LA SCALA DI GIACOBBE
L'uomo è un uomo e non è che un uomo: non si arriva mai praticamente a persuadersi di questa evidenza. Ci si attende dall'uomo qualche. cosa di diverso dall'umano.
I falsi ideali, con le delusioni e le bestemmie che ne risultano, non hanno altra fonte; non ci si risolve a veder l'uomo agire soltanto da uomo. Bisogna che ci si ricordi inconsciamente della filiazione divina, dell'«immagine di Dio», poiché già si esige da questa impura e lontana immagine, una impossibile, un'abbagliante identità.
FALSO UMANESIMO - L'uomo ha voluto trovare il suo supremo riposo all'ombra di sé stesso. Risultato: l'uomo corre ancora, correrà finché avrà gambe e polmoni, finché la sua natura darà forze al suo delirio. Non è la sua ombra che si stancherà per prima!
Che devo farne di un Dio personale? Credi dunque che io guadagni ad essere visto? Che diventerei se Pan non fosse cieco? Questo il grande ostacolo alla fede in un Dio personale. Si è pronti a divinizzare qualsiasi cosa (Natura, Divenire, Materia, Razza, Stato ...) purché Dio abbia gli occhi accecati.
Non dimenticare che l'uomo è uscito dal nulla e non dimenticare anche che è Dio che ne lo ha tratto. La prima di queste due verità ti salverà dall'utopia, la seconda dalla disperazione.
IDOLATRIA - Gli idolatri ti appaiono più vivi dei cristiani. Che c'è da stupirsene? Gli idoli attirano a sé ciò che vi è di migliore nell'uomo; hanno bisogno del nostro ardore, essi che, per essenza, sono freddi e morti. Non sono Dio per contentarsi di miserie e di rifiuti! Questa voracità degli idoli - il loro eterno bisogno di grasse prede - illumina il ciclo di certi ritorni a Dio. Dopo aver prosciugato l'uomo fin nelle midolla, l'idolo lo abbandona sulla via. - Che devo fare di te adesso? Bisognerebbe essere Iddio per trovare ancora in te qualche cosa da rosicchiare!
Al convertito - Non bruciare ciò. che hai adorato: una nuova forma di idolatria si nasconde in questo. I tuoi idoli non furono responsabili della tua follia. Brucia soltanto la tua adorazione.
All'incurabile - Quest'uomo mi ha parlato con compiacenza della sua miserabile felicità. Io capirei che tu possa trovarvi la tua gioia, ma che tu vi metta il tuo orgoglio! Niente dunque veglia e sanguina in te al di sopra della tua gioia?
Tutto m'è divenuto vicino, disperatamente, dolorosamente, anc he l’abbiezione, anche il male. Questo povero bisogno d'un rifugio, questo desiderio cieco e putrido di Dio, che curva l'avaro sul suo tesoro e il lussurioso sulla carne, l'ho sentito passare sull'anima mia. Questi esseri hanno freddo. Cercano di rannicchiarsi. E com'è tragico il loro equivoco! Muoiono di freddo e si stringono contro idoli più freddi di loro e che avidamente assorbono i loro ultimi resti di calore.
GUSTAVE THIBON
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