COME S. PAOLO CANTA L'AMORE
Tre generi di amore.
Quell'amore istintivo che l'uomo possiede in comune con gli animali, e che con parola moderna si chiama « sesso », consiste nell'amare non una persona, ma il piacere che essa procura.
Il secondo genere di amore nasce dall'apprezzare la bellezza e la bontà di una creatura umana. In certo modo questo amore è orizzontale, perché si muove sullo stesso piano.
Questo amore, che si volge alla bontà su un piano più alto, è piuttosto astratto che concreto. Così il filantropo ama l'umanità, il comunista ama la propria classe, il razzista ama la propria razza, il rivoluzionario la propria causa, il soldato il proprio paese.
In tutti questi casi abbiamo un amore per il bene in astratto, senza esplicito riferimento alla sorgente del bene stesso.
Il terzo amore non si limita nè al disinteresse e neppure alla forma alta dell'umana bontà; ma trae la sua ispirazione dal divino amore, il quale a sua volta, trova la più alta espressione nel Cristo, morto per i peccatori. La sua morte, infatti non fu soltanto una rivelazione superlativa dell'amore umano; ma una manifestazione infinita dell'amore divino, come dice S. Paolo: «Dio non risparmiò neppure il Suo Figlio» (Ai Rom., 8, 32). Non tutti comprendono questa terza forma di amore, perché, trovandosi chiusi nel cerchio del proprio limitato egoismo, non vedono al di là del proprio interesse. Noi amiamo quelli che ci amano e facciamo del bene a quelli che ci fanno del bene; ma non riusciamo a comprendere come mai Dio sia generoso anche verso gli ingrati e verso i malvagi. (S. Luca, 6, 35). Mettendo insieme le prime due forme di amore, possiamo parlare di una doppia ispirazione per quello che si chiama cameratismo.
L'amore basato sopra le mutue affinità o interessi, da cui vengono società, unioni e altre organizzazioni, è amore naturale. L'amore soprannaturale o divino supera le caratteristiche delle persone o delle classi. Noi dobbiamo amare i nostri compagni non perché sono nobili ma perché Dio li ama.
Fraternità.
Il mettere insieme il benessere economico non produce la fraternità; ma invece la fraternità produce i vantaggi economici. I primi cristiani non formavano una cosa sola, perché avevano messo in comune i loro beni; ma avevano messo in comune i loro beni perché erano cristiani.
Un giovane ricco andò dal Redentore a domandargli: «Che debbo fare?» Un socialista invece domanda: «Che cosa deve fare la società?» E' l'uomo che fa la società e non la società che fa l'uomo. Ecco perché tutti gli schemi economici, dal comunismo di Marx alle recenti forme di socialismo democratico, non uniranno mai gli uomini, fino a che non abbiano imparato a bruciare il proprio egoismo.
Il mondo ideale non verrà da una linea ascendente di progresso; ma dal risorgere dalla tomba di migliaia e migliaia di egoismi messi in croce. La ragione per cui il Cristianesimo vive e le teorie socialiste vanno morendo è questa: il socialismo non ha mezzi per liberarsi dall'egoismo; mentre il Cristo disse: «Prendete quello che avete e datelo ai poveri» (S. Luca, 18, 22).
Gli unici posti nei quali il comunismo vive e opera sono i conventi religiosi. Essi hanno per base il possedere le cose in comune, in modo che nessuno manchi del necessario. Il comunismo non è operante nel mondo; ma è operante nei conventi. Tutto quello che possono fare le rivoluzioni economiche e politiche è questo: far passare il bottino di guerra dalla tasca di un partito alla tasca di un altro. Ecco perché nessuna rivoluzione è veramente rivoluzionaria. Esse lasciano l'avarizia nel cuore umano.
La vera sorgente della fraternità non è la legge, ma l'amore. La legge, infatti, è negativa: «tu non farai ». L'amore invece è positivo : « Ama Dio e ama il prossimo ». La legge fissa il minimo ; l'amore mira al massimo. La legge è un freno; l'amore è una generosità: «Se uno ti cita in tribunale e ti ruba il mantello, lasciagli anche la tunica. Se uno ti vuole costringere a fare un miglio, fa' con lui due miglia». (S. Matteo, 5, 40-41).
La generosità naturale è limitata dalle circostanze e dalle relazioni del proprio ambiente, fuori delle quali diventa spesso vendicativa. L'amore ignora i limiti. « Signore, quante volte al mio fratello che mi offese e mi domanda perdono, io debbo perdonare? Fino a sette volte? » « Io ti dico: non fino a sette volte ma fino a settanta volte sette » (S. Matteo, 18, 21-22). Prendendo le mosse da una piccola metafora, per arrivare a una grande verità, il Redentore viene a dire: è impossibile limitare il perdono; lascialo all'amore e non errerà e non si abbasserà.
L'amore di cui parliamo non è naturale, ma soprannaturale, perché con la fede e con le buone opere, aiutati dalla Grazia di Dio, nutriti dalle preghiere e dai sacramenti, noi siamo guidati all'intima unione con Cristo.
Amore soprannaturale.
Dopo aver istituito l'Eucarestia, alla vigilia della morte, il Redentore rivelò il segreto del suo cuore con dare quello che egli chiamò comandamento nuovo. «Vi dò un comandamento nuovo: amatevi l'un l'altro come io ho amato voi » (San Giovanni, 13, 34).
Questo comandamento prende anche il nome di carità ed è chiamato nuovo, perché estende l'amore a tutti gli uomini, senza distinzione di razza, di classe, di colore, includendo anche i nemici, cosa che prima non era mai stata affermata nel mondo. Da allora, l'unico segno con cui i discepoli del Cristo si dovevano distinguere era l'amore soprannaturale per tutti. « In questo tutti gli uomini conosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri » (San Giovanni, 13, 35).
Quando il Redentore verrà a dare a ciascuno secondo le proprie opere, il fondamento sarà l'amore soprannaturale verso i poveri, i bisognosi, gli oppressi ecc. Ecco come si svolgerà quel giudizio definitivo:
« Allora il Re dirà a coloro che stanno alla sua destra: — venite voi benedetti dal mio padre; possedete il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché io avevo fame e voi mi deste da mangiare; avevo sete e voi mi deste da bere; ero senza alloggio e voi mi ospitaste; ero nudo e voi mi vestiste; ero ammalato e mi visitaste; ero in carcere e veniste a me».
«Allora i giusti risponderanno: — Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare; assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiam veduto straniero e ti abbiamo ospitato? Quando ti abbiamo veduto nudo e ti abbiamo vestito o quando ti abbiam veduto ammalato o carcerato e siamo venuti a te? Allora il Re risponderà loro: — in verità vi dico, ogniqualvolta avete fatto ciò al più piccolo dei miei fratelli, l'avete fatto a me.
«Allora il Re dirà a coloro che stanno alla sua sinistra: — allontanatevi da me, maledetti, andate in quel fuoco eterno che fu preparato per Satana e i suoi seguaci, perché io avevo fame e voi non mi deste da mangiare, avevo sete e non mi deste da bere; ero pellegrino e non mi deste alloggio, ero nudo e voi mi vestiste; ero ammalato e in carcere e non mi visitaste.
«Allora anche quelli diranno al Re: — Signore, quando ti abbiam veduto affamato o assetato, o pellegrino, o nudo, o ammalato, o in carcere e non ti abbiamo servito? Allora il Re risponderà loro: — In verità vi dico, quello che voi non faceste a questi piccolini, non l'avete fatto a me. E quelli andranno nel supplizio eterno, ma i giusti andranno nella vita eterna» (S. Matteo, 25, 34-46).
Da questa pagina tremenda risulta che noi non ameremo mai perfettamente il nostro prossimo se non amiamo perfettamente Dio.
E' facile amare quelli della propria classe sociale o del proprio ambiente; ma amare quelli che stanno sotto di noi, o che sono opposti a noi, o che sono ignoranti o senza alcun valore, richiede un occhio spirituale.
« Se voi amate quelli che vi amano, quale ricompensa avrete? E non fanno forse così anche i pubblicani? Se voi salutate soltanto i vostri fratelli, cosa fate di eccezionale? Non fanno forse così anche i pagani? Siate, dunque, perfetti com'è perfetto il vostro Padre celeste» (S. Matteo, 5, 46-48).
L'atteggiamento di Dio a nostro riguardo, è quindi regolato dal nostro atteggiamento nei riguardi del prossimo. Ecco perché se noi abbiamo bisogno di qualche cosa, il modo migliore per ottenerla è di dare agli altri; se abbiamo peccato e abbiamo bisogno del perdono, il modo più sicuro è perdonare ai nostri nemici. Dio non si lascia vincere dal nostro amore. Lo disse il Maestro : « Con la stessa misura con cui voi misurerete, sarete anche voi misurati». (S. Matteo, 7, 2). «Date e vi sarà dato: una misura abbondante, pigiata e scossa sarà data nel vostro grembiule » (S. Luca, 6, 38).
L'inno di S. Paolo alla carità.
Quando S. Paolo fondò la comunità cristiana di Corinto, probabilmente compose il più bell'inno alla carità che faceva recitare ai fedeli, dopo l'agape fraterna, che precedeva la celebrazione eucaristica. Bisogna notare che S. Paolo possedeva tutti quei doni detti carismatici che fiorivano nella prima comunità cristiana come opera dello Spirito Santo: lodare Dio in lingue nuove, fare profezie, conoscere i misteri, avere fede taumaturga, ecc. Il grande apostolo dice che tutti quei carismi sono un nulla se non sono accompagnati da quell'amore soprannaturale che si chiama carità.
E' probabile che l'inno fosse recitato con due cori alternati.
1) Se mai le lingue parlo degli uomini, Se mai le lingue parlo degli angeli,
Ma carità non ho,
Sono bronzo sonante, Sono timpano squillante
2) E se mai ho profezia, E conosco tutti i misteri E conosco tutta
la scienza, E ho tutta la fede Da trasportar montagne, Ma carità
non ho, Niente sono.
E se mai tutto il mio dispenso in cibo E do il mio corpo alle fiamme, Ma
carità non ho, Niente mi giova.
3) La carità è paziente,
La carità è benigna;
La carità non invidia,
La carità non si vanta;
La carità non si sgonfia,
La carità non offende;
La carità non cerca il suo,
La carità non s'adira;
La carità non pensa male,
La carità non gode del male;
La carità gode del bene,
La carità copre tutto;
La carità crede tutto,
La carità spera tutto;
La carità sopporta tutto,
La carità non finisce mai...
(Amen).
FULTON J. SHEEN
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