Come è pericoloso il tralasciar di adempire la volontà divina, anche in cose piccole.
Non solo dobbiamo considerare e temere i giusti giudizi di Dio, per conformarci con tutto quello che Dio farà, ma anche per adempire ed eseguire in tutte le nostre opere la sua santissima volontà, benché sia minima la nostra azione; sicché non ci pigliamo ardire di muoverci, neppure un tantino, se non è per dar gusto a lui in tutto. Per il che si deve grandemente avvertire che l'infinita sapienza di Dio ha disposto grandi beni, così temporali come eterni, dipendenti tutti dall'adempire noi la Sua volontà in cose piccole. Il che è un meraviglioso e secreto giudizio della divina provvidenza. Alle volte non castiga Dio in questa vita molti che commisero peccati gravi, e castiga altri santi, e alle volte, severissimamente, anche i medesimi peccatori, di qualche leggera trascuraggine che hanno commessa. Altre volte lasciando di premiare in questa vita opere grandi di virtù, suole per un piccolo servizio fare segnalatissime grazie e rimunerarle con maggiori dimostrazioni e con altre opere maggiori. Di modo che ci sono alcune azioni virtuose, nella esecuzione delle quali od omissione, ancorché sia molto leggera, per giusti e altissimi giudizi, fa Dio dimostrazioni notabili, concedendo grazie grandi, se si adempie in esse la sua volontà, o mandando castighi grandi se si ci passa sopra. Non conoscendo dunque quali siano queste opere, dobbiamo stare molto attenti e solleciti a non mancare in cosa alcuna, per minima che sia, all'intero adempimento del suo santissimo gusto, perché non sappiamo se quello che ci pare meno importante, sia quello per il quale abbiamo ad essere più castigati.
Chi avrebbe detto che per tanto gravi peccati di Davide, per tanto gravi ingiustizie, quanto l'adulterio di Bersabea e l'omicidio di Uria, la divina giustizia si avesse di presente a contentare con la morte di una creatura? E che il numerare il popolo, nel che Davide non fece ingiustizia ad alcuno, anzi pareva buon governo, fosse castigato da Dio con la morte di settantamila uomini? Al sacerdote Aronne, per peccato sì enorme, come il lasciar che il popolo adorasse il vitello d'oro, non toccò Dio un capello della testa. E invece perché egli e il suo santo fratello, nel percuotere una pietra perché scaturisse acqua, non si diportarono del tutto come Dio voleva, che fu colpa solamente veniale, li castigò molto rigorosamente, negando loro la cosa che più desideravano in questa vita, che fu l'entrata nella Terra promessa, e non contentandosi di questo solamente, levò loro la medesima vita.
Per certo l'infinita bontà del nostro Dio ha ordinato tutto questo con divina sapienza, perché non solo adempissimo la sua volontà nel più, ma anche nel meno, non solo nel molto, ma anche nel poco, e però ha castigato molto fortemente il mancare, in cose piccole, al suo gusto. Veramente fu altissimo giudizio di Dio la morte infelice del santo re Giosia, per la poca considerazione con la quale non volle credere a quello che da parte di Dio gli significò un re barbaro. E chi non stupisce di Oza, che per toccar l'Arca del Testamento, quando stava per cadere, Iddio l'avesse a castigare con tanto subitaneo e terribile castigo, quanto il restar morto all'improvviso, percosso dalla mano di Dio? Si racconta nella Sacra Scrittura di altri due, i quali, perché mancarono leggermente a quello che Dio ordinò loro, furono infelicissimamente uccisi dai leoni, Grande castigo fu quello della moglie di Lot, che non per altro che per essersi voltata indietro (il che le era stato proibito), fu convertita in statua di sale. Aggiungo di più: la caduta di S. Pietro nel negare il Salvatore, fu pena di un poco di presunzione. La caduta di Davide fu un poco di amar proprio e una immodestia d'occhio. Quella di Salomone ancora fu per qualche vanagloria. E la eterna perdizione di Saul, non v' ha dubbio che fu cagionata da poca cosa, donde si ridusse a non far la volontà divina in cosa grave: dal che venne la sua riprovazione, la morte infelice, la tragica fine della sua famiglia e la sua eterna condanna.
Per il contrario Iddio ha rimunerato opere di piccole virtù con abbondantissime grazie: Abigaille, per alcune buone parole e per la liberalità che usò con Davide, fu innalzata da Dio ad essere moglie di un re. Rebecca, perché fu cortese col servo di Abramo, meritò di accasarsi con Isacco; e fu della progenie del Messia. Per una limosina che fece S. Gregorio, Iddio lo fece pontefice della sua Chiesa, e gli concesse grandi doni spirituali. Di modo che l'opera buona che uno meno pensa, può essere causa di grandissimi beni e della propria salvezza e santità, e il mancamento e la trascuratezza di cui fa meno conto, può essere principio di grandi mali e della morte temporale ed eterna.
Che cosa dunque dobbiamo imparare da ciò, se non che dobbiamo vigilare in tutte le nostre opere e azioni per non mancare in cosa alcuna all'adempimento del gusto divino? Quanto avrebbe perso Abigaille se avesse lasciato di essere cortese, con Davide? E da quanto gran male si sarebbero liberati Salomone e Saul, se in tutto avessero adempito il divino beneplacito? Dovremmo tremare di lasciar un' opera di virtù e di mancare un poco al gusto di Dio, perché non sappiamo quanto ciò sia per costarci, né conosciamo che può importarci molto quello che ci par poco.
Vorrei che ponderassimo questo, come io giudico essere necessario, e che ci facesse quella forza che ha questa ragione, perché corre rischi grandi chi va mancando all'adempimento della volontà divina; e ancorché l'adempisca in alcune cose, se non l'adempie con lealtà, se ne lascia alcune, benché piccole, può correre gran pericolo d'incontrare il principio della sua perdizione, o di lasciar l'occasione della sua ventura e perfezione. Sono grandi e altissimi i giudizi di Dio, ed è dovere che li teniamo sempre davanti agli occhi e ce ne ricordiamo spesso quando ci si offre alcuna opera di virtù, ancorché ci paia di poca importanza. Che so io quello che me ne va in questo? perché ci può andare la mia perdizione o la mia salvezza: ne possono seguire grandi mali o beni; i giudizi di Dio sono secreti: non voglio per poca cosa pormi a rischio di cose tanto grandi.
Se ad uno fosse posta davanti una quantità di bicchieri pieni, alcuni grandi ed altri piccoli, e gli fosse detto che in uno di essi è il veleno, avrebbe per avventura ardire di berne alcuno, per piccolo che fosse? No, per certo, ancorché gli fosse promesso di farlo re. Possiamo dunque far questo conto per non mancare in nulla all'adempimento della volontà di Dio; perché non sappiamo se in alcuna di queste omissioni e negligenze sta nascosto il veleno della nostra perdizione.
Per il contrario se uno fosse messo in un luogo, dove fossero molte casse, alcune grandi, altre mezzane, altre piccole, e fosse avvertito che in una di esse v'ha una perla di inestimabile valore, che sarà sua, se saprà trovarla, lascerebbe egli forse di cercare in tutte le casse? Non sarebbe grande sciocchezza se ne lasciasse alcuna, ancorché piccola? Non dovrebbe egli fare questo conto: che so io se sta qui la perla? E pertanto poca diligenza non voglio già perderla. Il medesimo conto dobbiamo far noi circa l'opere di virtù e di gusto di Dio. Non voglio lasciarne nemmeno una: io non so se sta qui la sicurezza della mia salute; per piccola che sia, non deve restar indietro, anzi per essere piccola, la devo lasciar meno. Forse di qui dipende l'essere santo; forse questo m'importa per acquistar grazie grandi da Dio. Dimodoché così nel molto, come nel poco, ci obbligano i giusti giudizi di Dio a fare in tutto la sua santissima volontà e a non tralasciarla mai.
P. EUSEBIO NIEREMBERG, S. J.
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