domenica 14 novembre 2021

GENESI BIBLICA EVOLUZIONE O CREAZIONE? CAINO E’ LA CHIAVE DEL MISTERO

 


I Parte della visione: Il primo Pioniere,  “IL CAMPIONE”  


‘Io Sono la risurrezione’  

§ 31 Le ultime parole le ricordo bene: – IO SONO LA RISURREZIONE.  

Ho inteso la parola “risurrezione” in senso pieno, attraverso la quale Egli ha operato  un recupero non solo spirituale ma anche psicofisico dell’umanità. È Lui l’Autore della  sua ‘rievoluzione fisica e psico-intellettiva’. “risurrezione” va dunque intesa come  recupero della immagine originaria secondo il modello con il quale fu fatto il  campione, il prototipo, il primo Uomo. Quindi, Rievoluzione, Rigenerazione,  Riabilitazione, anche fisica, sono state operate e guidate da Dio. Siamo, anche  fisicamente, dei risuscitati.  

§ 32 Dopo una breve pausa soggiunse:  

– MA ORA CHE TUTTI HANNO RECUPERATO LA CAPACITÀ DI INTENDERE E  DI VOLERE, HANNO PARI DIGNITÀ E DIRITTI. –  

Da queste parole intesi che tutti abbiamo oggi “pari dignità e diritti” non riguardo  alla salvezza, ma alla ‘capacità’ di aspirare alla salvezza.  

Il Vangelo di Giovanni ci dice che Cristo diede a tutti gli uomini ‘la possibilità’ o  meglio ‘l’opportunità’ di diventare figli di Dio (dedit eis ‘potestatem’filios Dei fieri) e  con ciò di avere la Vita eterna in comunione con Dio, ma non disse che Dio diede a  tutti la Vita eterna. Nel suo Vangelo Giovanni scrive anche che Gesù disse: “Oro pro  multis”; non disse: “Oro pro omnibus”. Quei ‘multis’ sono coloro che hanno buona  volontà perché corrispondono all’Amore di Dio, a qualunque credo in buona fede  appartengano. Perché, se tutti hanno pari possibilità di diventare figli adottivi di Dio,  solo coloro che mettono a frutto i beni della Redenzione diventano ‘figli di Dio’. Gli  altri, quelli che non seguono i principi del Vangelo, ‘restano creature di Dio’, ossia  esseri ‘inferiori’come gli animali, benché intelligenti: inferi fra gli inferi. Restano degli esclusi. Dio non castiga, Dio promuove o non promuove. La non promozione è già un  castigo, ma non viene da Dio.  

 

Il primo Uomo ‘è ancora innocente’  

§ 33 Ero affascinato dalla figura del Ragazzo che mi stava dinanzi e desideravo  conoscere tante altre cose su di lui. Per esempio desideravo misurare la sua altezza  perché, fino ad allora, mi sembrava posto su un piano più alto del mio che non vedevo  perché dalle anche in giù restava nascosto.  

Chi conosceva il mio desiderio, mi ha accontentato.  

Per un attimo il quadro visivo si abbassò fino a terra, per riprendere subito dopo la  posizione di prima. Potei notare che aveva le gambe molto lunghe, la metà della sua  statura complessiva.  

Il Ragazzo, un po’ più avanti di me di forse 10 cm, mi si accostò dal mio fianco destro  e mi si incorporò fino a metà del mio corpo. Vedevo la sua testa occupare la mia  spalla destra.  

Non vedevo il mio corpo né la mia spalla, solo il suo corpo che era nella luce, sullo  stesso piano del mio. Alla mia riluttanza per quell’accostamento la Voce mi disse  dentro:  

– È TUTTO BENE. È ANCORA INNOCENTE. –  

Mi portai la mano sinistra sulla spalla destra, che non vedevo, per controllare  l’altezza precisa che ricercavo, ma la prova non riuscì. Non vedendo la mia mano non  potevo misurare. Portai allora la mia mano sinistra distesa sotto il mio naso. Non  vedevo ancora la mia mano. E poi essa si trovava troppo sopra la sua testa. Dovevo  misurare a occhio.  

Potevo sbagliarmi di qualche centimetro, anche a causa del volume della sua  capigliatura. Il Ragazzo intanto si scostò e riprese la posizione di prima senza che io  avessi potuto raggiungere il mio scopo.  


La sua altezza  

(3° orientamento: scena verso Sud-Est)  

§ 34 A consentirmi una misurazione più precisa accadde un fatterello incredibile. Ero  sempre nel lato più interno della cengia ed egli quasi sul ciglio, a due metri da me sulla  mia destra.  

Il Ragazzo mosse il primo passo per dirigersi verso la mia sinistra. Al rimirarlo così  lucido di pelle e di capelli pensai: “Adesso mi passa davanti, proprio vicinissimo.  Voglio annusare i suoi capelli e la sua spalla”.  

Il quadro visivo seguendo lo spostamento del Ragazzo verso la mia sinistra, coprì  parte della cartelliera attraversandola e attraversando anche il muro al quale era  addossata. Il Ragazzo mi sfiorò.  

Piegai il capo, aspirando, sopra i suoi capelli che gli scendevano sulle spalle. Nulla,  alcun odore.  

Sentii invece il sopracciglio dell’occhio sinistro urtare contro un oggetto contundente. 

Mi ritrassi e tastai: era lo spigolo acuto della cartelliera che non vedevo. Ora so che  la cartelliera è alta m 1,50 dunque quella era la sua altezza. Mi arrivava alla spalla o  poco più.  

“Che stupido sono stato – mormorai – sapevo bene che era un’ombra; come ho fatto  a lasciarmi incantare? E che c’entra tutto questo con lo studio che devo fare? È una  cosa fuori del normale? O sono io anormale?”.  

Chiusi gli occhi, ma la luce era anche dentro la mia testa.  

Contrassi le palpebre, le sopracciglia, mossi gli orecchi e il cuoio capelluto, strinsi le  labbra e i denti, strinsi ambo le mani sulla Bibbia, premendola contro il petto, mossi  alternativamente i muscoli dell’addome, delle braccia, delle gambe, delle caviglie e le  dita dei piedi dicendo tra me:  

“Sono o non sono io?”.  

Avevo un perfetto controllo della mia persona.  


Scende lungo la cengia  

(4° orientamento: scena verso Est)  

§ 35 Mi girai sulla sinistra per uscire dalla stanza. Ora il Ragazzo si dirige verso Est  e cammina davanti a me. Non vedo la cartelliera che avevo toccato e che ora è alla  mia destra, né il tavolo alla mia sinistra.  

Mi muovo a tentoni. Vedo invece una specie di corridoio illuminato dal sole che  proviene da destra e questo corridoio visivo si prolunga lungo la stanza, occupa in  parte la cartelliera, passa attraverso la libreria di sinistra e, attraverso il muro che  separa la biblioteca dalla cucina, a destra della portiera, prosegue giù per un piano  inclinato. Il percorso era coperto dalla sporgenza di un filone di lastroni di arenaria  giallastra. Era dunque una cengia che da Ovest scendeva verso Est.  

Lo vidi scendere agile e prudente per quel sentiero largo ora un metro, ora molto  meno. Procedeva in quella direzione sempre diritto nonostante i balzi che presentava  la discesa.  

Era, di certo, una discesa. Ad ogni passo di una gamba vedevo seguire il piede  dell’altra all’altezza del ginocchio. Lo vedevo dalla testa alle ginocchia. Solo due volte  potei vedere degli spuntoni di roccia alla sua sinistra. 

§ 36 Cominciavo intanto ad avviarmi verso la porta per spegnere la luce che aveva  l’interruttore sulla parete opposta, palpando a destra e a sinistra per non urtare i  mobili e le mie scartoffie che non vedevo. Sebbene fossi attratto dalla sua figura,  volevo uscire dalla stanza per liberarmene. Il Ragazzo continuava la sua corsa nella  medesima direzione. Lo osservavo procedendo faticosamente mezzo piede per volta,  curvo come se portassi sulle spalle un quintale di peso.  


Un rudimentale acquedotto  

§ 37 Ad un tratto il Ragazzo si ferma per girare attorno ad un paletto forcello. Questo  era uno dei tanti paletti che si trovavano nei posti più stretti dove la cengia era rientrante e mancava il tetto di roccia. I paletti erano parecchi, appaiati e legati  incrociati alla sommità: sostenevano una lunga serie di tubi di bambù uniti fra loro,  aderenti al soffitto e legati con stringhe dalla parte superiore dei paletti stessi: era un  rudimentale acquedotto formato da tubi di canna di bambù infilati per le estremità.  Egli, muovendo due stanghe contigue, stacca le due estremità in uno dei punti di  collegamento. Ne scende molta acqua ed egli si innaffia abbondantemente forse per  lavarsi o forse per rinfrescarsi dal bruciore delle punture di quegli insetti. Poi  ricongiunge i due tubi. A circa venti o trenta metri davanti a lui, la cengia era ostruita  da quattro o cinque tavole schiette e non rifilate, cioè ottenute spaccando in lungo il  tronco, messe di traverso e sostenute da pali. Sembravano aver la funzione di  arginare uno smottamento. O forse era un lato della cisterna nella quale affluiva  l’acqua della condotta. Camminando sempre davanti a me arrivò laggiù, davanti a  quella chiusa, si voltò a destra e scese sulla cengia sottostante e proseguì lungo il  nuovo tratto di sentiero.  

§ 38 Spenta la luce, ancora curvo in avanti e sempre a passetti di mezzo piede per  volta, uscii dal mio studio. Passato di là, mi girai verso la portiera donde ero uscito,  la chiusi energicamente spingendola da sinistra a destra e vi appoggiai contro la  spalla sinistra per tener fuori l’intruso. Qui in cucina la lampadina da 60 watt  mandava una luce fioca, come là dentro prima.  

Attraverso il vetro stampato della portiera non vedevo se nello studio ci fosse ancora  quella luce rosea. Non potevo distinguere. Aprii con uno spiraglio la portiera per  controllare meglio. La luce era sempre quella, dentro e fuori della portiera, ma non  vedevo nulla là dentro. Richiusi e vi appoggiai contro la spalla destra. Così facendo  mi ero rivolto verso la portiera dello sbrattacucina.  


(5° orientamento: scena verso Sud)  

§ 39 Con mia sorpresa non vedevo più tutta intera la portiera dello sbrattacucina, ma  vedevo al suo posto e a quello del muro alla sua destra, il solito quadro visivo con la  consueta cornice rosea. La visuale, limitata però in questa nuova scena entro un  secondo riquadro centrale che misurava 15 cm di base e 30 di altezza, mi mostrava il  Ragazzo che procedeva in quella nuova direzione verso Sud. Lì il percorso era ostruito  a destra da altri due o tre blocchi sovrapposti di pietra arenaria. Poggiò la destra  contro il più basso di quei massi, piegò le gambe e scomparve di sotto. Il Ragazzo,  uscito dal muro della mia cucina, era ormai lontano, forse una trentina di metri.  Rassegnato, più che contrariato, mi strofinai le palpebre con entrambe le mani.  

 

La specie immediatamente precedente all’Uomo  

(6° orientamento: rivolto verso Sud’Sud-Est)  

§ 40 Torno a guardare: il quadro visivo ora è un po’ spostato a sinistra rispetto al  precedente ed occupa parte della portiera dello sbrattacucina, parte dell’interstizio con la parte bassa della credenza, il fianco sinistro della credenza, che è al centro della  parete, e un po’anche dell’antina inferiore di destra. Il quadro con la cornice rosea ha  ancora il riquadro centrale con il campo visivo molto ridotto.  

Il riquadro rettangolare che nella scena precedente era in piedi, ora è posto  orizzontalmente mantenendo le stesse dimensioni.  

Vedo, alla distanza di dieci metri e da una posizione un po’ elevata, un tratto di campo  di frumento, o di cereali, grande poco più di un metro quadrato o due. Le spighe sono  biondeggianti, alte una quarantina di centimetri.  

Un piccolo animale, nero e peloso, si muove tra le spighe. Quando si rizza in piedi e  guarda oltre le spighe, vedo che ha due cornetti sulla testa e questa è molto  schiacciata. Quando si abbassa e sparisce vedo, dal movimento degli steli che egli  sbanda passando, che si sposta di qualche metro.  

Mi accorgo quando lo vedo di profilo che i cornetti sono orecchi. Penso ad un cane  Dobermann, ma poi vedo che ha il muso corto ed è senza naso. Gioca a nascondino  con un esserino più piccolo che si muove sui quattro arti ed è simile a lui, fuorché per  gli orecchi che, invece di essere ritti fin sopra il livello della testa, sono lunghi e  sporgenti orizzontalmente. Capisco che sono scimmie di una specie sconosciuta. La  più grande, il maschietto, fa delle capriole. È alta forse 40 cm.  

Guardo intorno. Tutto come prima. Sempre la luce rosea che investe e nasconde tutto.  Ci vedo bene solo attraverso quella feritoia, in quel quadretto.  

Dagli scritti di  Don Guido Bortoluzzi  

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