MICHELA
La mia lotta per scappare dall'Inferno
II film di Pasolini
Dopo cena era costante la visione di un film che ricordo ancora oggi con i brividi, per la sconvolgente brutalità del suo contenuto. Era anche questo un aspetto malato della nostra ritualità, che si era trasformato in un'ulteriore «droga» da cui dipendere. Allora non sapevo né quale fosse il titolo né chi lo avesse diretto: ho scoperto in seguito che si trattava di Salò o le centoventi giornate di Sodoma, che Pier Paolo Pasolini aveva adattato dal famigerato romanzo del marchese De Sade. Fu l'ultima opera del regista, che morì tragicamente sul lungomare di Ostia il 2 novembre 1975, tre settimane prima della proiezione pubblica al Festival di Parigi.
È un film che mi provocava a ogni visione un trauma interiore, e del quale talvolta rivedo tuttora qualche immagine come un flash mentale. Faceva parte di una serie di proiezioni che la Dottoressa mi proponeva su temi crudi, come tutti quelli che avevano a che fare con la seconda guerra mondiale: documentari su Hitler, filmati dei campi di concentramento nazisti, resoconti delle persecuzioni contro gli ebrei. Rammento bene come, ogni volta che finiva uno di quei film, mi montava dentro una tremenda rabbia, specialmente nei confronti dei più deboli. Il pensiero che avevo era quello di distruggere chiunque fosse in difficoltà, perché per me un debole non poteva esistere. I bambini specialmente: il loro pianto mi faceva andare fuori di testa, perdevo ogni controllo.
Non ho mai più avuto la forza di rivedere Salò, ma mi sono fatta aiutare da una persona amica per comprendere in che modo avesse a che fare con il mio indottrinamento. E ho scoperto che tante frasi della sceneggiatura rappresentavano evidentemente per la Dottoressa una sorta di ideale decalogo, del quale voleva che fossi pervasa, a partire da una norma che viene sancita sin dall'inizio dai gerarchi che esercitano il dominio assoluto sui reclusi nella villa degli orrori: «I più piccoli atti religiosi da parte di qualunque soggetto verranno puniti con la morte».
Mi è stato spiegato che Pasolini sintetizzò il messaggio del film come «la denuncia dell'anarchia del potere». Un tema strettamente coincidente con quanto la setta mi instillava: la conquista del potere a ogni costo, in una delirante apoteosi di cinismo e disprezzo nei confronti di chiunque non fosse dei nostri. Basta leggere qualche frase dei dialoghi: «Quando ognuno di noi fa dei corpi delle sue vittime ciò che vuole, egli non è che Dio in terra. Basta sostituire la parola Dio con la parola potere, così tutto rientra perfettamente nel programma che ci siamo prefissi»; «Non c'è nulla di più contagioso del male. Lei, eccellenza, a mio avviso è in errore: c'è gente che non riesce a comportarsi male se non quando la passione la spinge al male».
E ricordo soprattutto l'esaltazione dell'omosessualità e della violenza, che poi ho compreso che per la setta rappresentavano il modo migliore per glorificare Satana e offendere Dio: «II gesto sodomitico è il più assoluto per quanto contiene di mortale per la specie umana e il più ambiguo perché accetta le norme sociali per infrangerle. C'è qualcosa di più mostruoso del gesto del sodomita, ed è il gesto del carnefice. È vero, ma il gesto del sodomita ha il vantaggio di poter essere ripetuto migliaia di volte. Si può trovare anche il modo di reiterare il gesto del carnefice!».
Al termine del film la mia rabbia interiore era davvero incontrollabile. Sarei stata capace di distruggere qualunque nemico. A quel punto la Dottoressa mi sottoponeva nuovamente all'ipnosi: quando ne uscivo, mi ritrovavo fra le sue braccia accoglienti, e questo mi dava sicurezza e calma, insieme con la certezza che stavo facendo la cosa giusta. Subito dopo davamo sfogo all'eccitazione che ci era montata dentro. Mi si scatenavano reazioni sessuali davvero a livello animalesco, anche perché lei mi ripeteva di non avere inibizioni di alcun tipo. Il peccato non esisteva, erano tutte regole create da persone che volevano soltanto opprimere la libertà altrui: uomini, donne, animali, per noi invece andava bene tutto.
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