peccato nelle anime del Purgatorio, scrive S. Caterina da Genova (35), non vi è altro  ostacolo alla loro unione con Dio tranne le reliquie del peccato, di cui devono purificarsi. Questo  ostacolo, che sentono in sé, loro produce il supplizio del danno, di cui parlo, e ritarda il momento in  cui l'istinto che le porta verso Dio come suprema loro beatitudine, riceverà la piena sua  soddisfazione. Esse chiaramente veggono ciò che è dinanzi a Dio il più piccolo ostacolo cagionato  dalle reliquie del peccato, e che per necessità di giustizia ritarda la piena sazietà del beatifico loro  istinto. Perciò in esse nasce un fuoco d'un estremo ardore e simile a quello dell'inferno, ad  eccezione della colpa del peccato». 

    Dicemmo che il totale del debito delle pene nel Purgatorio proviene da tutti i falli non espiati  sulla terra, ma sopratutto dai peccati mortali rimessi solo quanto alla colpa. Ora, gli uomini la cui  vita intera scorre nell'abito del peccato mortale e che fino alla morte differiscono di convertirsi, supposto che Dio loro conceda questa grazia eccezionale, avranno a scontare, ben s'intende,  spaventevoli espiazioni. L'esempio del barone Sturton è tale da farli riflettere. 

    Il barone Giovanni Sturton, nobile inglese, in fondo al cuore era cattolico, abbenché, per  conservare le sue cariche alla corte, regolarmente assistesse alle funzioni protestanti; anzi in casa  sua nascondeva un prete cattolico con grande suo pericolo, volendosi di lui servire per riconciliarsi  con Dio al punto di morte. Ma fu colpito da un accidente, e come spesso avviene, per un giusto  giudizio di Dio, non ebbe il tempo di realizzare il suo voto di tardiva conversione. Intanto la divina  misericordia, tenendo conto di quanto aveva fatto per la Santa Chiesa perseguitata, gli aveva  concesso la grazia di fare in punto di morte un atto di contrizione perfetta, e ottenere così la salute.  Ma ben cara doveva pagare la sua negligenza.  

     Passarono lunghi anni; la sua consorte si rimaritò, ebbe figli, ed è una delle sue figlie, lady  Arundel, che come testimonio oculare narra questo fatto. 

    «Un giorno mia madre pregò il P. Corneille, gesuita di molto merito, che più tardi doveva morire  martire della fede cattolica (36), di celebrare la messa per l'anima di Giovanni Sturton, suo primo  marito. Accettò l'invito, e stando all'altare, tra la consacrazione ed il Memento dei morti, si fermò  lungo tempo come assorto in orazione. Dopo la messa, in una esortazione rivolta agli astanti, ci fece  conoscere una visione avuta durante il sacrifizio. Aveva veduto un'immensa foresta che si stendeva  dinanzi a lui, ma era tutta in fuoco e non formava che un vasto braciere; nel mezzo si agitava il  defunto barone, mandando lamentevoli grida, piangendo e confessando la vita colpevole tenuta nel  mondo e alla corte. Dopo d'aver particolarmente confessati i suoi falli, l'infelice aveva terminato  colle parole dalla Scrittura messe in bocca a Giobbe: Pietà, pietà, voi almeno che siete i miei amici,  giacché la mano del Signore mi ha colpito! Poscia era scomparso. 

    «Mentre Corneille raccontava queste cose, piangeva molto, e noi tutti, membri della famiglia, che  in numero di ventiquattro persone l'ascoltavamo, ci abbandonammo pure al pianto, e tutto ad un  tratto, mentre il Padre parlava, scorgemmo sul muro, al quale era appoggiato l'altare, come un  riflesso di ardenti carboni». 

    Tale è il racconto di lady Arundel, che si può leggere nella Storia d'Inghilterra di Daniel (37). 

    S. Liduina vide nel Purgatorio un'anima che soffriva molto per i peccati mortali,  incompletamente espiati sulla terra. Ecco come questo fatto è riferito nella Vita della santa. Un  uomo che per lungo tempo era stato schiavo del demonio della lussuria, ebbe finalmente il bene di  convertirsi. Infatti si confessò con grande contrizione; ma, prevenuto dalla morte, non ebbe il tempo  di soddisfare con un'equa penitenza per i numerosi suoi peccati. Liduina, che lo conosceva, molto  pregava per lui. 

    Dodici anni dopo la sua morte pregava ancora, quando in una delle sue estasi, in cui dal suo  angelo custode era condotta al Purgatorio, udì una lugubre voce che usciva da un profondo pozzo.  «È l'anima di colui, disse l'angelo, pel quale pregaste con tanto fervore e costanza». Fu stupita di  trovarlo ancora in quel luogo sì profondo dodici anni dopo la sua morte. L'angelo vedendo che èra  profondamente commossa le chiese se voleva soffrire qualche cosa per la sua liberazione: «Con  tutto il mio cuore», rispose quella vergine caritatevole. Da quel punto quindi soffrì nuovi dolori e  terribili tormenti che sembravano sorpassare le forze umane; tuttavia tutto sopportò con coraggio,  sostenuta da una carità più forte della morte, finché a Dio piacque sgravarnela. Allora, come  ritornata alla vita, respirò, e nel tempo stesso vide quell'anima per la quale tanto aveva sofferto,  uscir dall'abisso bianca come la neve, e spiccar il volo verso il Cielo. 

Padre F. S. SCHOUPPE d. C. d. G. 

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