l. Mentre gli Apostoli si erano dispersi per la paura, Maria, che nei momenti di trionfo del Figlio si era tenuta nell'ombra, ora si era fatta avanti per affrontare coraggiosamente l'onta di madre del condannato, immersa nell'abisso delle umiliazioni, dei dolori, delle lacerazioni di lui.
Come avrebbe desiderato soffrire al posto di Gesù, sostituirlo sulla croce! Ma poiché Dio voleva diversamente, Maria univa la propria sofferenza a quella di lui per la redenzione di noi tutti. I sentimenti del suo cuore immacolato erano gli stessi del Figlio: sentimenti di offerta a Dio fino alla completa consumazione, sentimenti di implorazione per i crocifissoci, e i peccatori. Col Figlio che spirava in croce, Maria conservava la forza inaudita della mitezza, e ripeteva in cuor suo: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno».
In tutto simile al Figlio, Maria si mantiene al di sopra di ogni istinto di violenza: il suo spirito è irremovibilmente radicato nell'amore e nella verità, e nessun uragano di passioni esteriori riesce a smuoverlo e ad agitarlo. Veramente regina della pace è la nostra Madre, anche quando colpiscono il cuore del suo cuore, cioè il Figlio di Dio e Figlio suo. Ma quale tortura subisce il suo spirito, la sua sensibilità, la sua nobiltà di fronte a quella condensazione di cattiveria e di volgarità che ondeggia ai piedi del Crocifisso! Chi può capire il mistero di Maria addolorata?
La meditazione su Maria ai piedi della croce va fatta immergendosi a lungo, con le ginocchia piegate, nella contemplazione del corpo martoriato di Cristo, del suo volto fatto bersaglio della perfidia umana, del suo costato aperto, e del cuore colmo di amarezza per le lesioni al suo onore, agli affetti più delicati, alla sua sensibilità. Tutto si ripercuoteva nel cuore della Madre tramite quei misteriosi canali di comunicazione che la mistica ci descrive.
2. Consacrarsi a Maria significa cogliere, al di là dei singoli insegnamenti che ci vengono dalla sua vita, 1'inesaurabile insegnamento della sua partecipazione alla croce di Gesù.
Per tale impresa ci è necessaria la virtù della mitezza. Essa non è debolezza, come potrebbe apparire, ma forza d'animo a tutta prova. E si fonda sulla sicurezza che il bene è destinato a vincere, ad onta di tutto.
Di fronte a chi lo giudica, Gesù spiega e chiarisce, ma senza irritarsi; quando vede che la parola non serve, tace. A chi gli dà lo schiaffo, Egli chiede una spiegazione, poi sopporta. Sopporta le ingiustizie dei tragitti da Pilato a Erode, sopporta la terribile flagellazione, la coronazione di spine, i chiodi nelle mani e nei piedi. Eppure, di fronte all'agitazione e alle ingiurie dei suoi crocifissoci, Gesù passa come il gran Re, il Giudice che scruta i cuori. La sua nobiltà non viene per nulla scalfita. Gesù non esige mai dai suoi servi la perdita della dignità interiore, ma la mitezza, che è espressione altissima di dignità.
Dice S. Tommaso d'Aquino: «La dolcezza è la virtù nella quale è riposta la nobiltà dell'animo. I servi di Dio, anche se provocati, si mantengono sempre nella pace, mostrando in questo una nobiltà perfetta».
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