L’inferno descritto da Santa Teresa d’Avila
(1515 -1582) in Voglio vedere Dio, pp. 151-152
«… Se la morte separa dal corpo un’anima ancora gravata dal peccato, essa ormai non può più liberarsi della “pece del peccato” che copre il cristallo dell’anima.» L’anima resta allora eternamente prigioniera del suo allontanamento da Dio. E l’inferno eterno è la conseguenza normale del peccato e dell’immutabilità nella quale si trova costretta l’anima per l’eternità. Sulla terra, le potenze dell’anima trovavano nei beni privati una certa soddisfazione che rendeva loro la privazione di Dio poco dolorosa o anche indifferente. Nell’eternità non esiste alcun bene al di fuori di Dio. L’anima vive nel vuoto e le sue potenze, nate per trovare in Dio cibo e riposo, soffrono in questo vuoto attanagliate dalla fame e arse di sete profonda e inestinguibile. È la pena del danno o privazione di Dio, pena principale dell’inferno, causata dal peccato stesso e dallo lo stato di opposizione al quale ha costretto l’anima. Questa privazione di Dio fa fremere santa Teresa che esclama:
«O anime redente dal sangue di Gesù Cristo, aprite gli occhi e abbiate pietà di voi stesse! Com’è possibile che, persuase di questa verità, non procuriate di togliere la pece che copre il cristallo della vostra anima? Sappiate che se la morte vi sorprende in questo stato, non potrete mai più godere della luce di questo sole divino.»
A questa pena del danno si aggiunge la pena del fuoco che arde senza consumarsi, un fuoco intelligente che orienta il proprio ardore in funzione della gravità e del numero dei peccati, variandone il punto di applicazione in base al tipo di peccato.
Sarà una visione che consentirà a santa Teresa di illustrare il suo racconto. Si tratta di una visione dell’inferno che, come ci spiega, si rivelò «una delle grazie più insigni onde m’abbia favorita il Signore». Ecco la descrizione da lei data nel libro della sua Vita:
«Un giorno mentre ero in orazione, mi trovai tutt’a un tratto trasportata intera nell’inferno… Fu una visione che durò pochissimo, ma vivessi anche molti anni, mi sembra di non poterla più dimenticare.
«L’ingresso mi pareva un cunicolo molto lungo e stretto, simile a un forno assai basso, buio e angusto; il suolo tutto una melma puzzolente piena di rettili schifosi. In fondo, nel muro, c’era una cavità scavata a modo di nicchia, e in essa mi sentii rinchiudere strettamente. Basti sapere ora che quanto ho detto, di fronte alla realtà sembra cosa piacevole.
«Quello che allora soffrii supera ogni umana immaginazione, né mi sembra possibile darne solo un’idea perché cose che non si sanno descrivere. Sentivo nell’anima un fuoco che non so descrivere, mentre dolori intollerabili mi straziavano orrendamente il corpo… Ero attanagliata dal pensiero che quel tormento doveva essere senza fine e senza alcuna mitigazione. Ma anche questo era un nulla innanzi all’agonia dell’anima. Era un’oppressione, un’angoscia, una tristezza così profonda, un così vivo e disperato dolore che non so come esprimermi. Dire che si soffrano continue agonie di morte è poco, perché almeno in morte pare che la vita ci venga strappata da altri, mentre qui è la stessa anima che si fa in brani da sé. Fatto sta che non so trovare espressioni né per dire di quel fuoco interiore né per far capire la disperazione che metteva il colmo a sì orribili tormenti. Non vedevo chi me li faceva soffrire, ma mi sentivo ardere e dilacerare, benché il supplizio peggiore fosse il fuoco e la disperazione interiore.
«Era un luogo pestilenziale, senza alcuna speranza di conforto, senza la possibilità di sedermi e stendere le membra, chiusa com’ero in quella specie di buco nel muro. Le stesse pareti, orribili a vedersi, mi gravavano addosso dandomi un senso di soffocamento. Non c’era luce, ma tenebre fittissime. Io non capivo come potesse avvenire questo: che, pur non essendoci luce, si vedesse ugualmente ciò che poteva dar pena alla vista.
« Il Signore allora non volle mostrarmi altro dell’inferno; inseguito, però, ho avuto una visione di cose spaventose, tra cui il castigo di alcuni vizi. Al vederli, mi sembravano ben più terribili, ma siccome non ne provavo la sofferenza, non mi facevano tanta paura.»
La Santa conclude la descrizione:
«…Rimasi spaventata e lo sono tuttora mentre scrivo benché siano passati quasi sei anni, tanto da sentirmi agghiacciare dal terrore qui stesso, dove sono…»
E scrive infine:
« D’allora in poi, ripeto, tutto mi sembra facile in paragone di un attimo di quella sofferenza ch’io ebbi lì a patire. Mi meraviglio come, avendo letto molti libri in cui si dice qualcosa delle pene dell’inferno, non le temessi, né facessi di esse il dovuto conto.»
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