domenica 10 novembre 2019

PADRE PIO DA PIETRELCINA



L'EPISTOLARIO 


Contenuto e sua importanza 

Pare che padre Pio rispondesse, a voce o per iscritto, alquanto infastidito a tali richieste del direttore, ma padre Benedetto insiste: "Tu ti lamenti; ma lo so che sai di non dirmi alle volte tutto, perché lo lasci supporre e perché lo suppongo. Farai bene però a rivelarmi sempre l'intimo, come accennai nella mia penultima, essendo un tuo dovere e un mio diritto conoscere. 
Almeno ogni tanto è necessario un resoconto sommario, ma esauriente e distinto. 
Non ignori quanto sia utile alla direzione avere l'anima spiegata davanti e saperne la storia successiva. Quel che non si dice è perduto e Dio non ne ha piacere. Ricorda sempre bene questo" (26 3 1921). 
Se questo saggio consiglio del direttore fosse stato messo in pratica da padre Pio, certamente l'epistolario sarebbe ricco di maggiori esperienze mistiche ed il profilo divino della spiritualità spunterebbe con tratti ancora più abbondanti  e significativi. Ma ciò non è da imputarsi a nessuno. Il fenomeno ha una spiegazione nella natura stessa della cosa. Mentre è relativamente facile mettere in evidenza la condotta dell'anima nel suo sforzo per raggiungere la mèta dell'unione con Dio, è assai difficile - e a volte anche impossibile - dichiarare le intime e misteriose relazioni di Dio con le anime da lui scelte per innalzarle ad un elevato grado di perfezione, servendosi d'un "linguaggio umano senza perdere il loro senso profondo e celeste" (18 4 1912). 
Le esperienze vissute at contatto con la divinità non hanno limiti né frontiere e si muovono in orizzonti indefiniti ed ultraterreni. I mistici di tutti i tempi hanno lottato sempre con l'insufficienza del vocabolario per esprimere le loro mistiche elevazioni e la straordinaria esperienza dell'unione con Dio. Le idee ed i pensieri oltrepassano i limiti della parola e della penna.  
Anche per padre Pio fu una continua sofferenza il non riuscire ad esprimere "coll'umano linguaggio" i profondi arcani e gli effetti sorprendenti delle sue intime comunicazioni con Dio. Con amarezza confessa che dopo essersi sforzato di "dir qualcosa balbettando", si accorge "di essersi allontanato dalla verità dei fatti" (17 10 1918).  
"Questo linguaggio vi sembrerà arabo [...]. Se questo linguaggio lo trovate oscuro, padre mio, io dichiaro apertamente che non saprei spiegarmi più chiaro, salvo che Gesù non volesse venire in mio soccorso. O padre, chi potrebbe di queste cose adombrare fedele immagine? [...]. Di queste cose [le visioni immaginarie] l'anima riesce in qualche modo ad esprimersi, ma preferirebbe di chiudersi in un perfetto mutismo, perché le fa male ché nell'esprimersi si vede la grande distanza che passa tra la cosa vista, e che tiene presente, e ciò che lei vale ad esprimere. Le pare che si nobili soggetti vengono tanto malamente trattati" (20 6 1913).  
Per la medesima ragione soffre, perché vorrebbe dire tante cose ai direttori spirituali, "tutte di Gesù", "non per altro se non per sapere che sia questo stato in cui di continuo l'anima sta" (20 6 1913); ma è costretto a rinunciarvi, perché "non so esprimermi" (21 3 1912); e perché "mi veggo quasi nell'assoluta impossibilità di poter esprimere l'operazione del diletto" (12 1 1919), e "non riesco a dire nulla, non ostante tutti i miei sforzi" (16 6 1921). 
La descrizione al direttore del fenomeno della ferita d'amore del 23 agosto 1912 è interrotta proprio perché "sono affatto impotente - dice - a potermi esprimere. Ci credete? l'anima vittima di queste consolazioni, diventa muta" (26 8 1912).  
Non riuscendo a superare queste difficoltà, preferiva trattenersi e parlare a voce coi direttori, "la parola scritta non mi soddisfa, non sempre si presta a tutto, specie per chi troppo viva sente essere la sua trafittura là, in fondo al suo cuore" (18 9 1915). In conclusione "per me è una grande disgrazia il non sapere esprimere e mettere fuori tutto questo vulcano sempre acceso che mi brucia e che Gesù ha immesso in questo cuore così piccolo" (20 11 1921).  
Pur non avendo saputo "mettere fuori" quel "vulcano sempre acceso", che bruciava il suo cuore "così piccolo" e pur non essendo le sue lettere trattati di spiritualità, tuttavia esse contengono una dottrina abbondante e sicura, e soprattutto una ricchissima esperienza mistica, sostenuta, illuminata e guidata da principi solidamente ortodossi; proiettano nuova luce sulla sua personalità sotto il profilo spirituale; rischiarano o, meglio, riscoprono il "mistero" della sua vita e della sua attività; svelano o fanno intravedere le radici profonde del suo fecondo e inesauribile apostolato, e mostrano le linee maestre o, meglio, i contorni, i tratti caratteristici d'un autentico figlio della croce, d'un efficace cooperatore alla salvezza delle anime ed alla restaurazione del regno di Dio nel mondo.  
Attraverso questa lettura edificante s'intravede un'anima in tensione permanente di piacere al Padre che è nei cieli si delinea il dramma d'una debole creatura in costante e quotidiana lotta contro il nemico d'ogni bene, scoperto o in agguato, si seguono distintamente le tappe dell'itinerario doloroso d'una vittima pienamente consapevole degli impegni della sua offerta incondizionata e generosa.  
Noi crediamo di poter dire con fondamento che le lettere di padre Pio sono pagine di un diario meraviglioso di un'anima privilegiata, brani d'un'autobiografia singolarissima, dove si descrivono con candore ed ingenuità i colloqui dell'anima con il suo Diletto; con forza e realismo raccapricciante le lotte con satana; con espressioni crude i tormenti interiori di un'anima in continua, affannosa e dolorosa ricerca di Dio.  
Frequenti sono le pagine traboccanti di dolore e amarezza, che traducono, in termini approssimativi, aspetti inediti o poco noti della vita dolorosa del Calvario che conduce alle delizie dell'unione trasformante del Tabor.  
Né difettano pagine poetiche, che sembrano dettate da un letterato, ma che in fondo sono soltanto l'espressione umana, calda, nitida di una meravigliosa realtà intensamente vissuta e deliziosamente gustata.  
 

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