martedì 7 luglio 2020

Le parole della conversione del pane e del vino sono «come se a pronunziarle fosse presente Cristo medesimo»[25]. San Tommaso



PANE DI VITA ETERNA E 
CALICE DELL’ETERNA SALVEZZA


Conversione

l Corpo e il Sangue di Nostro Signore si presentano sotto l’aspetto del pane e del  vino per conversione di tutta la sostanza del pane e del vino in tutta la sostanza del Corpo e  del Sangue del Signore. Questa trasformazione mirabile prende il nome di transustanziazione.

Il Dottor Angelico insegna che Cristo si fa presente nel sacramento non per movimento  locale, bensì per conversione della sostanza: «Alcuni hanno sostenuto che dopo la  consacrazione rimane in questo sacramento la sostanza del pane e del vino. – Ma ciò è  insostenibile. Primo, perché questa affermazione esclude la realtà del sacramento eucaristico,  la quale implica la presenza in questo sacramento del vero Corpo di Cristo. Ma questo non è  presente prima della consacrazione. Ora, una cosa può farsi presente dove prima non era o  per mezzo di un movimento locale o per il convertirsi di qualche altra cosa in essa: il fuoco p.  es., comincia ad essere in una casa o perché ci si porta, o perché viene generato in essa. È  chiaro però che il Corpo di Cristo non incomincia ad essere presente in questo sacramento per  un movimento locale. Primo, perché allora dovrebbe cessare di essere in cielo; infatti ciò che  si sposta localmente non giunge nel luogo successivo se non lasciando il precedente. Secondo,  perché ogni corpo mosso localmente attraversa tutti gli spazi intermedi: cosa che non si può  affermare nel nostro caso. Terzo, perché è impossibile che un unico movimento del medesimo  corpo mosso localmente finisca allo stesso tempo in luoghi diversi: il Corpo di Cristo invece si  fa presente sotto questo sacramento contemporaneamente in più luoghi. Da ciò si deduce che il  Corpo di Cristo non può incominciare ad essere in questo sacramento se non per mezzo della  conversione della sostanza del pane in esso. Ma quello che si muta in un’altra cosa, a  mutazione avvenuta non rimane. Per salvare quindi la verità di questo sacramento si deve  concludere che la sostanza del pane non può rimanere dopo la consacrazione»[26]. E: «…non  c’è altro modo per cui il vero Corpo di Cristo possa iniziare ad essere in questo sacramento  all’infuori della conversione in esso della sostanza del pane: e tale conversione viene negata  ammettendo o l’annichilazione della sostanza del pane o la sua risoluzione nella materia  preesistente»[27].

Tale conversione non è come nel caso dei cambiamenti naturali, ma è possibile solo  in virtù della potenza di Dio: «essendo presente in questo sacramento il vero Corpo di  Cristo, il quale non può iniziarvi la sua presenza con un moto locale, e neppure esservi  presente come in un luogo […], bisogna concludere che il Corpo di Cristo vi inizia la sua  presenza per la conversione in esso della sostanza del pane.

Questa conversione però non è simile alle conversioni naturali, ma è del tutto  soprannaturale, compiuta dalla sola potenza di Dio. Da qui le parole di S. Ambrogio: “È  noto che la Vergine generò fuori dell’ordine della natura. Ora, anche ciò che noi consacriamo è il Corpo nato dalla Vergine. Perché dunque cerchi l’ordine naturale nel  Corpo di Cristo, se il Signore stesso Gesù è stato partorito dalla Vergine fuori dell’ordine di  natura?”. E a commento del passo, “Le parole che vi ho rivolto (a proposito di questo  sacramento) sono spirito e vita”, il Crisostomo afferma: “Sono cioè spirituali, non hanno  niente di carnale né seguono un processo naturale, ma sono state liberate da ogni necessità  terrena e dalle leggi che vigono sulla terra”»[28].

È perciò opera solo di Dio: «…ogni conversione che si compia secondo le leggi  naturali è un cambiamento soltanto formale. Dio invece è atto infinito, come abbiamo  spiegato nella Prima Parte. Perciò la sua azione si estende a tutta la natura dell’ente. E  quindi può produrre non soltanto delle conversioni formali, in cui in un medesimo soggetto  si succedono forme diverse; ma può trasmutare tutto l’ente, in modo che tutta la sostanza di  un ente si converta in tutta la sostanza di un altro.

Ciò appunto avviene per virtù divina in questo sacramento. Infatti tutta la sostanza  del pane si converte in tutta la sostanza del Corpo di Cristo, e tutta la sostanza del vino in  tutta la sostanza del Sangue di Cristo. Perciò questa non è una conversione formale, ma  sostanziale. E non rientra tra le specie delle mutazioni naturali, ma con termine proprio  può dirsi “transustanziazione”»[29].

La transustanziazione è opera dello Spirito Santo e delle parole della consacrazione.  In una difficoltà l’Aquinate si pone questa domanda: «Il Damasceno afferma: “Solo per  virtù dello Spirito Santo avviene la conversione del pane nel Corpo di Cristo”. Ma la virtù  dello Spirito Santo è una virtù increata. Dunque per nessuna virtù creata di tali parole si  compie questo sacramento»[30]. E risponde: «Quando si dice che solo per virtù dello  Spirito Santo il pane si converte nel Corpo di Cristo non si esclude la virtù strumentale che  è nella forma di questo sacramento; come quando si dice che solo il fabbro fa un coltello  non si esclude la virtù del suo martello»[31].

Non si tratta di un mutamento naturale o formale, come quelli che conosciamo, perché la  forma deve essere nella materia o nel soggetto, e qui non c’è né l’uno né l’altro: «Anche la  seconda obiezione si basa sulla conversione o mutazione formale; perché, come abbiamo detto,  è necessario che la forma sia nella materia o nel soggetto. Ciò invece non avviene nella  trasmutazione di tutta la sostanza, alla quale non compete avere soggetto»[32]. «Questa  conversione, come abbiamo notato, non ha propriamente un soggetto. Tuttavia gli accidenti,  che rimangono, hanno una certa somiglianza con un soggetto»[33].

Ciò è così per il solo motivo che Dio è Dio ed è l’autore dell’essere: «Per virtù di un  agente limitato non può una forma cambiarsi in un’altra forma, né una materia in un’altra  materia. Ma per virtù di un agente infinito, che opera su tutto l’ente, tale conversione è  possibile perché ad ambedue le forme e ad ambedue le materie è comune la natura di ente;  e l’autore dell’ente può mutare l’entità dell’una nell’entità dell’altra, prescindendo di ciò  che distingueva l’una dall’altra»[34].

Tale conversione è istantanea, e questo per tre motivi: in primo luogo, perché la  sostanza del Corpo di Cristo, termine della stessa, non è suscettibile di un “di più” o di un  “di meno” – cioè perché è impossibile che la transustanziazione sia graduale –; secondo,  perché non c’è un soggetto da preparare successivamente; terzo, perché la realizza ’infinita potenza di Dio[35]  

Il pane si fa il Corpo di Cristo, ma il Corpo di Cristo non si fa pane: «Questa  conversione del pane nel Corpo di Cristo sotto certi aspetti assomiglia alla creazione e alla  trasmutazione naturale, e sotto altri differisce dall’una e dall’altra. Infatti è comune a tutti  e tre la successione dei termini, cioè che una cosa sia dopo l’altra: infatti nella creazione  abbiamo l’essere dopo il non essere, in questo sacramento abbiamo il Corpo di Cristo dopo  la sostanza del pane, e nella mutazione naturale abbiamo il bianco dopo il nero, o il fuoco  dopo l’aria; inoltre è comune la non coincidenza di detti termini.

Tale conversione assomiglia inoltre alla creazione, perché in entrambe è escluso un  soggetto comune ai due termini. Il contrario invece si verifica in ogni trasmutazione  naturale.
Questa conversione ha poi un’affinità con la trasmutazione naturale sotto due  aspetti, però in maniere diverse. Primo, per il fatto che in ambedue uno degli estremi si  converte nell’altro: il pane nel Corpo di Cristo, e l’aria (p. es.) nel fuoco, mentre il non  ente non si converte nell’ente. Tuttavia nei due casi il trapasso è ben diverso. Infatti in  questo sacramento l’intera sostanza del pane si converte in tutto il Corpo di Cristo; mentre  nella mutazione naturale la materia di una cosa riceve la forma di un’altra dopo la perdita  della forma precedente. – Secondo, si somigliano in questo, che in ambedue i trapassi  rimane un dato permanente: il che non può avvenire nella creazione. Però con questa  differenza: che mentre nelle trasmutazioni naturali rimane identica la materia o il soggetto,  in questo sacramento rimangono identici gli accidenti.

Da ciò si rileva quali siano le differenze di linguaggio da osservarsi in proposito.  Poiché infatti in nessuno dei tre processi indicati i termini estremi sono simultanei, in  nessuno di essi un estremo si può predicare dell’altro con un verbo di tempo presente che  indichi la sostanza: ecco perché non diciamo che “il non ente è ente”, o che “il pane è il  Corpo di Cristo”, oppure che “l’aria è il fuoco”, o che “il bianco è nero”.

Tenendo conto invece che gli estremi si succedono, possiamo nei tre casi usare la  proposizione “da” [ex] per designare la successione. Possiamo così dire con verità e  proprietà di linguaggio che “dal non ente si ha l’ente”, “dal pane si ha il Corpo di Cristo”,  “dall’aria il fuoco”, o “dal bianco il nero”.

Ma poiché nella creazione un estremo non si converte nell’altro, parlando della  creazione non possiamo usare il termine “conversione”, e quindi non possiamo dire che “il  non ente si converte nell’ente”. A codesto termine invece possiamo ricorrere in questo  sacramento, come anche nelle trasmutazioni naturali. Ma siccome in questo sacramento si  converte tutta una sostanza in tutta un’altra sostanza, tale conversione si chiama  propriamente “transustanziazione”.

Ancora, poiché in questa conversione non esiste un soggetto, tutto ciò che si  riscontra nelle conversioni naturali a motivo del soggetto non si può applicare a questa  conversione. Innanzitutto è chiaro che la potenza all’opposto è dovuta al soggetto; ed è in  relazione a esso che valgono le frasi: “il bianco può essere nero”, e “l’aria può essere  fuoco”. Sebbene in questo secondo caso l’espressione non sia così appropriata come nel  primo: infatti il soggetto del bianco in cui si trova la potenza al nero è tutta la sostanza di  codesto soggetto bianco, non essendo il bianco una parte della sostanza; invece il soggetto  della forma dell’aria è una parte dell’aria e quindi dire che “l’aria può essere fuoco” è  vero in forza della parte, per sineddoche. Al contrario nella transustanziazione, come nella creazione, non essendovi alcun soggetto, non si dice che un estremo può essere l’altro, p.  es., che “il non ente possa essere l’ente”, oppure che “il pane possa essere il Corpo di  Cristo”. – Per la stessa ragione non si può dire propriamente che “dal non ente si ha  l’ente”, o che “dal pane si ha il Corpo di Cristo”; perché questa preposizione “da” [de] indica una causa consustanziale e tale consustanzialità degli estremi nelle trasmutazioni  naturali dipende dalla comunanza del soggetto. – Similmente non è consentito dire che “il  pane sarà il Corpo di Cristo”, o che “il pane diventa il Corpo di Cristo”; come non è  consentito, rispetto alla creazione dire che “il non ente sarà l’ente”, o che “il non ente  diventa l’ente”, perché questo modo di dire è vero nelle trasmutazioni naturali a motivo del  soggetto: quando diciamo, p. es., che “il bianco diventa nero” e che “il bianco sarà nero”. 

Nondimeno, siccome in questo sacramento, a conversione avvenuta, rimane  qualche cosa di immutato, cioè gli accidenti del pane, come si è detto sopra, secondo una  certa analogia alcune delle proposizioni esaminate possono essere accettate: cioè che “il  pane è il Corpo di Cristo”, che “il pane sarà il Corpo di Cristo”, oppure che “dal pane  si ottiene il Corpo di Cristo”, intendendo con il termine “pane” non la sostanza del pane,  ma indeterminatamente ciò che è contenuto sotto le specie del pane, sotto le quali prima  era contenuta la sostanza del pane e poi il Corpo di Cristo»[36].

La conversione del pane e del vino nel Corpo e Sangue del Salvatore è tanto  mirabile, singolare, unica ed eccezionale che, afferma San Tommaso, è più difficile della  creazione del mondo: «In questa conversione ci sono delle cose più difficili che nella  creazione, nella quale è difficile soltanto questo, che una cosa venga dal nulla: ciò ad aliquid differt ab utroque. Est enim commune his tribus ordo terminorum, scilicet  ut post  hoc sit hoc, in creatione enim  est  esse  post non esse, in hoc sacramento Corpus Christi  post substantiam panis, in transmutatione naturali album post nigrum vel ignis post aerem;  et quod praedicti termini non sint simul. Convenit autem conversio de qua nunc loquimur  cum creatione, quia in neutra earum est aliquod commune subiectum utrique extremorum.  Cuius contrarium apparet in omni transmutatione naturali. 

Convenit vero haec conversio cum transmutatione naturali in duobus, licet non similiter.  Primo quidem, quia in utraque unum extremorum transit in aliud, sicut panis in Corpus  Christi, et aer in ignem, non autem non ens convertitur in ens. Aliter tamen hoc accidit  utrobique. Nam in hoc sacramento tota substantia panis transit in totum Corpus Christi, sed  in transmutatione naturali materia unius suscipit formam alterius, priori forma deposita.  Secundo conveniunt in hoc, quod utrobique remanet aliquid idem, quod non accidit in  creatione. Differenter tamen, nam in transmutatione naturali remanet eadem materia vel  subiectum; in hoc autem sacramento remanent eadem accidentia. 

Et ex his accipi potest qualiter differenter in talibus loqui debeamus. Quia enim in nullo  praedictorum trium extrema sunt simul, ideo in nullo eorum potest unum extremum de alio  praedicari per verbum substantivum praesentis temporis, non enim dicimus, “non ens est  ens”, vel, “panis est Corpus Christi”, vel, “aer est ignis” aut “album nigrum”. Propter  ordinem vero extremorum, possumus uti in omnibus hac praepositione “ex”, quae ordinem  designat. Possumus enim vere et proprie dicere quod “ex non ente fit ens”, et “ex pane  Corpus Christi”, et “ex aere ignis” vel “ex albo nigrum”. Quia vero in creatione unum extremorum non transit in alterum, non possumus in creatione uti verbo “conversionis”, ut  dicamus quod “non ens convertitur in ens”. Quo tamen 

tuttavia rientra nel modo di operare che è proprio della causa prima, la quale non  presuppone nient’altro. Invece nella transustanziazione non solo è difficile il fatto che questo  tutto si converte in un altro tutto, cosicché non resti nulla del primo, e ciò non rientra nel  modo comune di agire di nessuna 

verbo uti possumus in hoc sacramento, sicut et in transmutatione naturali. Sed quia in hoc  sacramento tota substantia in totam mutatur, propter hoc haec conversio proprie  “transubstantiatio” vocatur. Rursus, quia huius conversionis non est accipere aliquod  subiectum,  ea quae verificantur  in conversione naturali ratione subiecti, non sunt  concedenda in hac conversione. Et primo quidem, manifestum est quod potentia ad  oppositum consequitur subiectum, ratione cuius dicimus quod “album potest esse nigrum”,  vel “aer potest esse ignis”. Licet haec non sit ita propria sicut prima, nam subiectum albi, in  quo est potentia ad nigredinem, est tota substantia albi, non enim albedo est pars eius;  subiectum autem formae aeris est pars eius; unde, cum dicitur, “aer potest esse ignis”,  verificatur ratione partis per synecdochen. Sed in hac conversione et similiter in creatione,  quia nullum est subiectum, non dicitur quod unum extremum possit esse aliud, sicut quod  “non ens possit esse ens”, vel quod “panis possit esse Corpus Christi”. Et eadem ratione non  potest proprie dici quod “de non ente fiat ens”, vel quod “de pane fiat Corpus Christi”, quia  haec praepositio “de” designat causam consubstantialem; quae quidem consubstantialitas  extremorum in transmutationibus naturalibus attenditur penes convenientiam in subiecto. Et  simili ratione non conceditur quod “panis erit Corpus Christi”, vel quod “fiat Corpus  Christi”, sicut neque conceditur in creatione quod “non ens erit ens”, vel quod “non ens fiat  ens”, quia hic modus loquendi verificatur in transmutationibus naturalibus ratione subiecti,  puta cum dicimus quod “album fit nigrum”, vel “album erit nigrum”. Quia tamen in hoc  sacramento, facta conversione, aliquid idem manet, scilicet accidentia panis, ut supra dictum  est [in c. et a.5], secundum quandam similitudinem aliquae harum locutionum possunt  concedi, scilicet quod “panis sit Corpus Christi”, vel, “panis erit Corpus Christi”, vel, “de  pane fit Corpus Christi”; ut nomine “panis” non intelligatur substantia panis, sed in  universali “hoc quod sub speciebus panis continetur”, sub quibus prius continetur substantia  panis, et postea Corpus Christi».

causa, ma c’è di difficile anche la permanenza degli accidenti dopo la conversione della  sostanza, e molte altre cose di cui si parlerà in seguito. Ciò nonostante, il termine  “conversione” si usa per questo sacramento..., e non per la creazione»[37]. 

È opera della potenza attiva del Creatore: «La potenza, come si è detto, spetta al  soggetto, che manca in questa conversione. Ecco perché non è lecito dire che il pane può  essere il Corpo del Cristo, poiché questa conversione non si compie in virtù della potenza  passiva della creatura, ma solo in virtù della potenza attiva del Creatore»[38].

È una conversione miracolosa: «…in questo sacramento la consacrazione della materia consiste in una miracolosa conversione della sostanza che Dio solo può compiere.  Perciò nel fare questo sacramento il ministro non ha altro ufficio che quello di proferire le  parole»[39].

È molto adatta la forma della consacrazione del pane «Questo è il mio Corpo»:  «Questa è la forma conveniente della consacrazione del pane. Sopra infatti abbiamo visto  che tale consacrazione consiste nella conversione della sostanza del pane nel Corpo di  Cristo. Ora, è necessario che la forma del sacramento significhi ciò che il sacramento  produce. Quindi anche la forma della consacrazione del pane deve significare la  conversione del pane nel Corpo di Cristo, nella quale si riscontrano tre elementi: la  conversione, il termine di partenza e il termine di arrivo.

Ebbene, la conversione si può considerare in due modi: nel suo compiersi [in fieri] e  nella sua attuazione già avvenuta [in facto esse]. Ora, nella forma della consacrazione del  pane la conversione non doveva essere indicata nel suo compiersi, ma come attuata. Primo,  perché questa conversione non è successiva ma istantanea, come si è detto sopra, e nelle  mutazioni istantanee il compiersi s’identifica con l’essere compiuto. – Secondo, perché le  forme sacramentali servono a indicare l’effetto del sacramento, come le forme artificiali  servono a indicare l’effetto dell’arte. Ma la forma che guida l’arte è l’immagine del prodotto  rifinito a cui l’artista mira con la sua intenzione: la forma dell’arte p. es., nella mente di un  architetto è principalmente la forma della casa costruita, e solo secondariamente la forma  della sua costruzione. Perciò anche nella forma della consacrazione del pane deve  esprimersi la conversione come attuata, perché ad essa mira l’intenzione.

Ora, poiché la conversione stessa viene espressa in questa forma come compiuta,  necessariamente gli estremi della conversione vanno indicati come sono al momento in cui  la conversione si è già realizzata. Ma allora il termine di arrivo ha la natura propria della  sua sostanza, mentre il termine di partenza non conserva la sua sostanza, ma solo i suoi  accidenti, con i quali si presenta ai sensi e secondo i quali è determinabile dai sensi. È  giusto quindi che il termine di partenza venga indicato con il pronome dimostrativo riferito  agli accidenti sensibili che rimangono. Invece il termine di arrivo si esprime con un  sostantivo che indica la natura di ciò in cui la cosa si converte: e questo, come abbiamo  notato, è il Corpo di Cristo nella sua integrità e non la sola carne. Perciò la forma “questo  è il mio Corpo” è convenientissima»[40].

Padre Carlos Miguel Buela,

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