domenica 14 novembre 2021

Il mio nulla

 


Se il mio essere derivasse da una materia esistente fuori di Dio o se, creato interamente da lui, avessi portato con me - cosa impossibile - una impercettibile particella della sua sostanza, avrei un valore; e questo valore, sia pur minimo, sarebbe tuttavia sempre degno di apprezzamento.

Ma non è così perché, se è vero che vengo da Dio, io non esco dal suo seno, ma da un atto esterno e da una semplice volontà della sua onnipotenza. Più che un essere, sono una cosa inconsistente, provvisoria, paragonabile ad una nota musicale che esce da uno strumento sotto le dita dell'artista. Dio non è né arricchito dal fatto che è creatore, né diminuito dal fatto che io esisto. Ecco la verità certa, dimostrata dalla ragione e ammessa dalla filosofia più rigorosa.

Nondimeno io esisto, ho un'essenza; questo mio essere ha un'estensione, delle forme; agisce, trasforma la materia; è libero, vuole e non vuole; la sua intelligenza gli dà coscienza di tutto l'universo, il suo genio può generare meraviglie. Forse che tutto questo è niente?

Qualcosa pur è, ma di fronte a Dio, questo qualcosa è sì vano, sì fuggitivo, che la Scrittura lo chiama un `nulla', un essere che non conta: «La mia esistenza davanti a te è un nulla» (Sal 38, 6). Così diventa chiara la parola di Paolo: «Chi dunque ti ha dato questo privilegio? Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?» (1 Cor 4, 7).

Rifletterò domani su questo aspetto sconcertante, su questa rigorosa conclusione che si impone all'anima e ne determina la volontà. Perché l'umiltà è più che una convinzione: è una virtù che opera. Tenderò dunque all'umiltà pratica attraverso la considerazione del mio nulla:

1. nulla dell'essere;

2. nulla dell'operare.

 

1. Il nulla dell'essere: sono un niente

Nostro Signore dice a Caterina da Siena: «Sai, figlia mia, chi sono io? Sarai fortunata se vieni a saperlo! Io sono Colui che è e tu quella che non è».

Dio è l'Essere in tutta la pienezza della parola; questo è il nome che egli si attribuisce: «Io sono colui che sono» (Es 3, 14). Io, al contrario, sono il nulla in tutto il suo vuoto: questo è il mio nome!

Prima della creazione non esistevo neppure nel più lontano elemento. Mille anni, cento anni fa, ero una semplice possibilità che un niente avrebbe potuto impedire di far arrivare all'esistenza. Un giorno sono comparso sulla terra. Secoli e secoli mi hanno preceduto e, senza dubbio, si susseguiranno dopo di me. In questo spazio io riempio alcune ore brevi e precipitose. Poi il silenzio si richiuderà su di me come l'acqua profonda inghiotte la pietra che ne ha increspato per un istante la superficie.

L'essere che possiedo è la fragilità e l'inconsistenza personificate, un vapore che si alza per svanire ben presto. Lo dice bene s. Giacomo: «Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare» (Gc 4, 14). Il mio essere è polvere vivificata: «Ricordati, uomo, che tu sei polvere e in polvere ritornerai».

Alla luce della pura verità, quello che si vedrebbe in me, nella materia del mio corpo come nella sostanza della mia anima, sarebbe un nulla sostenuto da ogni parte dalla potenza creatrice. Che se questo sostegno necessario, anche se invisibile, venisse tolto un istante, il mio essere scomparirebbe, svanirebbe come fumo nell'aria, senza lasciare traccia alcuna.

«O nulla sconosciuto! O nulla sconosciuto!», ripete nell'estasi la beata Angela da Foligno. Grido di profonda verità, somma delle irrisorie grandezze dell'uomo; ma anche punto d'appoggio dei sentimenti più potenti, più elevati, più degni di Dio.

Se io sono il nulla, o Signore, tu sei l'Essere; se io sono il niente, tu sei il Tutto. Questa doppia visione forma con il suo contrasto il ritmo dei canti del Cielo. Sotto queste luci che piovono dall'alto, la condizione dei Santi appare simile alla mia, ma la loro umiltà è al tempo stesso a mia vergogna e a mia lezione. La gloria di Dio fa continuamente splendere ai loro occhi la verità del loro nulla, mentre le mie molteplici miserie arrivano ad oscurarla ai miei sguardi.

 

2. il nulla dell'operare: non posso niente

Le mie azioni sono della stessa natura dell'essere. Ora io vivo e non vedo la potenza creatrice che mi sostiene. Agisco e tuttavia non colgo questa stessa potenza che mi mette in movimento.

Sembra a me che tutta la mia attività mi appartenga. Muovo la mano o la testa, combino un affare, invento una soluzione, penso, scelgo, amo. Ebbene, tutto ciò che in questi atti è positivo viene prodotto dall'azione di Dio più che dalla mia.

Non può essere diversamente. Vi si oppone la natura delle cose. Dio onnipotente non può darmi la forza di compiere fuori di lui un solo atto: sarebbe un costituirmi creatore. Conseguenza carica di mistero e allo stesso tempo di abbagliante verità; conseguenza che penetra fin nell'intimo della mia libera scelta.

Nel proposito che faccio di diventare umile, e che sembra appartenere esclusivamente a me (perché potrei lasciarlo perdere), Dio agisce mille volte più di me; la mia partecipazione consiste solamente nell'aderire al suo influsso che mi sollecita.

Se voglio cercare il fondo di questa stessa adesione, perché l'ho data e quale forza mi abbia spinto ad essa, ritroverei ancora Dio. Per spiegare come resto pur sempre libero, sono costretto a dire: «Sento d'essere libero e so che Dio è abbastanza potente da rispettare la mia libertà nelle sue condizioni essenziali, pur completandola perché raggiunga il suo fine ultimo».

Se compio il male, la potenza di Dio - obbedendo a leggi generali di superiore sapienza - concorre a tutto ciò che, in questo caso come negli altri, è atto positivo. Mi accompagna anche nel momento in cui, allontanandomi dall'ordine, mi sottraggo al suo influsso.

Il male è una deviazione di cui io sono responsabile: storno l'azione di Dio, la costringo ad andare fuori strada e le impedisco di arrivare al fine che avrebbe dovuto raggiungere.

Quanto è dunque inconsistente e ridicola, o Signore, la compiacenza per le mie qualità, anche per le più evidenti! Quanto è temeraria la fiducia nella mia volontà, anche la più decisa! Quanto è ingiusto l'attribuirmi il bene che si compie per mio mezzo! Come aver fiducia in me? Come mettermi uno scalino più in su degli altri?

Il sottilissimo velo del creato ricopre tutto questo niente. Il velo è leggero e mille occasioni lo sollevano; è però sufficiente per autoingannarmi. Del resto quanto è trasparente! Ma non sono attento e non guardo quello che nasconde; continuo ad attribuire una consistenza assoluta ai miei atti contingenti e su di essi poggio le mie pretese.

Signore, tu che vedi e scruti le menti e i cuori, che pensi di questo cieco? Abbi pietà di lui, apri i suoi occhi, e fa' sorgere la visione della tua immensa infinità davanti alla sua miserabile piccolezza, confusa da un passato di superbia.

Questa constatazione mi darà la serenità nei successi come negli insuccessi: vale la pena prendersela tanto? Mi innalzerà a quella elevata sapienza che mette le cose nella giusta luce e nella loro esatta proporzione. Siano benedette le grandi ombre del nulla che fanno uscir fuori lo splendore dell'Essere che è tutto! La conoscenza del mio niente può dispormi mirabilmente alla contemplazione.

Sì, vedrò l'Infinito avvolgermi da ogni parte e in esso mi perderò, abbandonando la superbia; cadrò in ginocchio e assaporerò queste parole: «Mio Dio e mio Tutto!».


Nessun commento:

Posta un commento