LIBRO DEL PROFETA DANIELE
Il re Nabucodònosor aveva fatto costruire una statua d’oro, alta sessanta cubiti e larga sei, e l’aveva fatta erigere nella pianura di Dura, nella provincia di Babilonia.
Il re Nabucodònosor è idolatra. Crede negli dèi di pietra, ferro, legno, terracotta, altro materiale nobile e meno nobile. L’idolatria è uno dei frutti della stoltezza.
Il re Nabucodònosor aveva fatto costruire una statua d’oro, alta sessanta cubiti e larga sei, e l’aveva fatta erigere nella pianura di Dura, nella provincia di Babilonia. L’idolatria è vera rinunzia alla razionalità dell’uomo.
Sempre la Scrittura interviene per manifestare la stoltezza degli idoli. Sappiamo che il Libro della Sapienza dedica alcuni capitoli a mostrare le loro origini.
Davvero vani per natura tutti gli uomini che vivevano nell’ignoranza di Dio, e dai beni visibili non furono capaci di riconoscere colui che è, né, esaminandone le opere, riconobbero l’artefice. Ma o il fuoco o il vento o l’aria veloce, la volta stellata o l’acqua impetuosa o le luci del cielo essi considerarono come dèi, reggitori del mondo. Se, affascinati dalla loro bellezza, li hanno presi per dèi, pensino quanto è superiore il loro sovrano, perché li ha creati colui che è principio e autore della bellezza. Se sono colpiti da stupore per la loro potenza ed energia, pensino da ciò quanto è più potente colui che li ha formati. Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore.
Tuttavia per costoro leggero è il rimprovero, perché essi facilmente s’ingannano cercando Dio e volendolo trovare. Vivendo in mezzo alle sue opere, ricercano con cura e si lasciano prendere dall’apparenza perché le cose viste sono belle. Neppure costoro però sono scusabili, perché, se sono riusciti a conoscere tanto da poter esplorare il mondo, come mai non ne hanno trovato più facilmente il sovrano? Infelici anche coloro le cui speranze sono in cose morte e che chiamarono dèi le opere di mani d’uomo, oro e argento, lavorati con arte, e immagini di animali, oppure una pietra inutile, opera di mano antica.
Ecco un falegname: dopo aver segato un albero maneggevole, ha tagliato facilmente tutta la corteccia intorno e, avendolo lavorato abilmente, ha preparato un oggetto utile alle necessità della vita; raccolti poi gli avanzi del suo lavoro, li consuma per prepararsi il cibo e saziarsi. Quanto avanza ancora, buono proprio a nulla, legno contorto e pieno di nodi, lo prende e lo scolpisce per occupare il tempo libero; con l’abilità dei momenti di riposo gli dà una forma, lo fa simile a un’immagine umana oppure a quella di un animale spregevole. Lo vernicia con minio, ne colora di rosso la superficie e ricopre con la vernice ogni sua macchia; quindi, preparatagli una degna dimora, lo colloca sul muro, fissandolo con un chiodo. Provvede perché non cada, ben sapendo che non è in grado di aiutarsi da sé; infatti è solo un’immagine e ha bisogno di aiuto. Quando prega per i suoi beni, per le nozze e per i figli, non si vergogna di parlare a quell’oggetto inanimato, e per la sua salute invoca un essere debole, per la sua vita prega una cosa morta, per un aiuto supplica un essere inetto, per il suo viaggio uno che non può usare i suoi piedi; per un guadagno, un lavoro e un successo negli affari, chiede abilità a uno che è il più inabile con le mani (Sap 13,1-19).
Anche chi si dispone a navigare e a solcare onde selvagge invoca un legno più fragile dell’imbarcazione che lo porta. Questa infatti fu inventata dal desiderio di guadagni e fu costruita da una saggezza artigiana; ma la tua provvidenza, o Padre, la pilota, perché tu tracciasti un cammino anche nel mare e un sentiero sicuro anche fra le onde, mostrando che puoi salvare da tutto, sì che uno possa imbarcarsi anche senza esperienza. Tu non vuoi che le opere della tua sapienza siano inutili; per questo gli uomini affidano la loro vita anche a un minuscolo legno e, avendo attraversato i flutti su una zattera, furono salvati.
Infatti, anche in principio, mentre perivano i superbi giganti, la speranza del mondo, rifugiatasi in una zattera e guidata dalla tua mano, lasciò al mondo un seme di nuove generazioni. Benedetto è il legno per mezzo del quale si compie la giustizia, maledetto invece l’idolo, opera delle mani, e chi lo ha fatto; questi perché lo ha preparato, quello perché, pur essendo corruttibile, è stato chiamato dio. Perché a Dio sono ugualmente in odio l’empio e la sua empietà; l’opera sarà punita assieme a chi l’ha compiuta. Perciò ci sarà un giudizio anche per gli idoli delle nazioni, perché fra le creature di Dio sono diventati oggetto di ribrezzo, e inciampo per le anime degli uomini, e laccio per i piedi degli stolti.
Infatti l’invenzione degli idoli fu l’inizio della fornicazione, la loro scoperta portò alla corruzione della vita. Essi non esistevano dall’inizio e non esisteranno in futuro. Entrarono nel mondo, infatti, per la vana ambizione degli uomini, per questo è stata decretata loro una brusca fine.
Un padre, consumato da un lutto prematuro, avendo fatto un’immagine del figlio così presto rapito, onorò come un dio un uomo appena morto e ai suoi subalterni ordinò misteri e riti d’iniziazione; col passare del tempo l’empia usanza si consolidò e fu osservata come una legge. Anche per ordine dei sovrani le immagini scolpite venivano fatte oggetto di culto; alcuni uomini, non potendo onorarli di persona perché distanti, avendo riprodotto le sembianze lontane, fecero un’immagine visibile del re venerato, per adulare con zelo l’assente, come fosse presente.
A estendere il culto anche presso quanti non lo conoscevano, spinse l’ambizione dell’artista. Questi infatti, desideroso senz’altro di piacere al potente, si sforzò con l’arte di renderne più bella l’immagine; ma la folla, attratta dal fascino dell’opera, considerò oggetto di adorazione colui che poco prima onorava come uomo. Divenne un’insidia alla vita il fatto che uomini, resi schiavi della disgrazia e del potere, abbiano attribuito a pietre o a legni il nome incomunicabile.
Inoltre non fu loro sufficiente errare nella conoscenza di Dio, ma, vivendo nella grande guerra dell’ignoranza, a mali tanto grandi danno il nome di pace. Celebrando riti di iniziazione infanticidi o misteri occulti o banchetti orgiastici secondo strane usanze, non conservano puri né la vita né il matrimonio, ma uno uccide l’altro a tradimento o l’affligge con l’adulterio. Tutto vi è mescolato: sangue e omicidio, furto e inganno, corruzione, slealtà, tumulto, spergiuro, sconcerto dei buoni, dimenticanza dei favori, corruzione di anime, perversione sessuale, disordini nei matrimoni, adulterio e impudicizia. L’adorazione di idoli innominabili è principio, causa e culmine di ogni male.
Infatti coloro che sono idolatri vanno fuori di sé nelle orge o profetizzano cose false o vivono da iniqui o spergiurano con facilità. Ponendo fiducia in idoli inanimati, non si aspettano un castigo per aver giurato il falso. Ma, per l’uno e per l’altro motivo, li raggiungerà la giustizia, perché concepirono un’idea falsa di Dio, rivolgendosi agli idoli, e perché spergiurarono con frode, disprezzando la santità. Infatti non la potenza di coloro per i quali si giura, ma la giustizia che punisce i peccatori persegue sempre la trasgressione degli ingiusti (Sap 14,1-31).
Ma tu, nostro Dio, sei buono e veritiero, sei paziente e tutto governi secondo misericordia. Anche se pecchiamo, siamo tuoi, perché conosciamo la tua potenza; ma non peccheremo più, perché sappiamo di appartenerti. Conoscerti, infatti, è giustizia perfetta, conoscere la tua potenza è radice d’immortalità. Non ci indusse in errore né l’invenzione umana di un’arte perversa, né il lavoro infruttuoso di coloro che disegnano ombre, immagini imbrattate di vari colori, la cui vista negli stolti provoca il desiderio, l’anelito per una forma inanimata di un’immagine morta. Amanti di cose cattive e degni di simili speranze sono coloro che fanno, desiderano e venerano gli idoli.
Un vasaio, impastando con fatica la terra molle, plasma per il nostro uso ogni vaso. Ma con il medesimo fango modella i vasi che servono per usi nobili e quelli per usi contrari, tutti allo stesso modo; quale debba essere l’uso di ognuno di essi lo giudica colui che lavora l’argilla. Quindi, mal impiegando la fatica, con il medesimo fango plasma un dio vano, egli che, nato da poco dalla terra, tra poco ritornerà alla terra da cui fu tratto, quando gli sarà richiesta l’anima, avuta in prestito. Tuttavia egli si preoccupa non perché sta per morire o perché ha una vita breve, ma di gareggiare con gli orafi e con gli argentieri, di imitare coloro che fondono il bronzo, e ritiene un vanto plasmare cose false. Cenere è il suo cuore, la sua speranza più vile della terra, la sua vita più spregevole del fango, perché disconosce colui che lo ha plasmato, colui che gli inspirò un’anima attiva e gli infuse uno spirito vitale.
Ma egli considera la nostra vita come un gioco da bambini, l’esistenza un mercato lucroso. Egli dice che da tutto, anche dal male, si deve trarre profitto. Costui infatti sa di peccare più di tutti, fabbricando con materia terrestre fragili vasi e statue. Ma sono tutti stoltissimi e più miserabili di un piccolo bambino i nemici del tuo popolo, che lo hanno oppresso. Perché essi considerarono dèi anche tutti gli idoli delle nazioni, i quali non hanno né l’uso degli occhi per vedere, né narici per aspirare aria, né orecchie per udire, né dita delle mani per toccare, e i loro piedi non servono per camminare. Infatti li ha fabbricati un uomo, li ha plasmati uno che ha avuto il respiro in prestito.
Ora nessun uomo può plasmare un dio a lui simile; essendo mortale, egli fabbrica una cosa morta con mani empie. Egli è sempre migliore degli oggetti che venera, rispetto ad essi egli ebbe la vita, ma quelli mai. Venerano anche gli animali più ripugnanti, che per stupidità, al paragone, risultano peggiori degli altri. Non sono tali da invaghirsene, come capita per il bell’aspetto di altri animali; furono persino esclusi dalla lode e dalla benedizione di Dio (Sap 15,1-19).
MOVIMENTO APOSTOLICO CATECHESI
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