Non facciamo confusione! Occorre saper distinguere con chiarezza le cose, perché nella nebbia, nell’ambiguità, nell’oscurità c’è l’inganno e l’insidia del nemigo della Verità.
“Dio creò l’uomo a Sua immagine e a Sua somiglianza”.
Una cosa è l’immagine, un’altra è la somiglianza.
La prima è nell’essere, nella natura umana, fatta secondo il modello di come è Dio stesso.
La seconda è nel vivere: l’uomo doveva vivere a somiglianza di Dio, pensare come Dio pensa, vedere tutto come Dio lo vede, amare con lo stesso Amore eterno e infinito di Dio, avere gli stessi gusti, la stessa felicità, gli stessi diritti divini (altro che umani!), lo stesso modo di agire, lo stesso cuore, la stessa Vita della Stma. Trinità, la stessa loro adorabile Volontà, sorgente della loro Vita, delle loro opere, di tutti i loro attributi divini, del loro Volere, della loro felicità!
Sì, perché una cosa è la volontà, un’altra è il volere, come una cosa è il cuore (la volontà), un’altra è il battito del cuore (il volere), e un’altra ancora è la vita che questo battito manifesta e al tempo stesso produce (l’amore). Se la sorgente indica la volontà, il fiume che vi nasce è il volere, ma di che è questo fiume? Di amore.
D’altronde, una cosa era l’albero del paradiso, un’altra era il frutto dell’albero e un’altra ancora era ciò che il mangiare avrebbe causato. Anzi, siccome due erano gli alberi, l’albero “della Vita” e l’albero “della conoscenza del bene e del male”, ed era di quest’ultimo che Dio aveva detto di non mangiare, mangiare di quest’ultimo non avrebbe causato la vita, ma la morte.
Una cosa è la vita naturale umana e un’altra è la Vita soprannaturale divina.
Nella prima, Dio ha messo l’immagine della sua stessa Vita; nella seconda (non per natura, ma per grazia, la Grazia) Dio concede una partecipazione della sua Vita, a somiglianza della sua Vita.
L’uomo, creato ad immagine di Dio e quindi responsabile della propria vita e del proprio destino, dotato perciò di volontà libera (…una cosa è il libero arbitrio e un’altra è la libertà), fu messo da Dio di fronte a questo bivio: decidersi per Dio o per il proprio “io”, decidere se dar vita in sé alla Volontà divina o dar vita alla propria volontà umana, decidere se accogliere come vita il Volere stesso di Dio o preferire il proprio volere umano.
Questa era la prova necessaria voluta da Dio per promuoverlo. Ma nella prova s’inserisce la tentazione, lanciata dal diavolo per rovinarlo.
Questa decisione non era, non è propriamente una “scelta”: Dio non disse all’uomo di “scegliere” –non è giusto scegliere tra il bene e il male, tra la vita e la morte, tra la verità e la menzogna, come non lo è scegliere tra Cristo e Barabba!– ma di decidersi per il bene, per la verità, per la vita, per Dio, per la Volontà Divina, non per una qualunque delle due cose! Si sceglie tra due o più cose che in partenza di pensano paragonabili, quindi si sceglie quando si ignora il vero valore e significato delle cose, ma quando esso si conosce non si sceglie; la scelta implica ignoranza. “Scegliere” tra il bene e il male, una volta che Dio ci ha manifestato qual è il bene, non è ammissibile, è già offendere; perciò, Dio chiede all’uomo non una scelta, ma una decisione.
Questa decisione si manifestava nell’ubbidire al comando divino di non mangiare del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male.
Se l’albero della Vita era l’immagine della Volontà Divina, l’albero della conoscenza del bene e del male (di una conoscenza che non è vita) era l’immagine della volontà umana. Del primo, l’uomo poteva mangiare, del secondo non doveva farlo. Mangiare il frutto del secondo (assaggiare il proprio volere umano, contro il Volere Divino) avrebbe causato, non la vita, ma la morte.
Questi due alberi, a differenza di tutti gli altri alberi del paradiso e della Creazione, erano perciò come una specie di “sacramenti”, poiché, istituiti da Dio Padre Creatore, nella loro materialità significano una realtà spirituale e al tempo stesso la conferiscono. Dovevano avere perciò una realtà materiale, per poter esprimere un significato spirituale.
I rispettivi frutti, dell’uno e dell’altro, dovevano essere per tanto veri frutti materiali (in nessuna parte è detto che fosse la famosa “mela”), ma con un preciso significato: il “frutto divino” oppure il “frutto umano”, comunque il frutto del grembo, della procreazione. Frutto benedetto e divino, quello di Maria; frutto privo di benedizione e umano, quello di Eva, anzi, il suo primogenito, Caino, “era del maligno”, ci dice la Scrittura.
L’uomo, peccando, ferì e deformò, profanò l’immagine divina che porta nella propria natura umana, e perdette la somiglianza divina; da essere figlio di Dio per grazia divenne ribelle e, pentito, potè essere ammesso soltanto come servo, in attesa della Redenzione.
L’uomo perdette la Vita soprannaturale divina, perché preferì il proprio volere contro il Volere di Dio. Peccò e, perdendo la Vita soprannaturale (la Grazia), perdette di conseguenza anche la vita naturale. La sua volontà umana si separò dalla Volontà Divina; quindi l’anima si separa dal corpo.
Muore l’anima spirituale ed immortale (nel senso che rimane priva della Vita Divina) e quindi muore anche il corpo (privo dell’anima). Così, è doppia la morte: quella dell’anima e quella del corpo.
Il peccato è morte dell’anima; la morte –conseguenza del peccato– è morte del corpo.
Perciò la Redenzione operata da Nostro Signore Gesù Cristo ha comportato che Lui ha assunto la nostra doppia morte nella sua Vita e Passione: la Passione della sua Anima e quella del suo Corpo.
Il peccato è rifiuto della Volontà di Dio e Gesù lo ha annientato con l’adesione perfetta alla Volontà del Padre; invece la conseguenza del peccato –la perdita di tutti i beni soprannaturali, preternaturali e naturali, che culmina nella morte– Gesù l’annientata con la sua Passione e Morte, in un crescendo fin da quando s’incarnò.
Esiste una doppia morte, che corrisponde anche alle due dimensioni dell’esistenza dell’uomo: una è nel tempo della prova, l’altra è per sempre, oltre questa vita. Quindi morte temporale e morte eterna.
Dalla prima morte, che è universale (conseguenza del peccato originale) “nessun uomo vivente può scappare”, ma ci sarà alla fine della storia (alla fine del mondo) la resurrezione universale dei corpi, perché ogni uomo andrà –corpo e anima– al suo destino definitivo, da lui scelto.
Dalla seconda, che è separazione da Dio, c’è possibilità di liberarsi fin che si è in questa vita, mediante il vero pentimento, la riconciliazione con Dio, il perdono divino (attraverso la Chiesa). Ma se termina il tempo della prova e l’uomo muore senza la Grazia e senza invocare la Misericordia Divina, lo scontro con la Giustizia si traduce in morte eterna, rifiuto di Dio per sempre. Questa è la seconda morte, senza più rimedio. E come c’è una doppia morte, vi è anche una doppia resurrezione. Quella spirituale non è solo il ritorno alla Grazia, ma più ancora il ritorno dell’uomo “nell’ordine primordiale della Creazione”, ad avere come vita la Divina Volontà. La seconda, quella corporale, sarà alla fine del mondo.
Due sono le Venute del Signore: la prima, come Redentore; la seconda, come Re.
ella sua prima venuta, come Redentore, riparò l’immagine divina, deformata e quasi irriconoscibile nell’uomo; nella seconda venuta, come Re, ridà la perduta somiglianza divina, riportando l’uomo che lo accoglie nell’ordine, al suo posto assegnato da Dio e nello scopo per cui fu creato.
La prima venuta del Signore fu per salvare l’uomo, riaprendo le porte del Cielo, perché chi vuole vi entri. La seconda venuta è per salvare il Decreto eterno del suo Regno, facendo scendere il Cielo e rinnovando così la faccia della terra.
Frutto della sua prima venuta è ridare la vita divina della Grazia, facendo diventare l’uomo figlio di Dio (la prima resurrezione); frutto invece della sua seconda venuta è dare a quest’uomo in Grazia il possesso del suo Regno, la pienezza dei beni della Creazione, della Redenzione e della Santificazione.
La prima venuta (o “Avvento”) del Signore fu nella “Pienezza dei tempi”. La sua seconda venuta (o “Parusìa”) è alla “fine dei tempi”, fine dei tempi d’attesa e arrivo del tempo tanto atteso, fine dei tempi d’angoscia e arrivo del tempo della consolazione, il tempo “della restaurazione di tutte le cose”.
Quindi, è necessario distinguere i tempi della storia:
-l’inizio dei tempi o inizio del mondo;
-la pienezza dei tempi;
-la fine dei tempi, e
-la fine del mondo (o della storia)
Tra queste due ultime c’è in mezzo un tempo glorioso, lunghissimo, di compimento del Regno di Dio promesso nel Padrenostro, il Regno della sua Volontà “sulla terra come in Cielo”. E’ quello che l’Apocalisse chiama “il Millennio”. Immagine di esso furono i quaranta giorni che Gesù Risorto volle, ormai glorioso, restare sulla terra prima della sua Ascensione in Cielo.
P. Pablo Martín
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