domenica 4 settembre 2022

IL CUORE DEL PADRE

 


Il cuore del Padre e la passione di Cristo

Rimane da vedere come si è comportato il Padre in quella battaglia dell'amore che fu la tragedia del Calvario; perché, sia pure invisibile, egli non era meno presente a quell'avvenimento unico nella storia del mondo, e nessuno avrebbe potuto esservi più intimamente partecipe di lui.

Affinché il sacrificio di Cristo sia un dono del Padre e la testimonianza suprema del suo amore, é necessario che il Padre vi sia veramente dato a noi attraverso il Figlio, si sia veramente impegnato col suo cuore paterno nel dramma della passione. San Paolo lo dà per certo quando afferma che il Padre non ha risparmiato il suo stesso Figlio e che l'ha sacrificato per noi. Ma quest'atto deve essere costato caro al Padre; e in ciò sta tutta la portata del suo amore.

Potremmo allora rappresentarci ancora il Padre freddo e insensibile davanti allo spettacolo della sofferenza del Figlio? Bisognerebbe considerarlo un Dio astratto, inaccessibile agli avvenimenti della terra, e perciò chiuso in una superba insensibilità anche davanti al supplizio del Calvario. Ma non si può, sia pure in nome del principio della impassibilità divina che tuttavia dobbiamo rispettare, vuotare il cuore del Padre dei sentimenti paterni che sogliono accompagnare indissolubilmente un vero amore. Sarebbe un voler fargli ingiuria attribuirgli una freddezza glaciale davanti allo spettacolo, così straziante per noi, di Gesù crocifisso.

Nella Scrittura troviamo un esempio toccante del dolore di un padre per la morte del figlio. Quando viene annunciata a David, come una buona notizia, la morte del figlio ribelle, il re tutto tremante si ritira a piangere nella sua camera, e lo si ode ripetere

« Figlio mio, Assalonnel Figlio mio, figlio mio Assalonne! Perché non sono io morto in tua vece? Assalonne, figlio mio! ». Chi oserebbe dire che David si è lasciato sviare dal dolore? Nel suo cuore paterno il dolore naturalmente esisteva, e ne rivelava la nobiltà dimenticando il ribelle per non pensare che al figlio. È evidente che non possiamo stabilire uno stretto paragone col Padre celeste, poiché questi non può mai trovarsi nella situazione di un padre umano; ma come potremmo negare a lui, che aveva creato a sua somiglianza il cuore paterno di Davide, la grandezza d'animo di un padre che si commuove sulla sorte del proprio figlio?

Riconoscendo al Padre i privilegi della divinità, non è necessario attribuirgli un amore meno grande che a un padre umano; tanto più se osserviamo Maria partecipare con tutto il suo cuore materno alla passione del Figlio. L'affetto che colmava il suo cuore le veniva in realtà dal cuore del Padre, da cui deriva ogni amore paterno o materno, e nel quale, al momento del Calvario, non poteva albergare meno bontà compassionevole che in quello degli spettatori terreni del dramma.

L'arte cristiana ha colto nella compassione della Vergine l'immagine più suggestìva dei sentimenti del Padre ed ha rappresentato, prendendo a modello la Pietà, cioè Maria che raccoglie il corpo del Figlio, il Padre celeste che lo riceve inanimato. Gli artisti dell'inizio del secolo XV si sono soprattutto interessati a quest'aspetto invisibile del sacrificio del Golgota. n Hanno voluto, dice Émile Male, associare Dio Padre non all'idea astratta del sacrificio, ma ai dolori della passione, convinti che se Dio è amore, come dice san Giovanni, deve aver sentito la pietà ». Lo stesso storico dell'arte prosegue commentando un'illustrazione estremamente commovente contenuta in fin breviario e che egli considera un capolavoro « Il corpo di Gesù sanguinante e livido è disteso in terra. La Vergine vuol gettarsi su di lui, ma san Giovanni glielo impedisce e, mentre cerca di trattenerla con tutte le sue forze, volge la testa verso il cielo quasi volesse rimproverare la cosa a Dio. Qui appare il volto del Padre; il suo sguardo è triste e sembra dire: 'Non farmi rimproveri, perché io pure soffro ».

È vero che, propriamente parlando, non si può attribuire la sofferenza al Padre. Abbiamo detto che era necessario salvaguardare il principio dell'impassibilità divina; sarebbe un cadere nell'antropomorfismo immaginare Dio in preda semplicemente a un dolore di tipo umano. D'altra parte non possiamo contestare la profonda verità contenuta in quest'opera d'arte cristiana, la nobile e commovente idea che essa ci offre dell'atteggiamento del Padre davanti alla passione di Gesù. Vi scorgiamo, infatti, un autentico cuore paterno, anche se l'espressione forzatamente umana che gli è conferita non può rendere adeguatamente la sublimità di ciò che accade in Dio.

D'altronde noi troviamo spesso nella Scrittura Dio presentato come un Essere veramente accessibile alla misericordia e alla pietà. Questo, anzi, è il sentimento fondamentale che Dio nutre nei confronti degli uomini: la pietà per le loro miserie e i loro dolori. Come pensare, allora, che egli non abbia pietà del Figlio suo morente sulla croce?

Ora, misericordia e pietà presuppongono una partecipazione al dolore altrui, partecipazione che si può chiamare simpatia o compassione. Ed è per l'appunto una forma superiore di simpatia quella che il Padre prova per Cristo crocifisso: il dramma della morte del Figlio è stato vissuto nel suo cuore paterno con tutta l'intensità del suo amore.

Indubbiamente, i sentimenti intimi del Padre celeste non si esprimono che nel mistero. Il Padre ha sempre posseduto la pienezza della felicità divina, e tuttavia ha intimamente partecipato al dramma del Calvario. A lui andava la riparazione, perché Cristo solo ha sofferto sulla croce meritandoci la salvezza, egli solo ha offerto il sacrificio; e tuttavia, accogliendo questo sacrificio, il Padre stesso si trovava impegnato, perché aveva donato il Figlio. Se la posizione del Padre ci appare complessa, è perché essa racchiude tutti gli aspetti di un insondabile amore paterno, per il Figlio unico e per noi tutti.

Faceva parte dunque della perfezione di questo amore simpatizzare profondamente con Cristo crocifisso. Poteva sembrare, esteriormente, che Gesù fosse abbandonato dal Padre; e anche nell'intimo dell'animo suo Cristo aveva avuto come un senso di vuoto e d'assenza, perché la sua abituale intimità col Padre era come coperta da un velo. Ed é in questo vuoto che risuona il grido: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? ». In realtà l'unione del Padre e del Figlio persisteva, e anche nel vuoto di quell'abbandono, in cui aveva lasciato Cristo, il Padre simpatizzava con lui.

Per comprendere il cuore del Padre in questa circostanza dobbiamo sempre avere presente questa simpatia, questa comunione in profondità col Figlio. Essa ci mostra a quale punto il Padre abbia impegnato tutto il suo affetto paterno nel sacrificio della croce e come il vero atteggiamento del Padre nei riguardi della sofferenza umana non sia di completa insensibilità. Allo stesso modo che ha sacrificato il Figlio, destinandolo espressamente al supplizio del Calvario, così il Padre ci manda delle prove; ma ciò non significa che le consideri con uno sguardo freddo e indifferente; né il fatto che egli é Dio significa che sia splendidamente inaccessibile a tutte le miserie che permette o dispone quaggiù. Poiché tutta la Rivelazione ci ha manifestato la misericordia divina, il Padre accompagna con tutta la sua pietà i dolori che ci manda, impegnando per primo il suo cuore paterno e avendo compassione in anticipo, nel mistero della sua divinità, delle prove che mette sul nostro cammino. Egli, che é il primo in tutte le cose, che ha portato nel suo cuore la passione di Cristo prima che divenisse reale, porta all'inizio nel suo cuore paterno il destino doloroso di coloro che vuole associare a questa passione. E quando il destino si compie, il Padre rimane con noi, legato a noi da una simpatia profonda, com'era rimasto unito al Figlio sofferente.

Questo prova l'immensa eco che tutte le umane miserie trovano nel suo cuore paterno e prova anche che in tutto il suo comportamento egli agisce esclusivamente in qualità di Padre. Più si scruta la sua maniera d'agire e i moventi della sua azione, più ci si convince che egli è unicamente guidato dall'amore paterno.

Di Jean Galot s. j.


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