Gabriele Amorth racconta...
Con monsignor Terenzi siamo giunti a uno dei punti più scandalosi della persecuzione contro Padre Pio, l’episodio delle registrazioni, organizzate per scoprire se Padre Pio fosse colpevole di mancare all’obbligo della castità. La versione ufficiale della Chiesa vuole che non si sia mai violato il segreto confessionale, durante quell’operazione, commettendo così un sacrilegio. Ma don Gabriele Amorth ha un'opinione diversa. «Monsignor Terenzi l'ho conosciuto bene, era uno che se isuperiori gli dicevano di ammazzare sua madre, ammazzava sua madre. Quando gli hanno parlato della questione dei microfoni, anche lui ha contribuito a far mettere i microfoni. L'han detto i superiori, non si discute. E invece si discute. Forse i microfoni glieli hanno messi solo in parlatorio, non in confessionale; ma capitava che qualcuno lo seguisse in parlatorio, e lui li confessava anche lì. E allora venivano registrate anche le confessioni. La violazione c'è. Ci sono i testi registrati; e l'attestazione degli interessati, che dicono: io queste cose a Padre Pio le ho dette solo in confessione, la violazione del segreto confessionale è provata. I microfoni li hanno messi in seguito alle accuse avanzate contro di lui in materia disesto comandamento. Un vero sviluppo diabolico. E luisubiva,senza mai chiedere niente. Tre anni sospeso dalle confessioni senza che gli fosse chiesto mai niente, senza la possibilità di discolparsi. Accusato, condannato, senza nessuna prova.»
Don Gabriele ha voluto chiudere questa lunga conversazione con un ricordo personale, emotivo, toccante, legato al monaco santo. «Sono stato un fedele di Padre Pio per ventisei anni. Ossia ci andai la prima volta nel 1942, durante la guerra, e gli sono stato fedele fino al 1968. Mi ricordo le due messe, la prima messa - e poi tutte le messe intermedie, - e gli ho anche servito messa-la prima messa, che mi fece tanta impressione, e l’ultima a cui ho assistito. Un’ora e quaranta minuti è durata, un’ora e cinquanta minuti. La prima messa in cui lui, all’altare, si vedeva che cercava di mascherare le sue sofferenze in tutti i modi... Poi mi insegnavano, quelli che erano un po’ più addentro nella conoscenza dei suoi modi... Aveva questo fazzolettone con cui faceva finta di asciugarsi il sudore - si asciugava le lacrime, piangeva molto durante la messa, soffriva molto. Vedevo alle volte quando si inginocchiava, nelle genuflessioni durante la consacrazione, quasi sembrava che non avesse la forza di rialzarsi. Ricordo tutto questo insieme di sofferenze che lui cercava di mascherare, e ne trovo la spiegazione nella sua risposta famosa a Cleonice, che gli chiedeva: come ti trovi quando sei sull’altare? “Mi trovo come Cristo in croce. ’’ Si sentiva crocifisso. Veramente viveva la passione. Noi diciamo sempre, ed è teologicamente esatto, che la messa è il rinnovo della passione di Cristo, incruento; da un punto di vista però del celebrante io direi, per Padre Pio, che ogni volta la celebrazione della messa era una celebrazione cruenta. Padre Pio soffriva immensamente, riviveva la passione».
È interessante integrare il racconto di don Amorth con la testimonianza resa da don Franco Renna, che è stato rettore del Seminario vescovile di Conversano, nella provincia di Bari, e che conserva un ricordo drammatico e vivissimo. Don Renna è nato nel 1929, e vide per la prima volta il monaco santo a San Giovanni Rotondo quando aveva dieci anni. «La chiesa dei Cappuccini distava dal centro abitato circa un chilometro» ha raccontato. «Piccola, ben illuminata, alle cinque del mattino già straripava di gente, venuta da tanti paesi per vedere Padre Pio, partecipare alla sua messa, confessarsi da lui e chiedere qualche grazia. Io, che già sentivo il desiderio di farmi prete, ne profittai per servire la Messa, spiando tutti i movimenti che faceva e non ho più dimenticato nulla. Al momento della consacrazione, lo ricordo come se fosse adesso, perché ho impresse quelle immagini a fuoco, sembrava che lottasse contro qualcuno o qualcosa. Ripeteva con forza: “Vattene! Vattene via!”. Lo vedevo soffrire, indugiare e grondare sudore. Poi si riprendeva: alzava l'ostia consacrata e il calice, con lo sguardo fisso in alto, perduto nel mistero eucaristico».
Era Padre Pio nel pieno della sua energia, poco più che cinquantenne. Una scena ben diversa da quella che don Gabriele vedrà nel 1968, alla fine dell’avventura terrena del monaco santo. «L'ultima messa, vederlo seduto in carrozzella! Vederlo quasi immobile, accompagnato dagli altri! Gesti molto limitati, molto limitati. Una messa che sarà durata tre quarti d'ora, proprio così in carrozzella, portato... un'impressione. Stava per morire. Consumato completamente dalla sofferenza. Ha cercato di morire sulla breccia. Anche l'ultimo giorno di vita è entrato in confessionale, per qualche minuto, nel confessionale delle donne. E entrato in confessionale, e alla notte è morto. Era la sua battaglia... La lotta di tutta la sua vita, condotta ininterrottamente contro i nemici di Dio e delle anime, i demoni. Se li ha visti in molteplici forme e se ne ha subito i colpi, penso che sia stato per ricordarne la presenza al mondo incredulo di oggi. I fatti esterni, vissuti e sofferti da Padre Pio, sono ben pallida idea dei fatti nascosti, della gravità del peccato, contro cui tutti dobbiamo lottare».
MARCO TOSATTI
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