domenica 10 luglio 2022

SAN PIO V IL PONTEFICE DELLE GRANDI BATTAGLIE

 


L'AVVERSARIO DELL'ERESIA 

Abbiamo visto come San Pio V, e da religioso e da cardinale, abbia, quale custode indefettibile dell'ortodossia, coraggiosamente combattuta la Riforma. Da pontefice la sua vigilanza si fece ancora più attenta. Qualcuno dei suoi predecessori, o per troppa indulgenza o per mancanza d'accortezza, aveva allentato alquanto le redini del governo; egli le strinse con mano ferma, senza curarsi di chi s'adombrava e s'impennava per il cambiamento di autorità. E mentre da una parte si sforzò di riformare i grandi, prelati e i cardinali, pretese dall'altra che imperatori e re cattolici si sottomettessero alle direttive della Chiesa. 
   È necessario seguirlo attentamente nella sua lotta incessante e generale contro i nemici del cattolicesimo. La necessità in cui ci troviamo, di esporre frammentariamente i fatti, non deve farci dimenticare che Pio V seppe dirimere a un tempo tutte le questioni religiose molteplici e delicate, che esigevano un pronto intervento. 
 
   La Germania gli suscitò contro molti avversari, poiché la Riforma per la connivenza e l'aiuto dei principi, vi aveva messo profonde radici. Poco curanti della dottrina, costoro avevano soprattutto approfittato delle dispute dogmatiche, per accrescere le loro ricchezze e consolidare il loro potere. Il motto di Melantone: “I principi sono chiamati divinità dal salmista” non lusingava soltanto il loro orgoglio, ma legittimava la loro intrusione nella sorveglianza delle chiese e nella direzione dei fedeli. 
   Ma su questo terreno, ove entrarono con tanta temerità, incontrarono oltre il comune avversario il cattolicesimo, le loro stesse passioni. Avidi di guadagno e di supremazia, i duchi di Brandeburgo, di Sassonia e gli Elettori palatini si lanciarono all'assalto, ma i loro interessi e la loro ambizione causarono in breve la rottura del loro fragile accordo, 
   Quando Pio V salì al pontificato, la lotta fino allora ritardata dal naturale, lento carattere dei tedeschi, minacciò di scoppiare. Cattolici e protestanti si stancarono di vivere sotto il regime provvisorio del trattato di Augusta (1555). I primi, scossi dal loro torpore dai gesuiti, che con la predicazione e l'insegnamento cominciavano a convertire Colonia, Treviri, Monaco, Ingolstadt, Innsbruck e molte altre città dell'impero, s'apprestavano a rivendicare e riprendere i loro antichi privilegi. I secondi, insuperbiti dei loro successi, intendevano di ottenerne dei maggiori e fare abolire ufficialmente il reservatum ecclesiasticum; poiché questa rinuncia ai beni ecclesiastici imposta a ogni beneficiario che accettava la Riforma, non impediva che un certo numero di beneficiati, segretamente guadagnati all'eresia, rimanessero ancora nei loro impieghi. 
   Il sostenitore nato del cattolicesimo in questa lotta era l'imperatore; suo compito era difendere la S. Sede e riunire i dissidenti. Ma Pio V non poteva far grande assegnamento sul suo aiuto. Massimiliano II aspirava, come i principi tedeschi, a sottrarre i suoi Stati a ogni giurisdizione di Roma. Da tempo simpatizzava coi luterani, e, nonostante le condanne del pontefice, non disdegnava di approvare altamente il detto, molto decantato dagli uomini politici protestanti: Cuius regio, huius religio, quale è lo stato, tale sia la religione. 
   Suo padre Ferdinando, essendo stato informato che a sua insaputa aveva interrogati gli Elettori di Sassonia, di Brandeburgo e del Palatinato su un loro eventuale concorso “nel caso che la dominazione papale divenisse più imperiosa”, temette di vedere il Sacro Impero posto in balia a delle credenze tanto incerte. “Ti confesso schiettamente, gli scrisse, che se tu non mi assicuri che conserverai la religione cattolica e che vuoi vivere e morire nel seno della Chiesa romana, io non solo non sosterrò la tua elezione, ma sarò il primo a combatterla” 1 . 
   Morto Ferdinando (1564), i principi brigarono per trascinare Massimiliano a mettersi a capo d'una guerra contro la Santa Sede. Essi sapevano troppo bene che questi aveva manifestato a Cristoforo di Wurtemberg la speranza di appianare le dissensioni dei Riformati, per “poter torcere il collo al Papa”. Sapevano inoltre ch'egli aveva mostrato rammarico per l'elezione del cardo Ghislieri, e che mentre sedeva a tavola con Alberto di Baviera, avendone ricevuto l'annunzio da un corriere di Cosimo de' Medici, senza alcun riguardo alla presenza del Commendone aveva fatte delle riflessioni poco favorevoli sul carattere e sui meriti del nuovo eletto 2 . L'elettore palatino, Federico III, si sforzava perciò di convincere i suoi colleghi: “Aiutiamo, diceva, il giovane imperatore a liberarsi dal papismo, e a distruggere l'idolatria e la superstizione”. 
   L'unico mezzo per indurlo a decidersi era la convocazione della Dieta. Durante queste assisi si sarebbe facilmente sollevata la questione che avrebbe acuito l'antagonismo tra il papato e l'impero, e avrebbe affrettata l'autonomia religiosa della Germania emancipata. 
   Uno dei motivi più seducenti era il pericolo imminente dell'invasione turca e l'obbligo di scongiurarlo. Gli ottomani minacciavano la frontiera orientale dell'impero, e Soliman si vantava di occupare presto la città di Vienna. Massimiliano, allarmato, convocò la Dieta ad Asburgo. Il disegno dei luterani e dei calvinisti andava effettuandosi al di là di quanto essi potevano desiderare, e poiché uno dei punti del programma dell'assemblea era la difesa del territorio imperiale, la Santa Sede, rassicurata a questo riguardo, non avrebbe pensato a mandarvi il Nunzio, e si sarebbe così potuto più facilmente circonvenire l'imperatore. 
   Ma quelli che facevano assegnamento sull'indifferenza di Pio V e si burlavano della sua astensione, ebbero una sorpresa ben amara. Al nuovo Papa, appena uscito dal conclave, fu annunziata la convocazione della Dieta. Egli invece di fermarsi all'argomento, trattato calorosamente, della difesa del Sacro Impero contro le orde musulmane, andò dritto a una frase incautamente inserita dall'imperatore nella sua dichiarazione: “L'assemblea potrà pure definire esattamente i dogmi cristiani, e stabilire le misure utili per arrestare il progresso delle sette perniciose, che si sono introdotte in Germania”. 
   Nonostante questo colpo da to con destrezza alle confessioni eretiche, “la prudenza è madre di sicurezza”, è un fatto che nelle Diete precedenti si erano promulgati dei nuovi dogmi per la Chiesa. Pio V non si lasciò ingannare. 
   “In mezzo agli strepiti d'una corte rumorosa, scrive Fléchier, in mezzo a tutte le premurose acclamazioni che salutavano la sua elezione a pontefice, Pio V senza lasciarsi vincere da quell'emozione che prova ordinariamente chi giunge al potere, cominciò subito a disimpegnare il proprio ufficio, e spedì un breve al card. Commendone, ordinandogli di trovarsi presente alla Dieta germanica, in qualità di legato apostolico. Indirizzò nello stesso tempo a lui, al cardo Truchsess, agli arcivescovi di Magonza e di Treviri e ai vescovi tedeschi istruzioni forti e precise, perché non tollerassero alcuna diminuzione delle prerogative della Santa Sede, e soprattutto non permettessero a un'assemblea laica di tenere una specie di concilio, e di giudicare su punti riguardanti la fede”. 
  Truchsess, che si era tempestivamente congratulato delle “disposizioni pacifiche” di Pio IV dovette presto constatare che le concessioni non ottenevano buoni frutti e plaudì all'abile fermezza di Pio V, che si opponeva alle manovre dei protestanti. 
    Con il legato il Papa fece partire alcuni teologi eminenti: Scipione Lancellotti, Nicola Sanders, e i gesuiti Nadal, Ledesma e San Pier Canisio. 
   La scelta del Canisio fu felice; egli era fornito d'ingegno, d'eloquenza e di grande virtù; aveva il vantaggio di essere gradito ai tedeschi, e veniva a buon diritto considerato come uno degli uomini più affezionati al proprio paese. Non contento di “promettere a Dio di faticare per la salvezza della Germania insieme all'angelo custode dell'impero”, bramava di far convergere sulla sua sola patria tutta l'attività della Compagnia. Lasciamo l'Italia e la Spagna, scriveva da Worms al Padre Vittoria nel 1557, e consacriamoci per tutta la vita alla Germania. Canisio godeva inoltre fama di uomo mansueto 3 . 
   “La verità dev'essere difesa con carità, scriveva da Asburgo nel 1559, e dobbiamo far tutto il possibile per acquistarci la stima di quelli che non la pensano come noi”. Ora è appunto questa condiscendenza che il cardinale Madruzzi e l'arcivescovo di Magonza sollecitavano dalla Santa Sede. “I tedeschi, sia regolari che secolari, diceva Truchsess, non si lasciano facilmente convincere che devono ricorrere a Vostra Santità, e si sa per esperienza che essi non hanno più molta fiducia di guarire, appena si dice loro che i rimedi devono venire da Roma” 4 . La scelta del Canisio fu perciò frutto di una tattica felice; la simpatia personale ch'egli ispirava, si rifletteva sulla missione del legato. Appena giunto, il santo. diede principio alle sue predicazioni; tre o quattro volte al giorno egli attirava attorno al pulpito numerosi uditori, e la sua influenza si fece a poco a poco sentire anche nella Dieta. 
   Sulla Dieta agiva direttamente il card. Commendone 5 . Attraverso conferenze private, egli aveva subito notificato gli ordini della Santa Sede ai duchi di Cleves, di Baviera, di Brunswick e agli arcivescovi elettori di Treviri e Magonza. La Dieta, disse loro, non ha ricevuto il mandato di prolungare il Concilio di Trento né di discutere sulle deliberazioni. Cercare una via di conciliazione coi Riformati sarebbe a un tempo errore e sogno vano. Un'assemblea cosi eterogenea, chiamata all'improvviso a dare il proprio giudizio su dissensioni in fatto di religione, invece di risolvere le differenze, non farebbe che aggravarle. Se, in seguito ai loro colloqui, i protestanti partissero più disuniti di prima, qual bene si sarebbe ottenuto da un dibattito, nel quale principi, ecclesiastici e predicatori non faranno altro che fantasticare, per far trionfare ciascuno la propria interpretazione? In quale spaventevole discordia non farebbero precipitare le discussioni tra cattolici e luterani della Confessione rettificata e della Confessione non rettificata? Come mettere d'accordo i seguaci di Hessus, di Strigel, di Wigand e di Schwenkfeld, i Flaciniani, gli Adiaforisti, i Synergisti, gli Osiandriti, i Muscoliti, senza parlare degli Zwingliani, dei Calvinisti, dei novelli Ubiquisti e di tanti altri riformatori? Ammesso il principio della controversia, chi dirà l'ultima, definitiva parola sull'interpretazione della Sacra Scrittura? Quando anche l'imperatore volesse tentare un colpo di forza, incontrerebbe nei suoi Stati un'opposizione irriducibile, e la cristianità non si adatterebbe mai a ritenere come sue le credenze d'un'assemblea laica o mista. Il Santo Padre, conchiudeva il legato, proibisce sotto pena di incorrere nelle censure, che nella conferenza si tocchino questioni dottrinali.  
   Commendone fece pervenire indirettamente all'imperatore queste ingiunzioni, riservandosi di convincerlo per via ufficiale, qualora egli avesse tentato di sfuggire. 
   Massimiliano, che conosceva il Papa, valutava pienamente il valore di tali avvertimenti, e poiché gli ripugnava di romperla pubblicamente con la Chiesa, decise di attendere, senza provocarla, l'occasione per rendersi indipendente. E cosi quando all'apertura della Dieta, nel marzo 1566, il duca di Baviera lesse il messaggio imperiale, il tentativo di conciliazione tra cattolici e protestanti, stipulato nella lettera di convocazione, era già svanito. La Dieta a sua volta ratificò le decisioni di San Pio V; gli argomenti religiosi non provocarono alcuna disputa, e cattolici e riformati, riuniti separatamente, presentarono per iscritto all'imperatore le loro reciproche querele. 
   Gli ugonotti si assembrarono tumultuosamente nel palazzo di Augusto di Sassonia. Là, pur accapigliandosi tra loro, finché si trattò delle loro dispute private, si affratellarono per opprimere coi peggiori oltraggi i loro colleghi cattolici. 
   Questi risposero alle ingiurie dei loro avversari con un tono di moderazione, che di per se stessa era già una forza: l'urbanità rende migliori le buone ragioni. Essi deplorarono che si fosse osato trattare la loro religione come “idolatria pagana”, e che venissero accusati di attentare all' onore e alla prosperità della Germania. Quindi, passando all'offensiva, svilupparono questo argomento, messo pure in rilievo da Ronsard nella sua Elegia a Guglielmo des Autels: “Se è necessario credere che Dio non si sia ricordato della sua povera Chiesa che da quarant'anni in qua, e abbia atteso finora ad accendere miracolosamente nel Sacro Impero germanico la luce infallibile, che dovrà rischiarare in seguito tutta la cristianità, per quale incomprensibile vendetta l'Onnipotente, dopo aver riscattato a sì caro prezzo il genere umano e inviato lo Spirito Santo alla Chiesa cristiana, ha per tanto tempo rifiutata una tal grazia ai nostri pii antenati, e abbandonati alla eterna dannazione tanti milioni d'anime battezzate nel suo nome?”. 
   A questa replica franca e cortese, i Riformati non risposero che raddoppiando le ingiurie 6 . 
   Tuttavia, se i cattolici si trovavano facilmente d'accordo sui punti essenziali, differivano però tra loro su parecchi altri, non privi d'importanza. Il legato si mostrò tanto più inquieto, in quanto che gli ordini di Pio V, malgrado la loro precisione, davano luogo a polemiche. 
   Il Papa aveva ingiunto ai suoi rappresentanti di lasciar la Dieta, qualora questa avesse inserito nel suo programma la conferma della pace d'Augusta. Sorpresi per questa severità, gli elettori cattolici la disapprovarono, qualificandola come una esagerazione. Il Commendone stesso la giudicò una misura eccessiva. 
   Da parte sua non opponeva alcuna difficoltà a eseguire materialmente le istruzioni ricevute, ma voleva con una saggia prudenza adattarle alle circostanze. Ansioso dell'avvenire, interrogava i suoi teologi. Lancellotti e Sander si pronunciarono favorevoli alla partenza immediata; i tre gesuiti prospettarono una soluzione più benevola. Questa varietà di pareri accresceva le incertezze del legato, il quale fini di comunicare al Santo Padre il suo parere e quello dei suoi consiglieri. 
   Pio V persistette da principio nei suoi sentimenti; ma poi, pregato da San Francesco Borgia, superiore generale dei gesuiti, da lui tenuto in grande stima per le sue virtù, si decise a consultare la Congregazione dell'Inquisizione. Questa fu di opinione che la semplice ristampa, tutta teoretica, del trattato d'Augusta non abrogava i diritti della Santa Sede. Allora il Papa autorizzò il Commendone ad agire in piena libertà. 
   Le circostanze concorsero a trarre il cardinale d'imbarazzo. Le violente dispute tra luterani e calvinisti, gli intrighi di Augusto di Sassonia e il processo dell'Elettore palatino attirarono tutta l'attenzione della Dieta. 
   Massimiliano, sempre bramoso di far le parti di arbitro e impotente a ristabilire la concordia, s'irritava contro i protestanti che chiamava “gente indecisa e mobile”. Stanco alla fine di tante lungaggini e inutili schiamazzi, congedò gli Elettori senza aver potuto effettuare il suo sogno. 
   Cosi, grazie all'energia di Pio V e alla destrezza del suo legato, i loschi maneggi della Riforma naufragarono miseramente. Solo il Commendone ottenne dal suo soggiorno qualche vantaggio: la soppressione degli abusi che il Santo Padre gli aveva segnalati. Il nuovo arcivescovo di Colonia, sospetto di condiscendenza verso l'eresia, dovette dichiararsi ortodosso, e la sede episcopale di Magdeburgo non venne più aggiudicata alla Casa di Sassonia. Egli impose ancora ai disertori ecclesiastici di rientrare, mise termine alla lunga vacanza delle sedi episcopali di Vienna e Gratz, costrinse parecchi titolari a ricevere la consacrazione, e provvide che tutti i vescovi dell'Impero avessero consiglieri dotti e virtuosi. 
   Si capisce come Pio V, soddisfatto dei felici risultati di questa legazione, abbia voluto conferire al suo rappresentante insigni onori. Il Papa, cosi umile, cosi nemico di ogni sfarzo che riguardasse la sua persona, voleva che venissero debitamente onorati quelli che avevano ben meritato della Chiesa. 
   Quando seppe del ritorno del Nunzio, radunò la corte pontificia, e diede incarico a una deputazione del Sacro Collegio di precederlo e accompagnarlo in trionfo al Vaticano. Là, assiso sul trono, lo accolse con grandi segni di stima e lo dichiarò assai benemerito della Sede Apostolica e di Dio. 

*** 

Card. GIORGIO GRENTE

Nessun commento:

Posta un commento