Il dramma del peccato e l'amore del Padre
Non é facile per noi rinunciare al sogno di un'umanità e di un universo sviluppatisi in perfetta armonia, in una felicità senza nubi e in un'unione senza conflitti. Ci sembra invece che questo sogno, impossibile a realizzarsi da parte nostra, poiché dobbiamo accettare la situazione creata da un pesante passato, sarebbe stato alla portata del Padre nell'istante in cui il suo sguardo si era creato l'immagine del nostro mondo. Viene istintivo chiedersi perché in quell'immagine il male era previsto. L'amore del Padre per noi non sarebbe stato più grande se subito ci avesse posto al riparo dal peccato, risparmiando all'umanità quelle deviazioni morali di cui abbiamo ancora sotto gli occhi tristi esempi? Dovrebbe essere compito del padre procurare ai suoi figli tutta la felicità possibile e preservarli dal pericolo. Ora, nessun ostacolo poneva dei limiti al Padre: egli poteva formare l'uomo a suo piacimento. Perché, dunque, egli, bontà infinita, non ha escluso il male nella sua creatura?
Il problema si pone in modo tanto più impérioso in quanto il Padre vedeva perfettamente. che cosa il peccato significasse. E' difficile, per noi, rappresentarci la grandezza del peccato, la profondità del male che esso implica. Riusciamo tuttavia a scorgere l'aspetto orribile di certi peccati e sappiamo che la storia umana conta molte cose mostruose. Ma il Padre vedeva bene fin dal principio e la gravità di ogni peccato e l'immensità dei delitti e delle colpe dell'umanità intera. Ora, l'orrore di un tale spettacolo non avrebbe dovuto indurre il suo cuore paterno a non ammetterne la possibilità? Indubbiamente é l'uomo responsabile del proprio peccato, poiché é libero di non commetterlo, e avrebbe potuto evitarlo. Ma perché il Padre ha esposto la sua creatura al rischio della tentazione e perché non ha protetto l'uomo contro se stesso, rendendolo incapace di fare il male?
È la prima obiezione mossa a Dio sull'universo quale egli lo ha creato. Si sa che essa ricorre spesso nel pensiero degli uomini, ed é più frequentemente rivolta a Dio in generale, senza chiamare in causa particolarmente la persona del Padre. Eppure il rimprovero é diretto in modo cuore del Padre, perché pone in discussione la bontà paterna di Dio.
Una seconda obiezione è suggerita dalle conseguenze derivanti dal peccato di Adamo ed Eva. Ci si stupisce della gravità del castigo che seguì a quel peccato, innanzi tutto per coloro che lo avevano commesso e in seguito per tutta la loro discendenza. Non si può non rilevare la sproporzione tra una colpa, la cui gravità è innegabile, ma che sembra compiuta per debolezza, e una punizione che provoca una decadenza radicale per tutta l'umana generazione, condannandola al dolore e alla morte. Anche qui è propriamente il cuore del Padre che è messo in causa. Non è proprio della bontà paterna perdonare gli sbagli dei figli? Grazie all'onnipotenza della sua bontà, il Padre non avrebbe potuto assolvere dalla loro colpa i nostri progenitori, risparmiare loro il castigo di cui erano stati minacciati e, soprattutto, preservare la loro discendenza, che non condivideva la responsabilità del primo peccato? Un atto di perdono immediato e completo non sarebbe stato degno della grandezza del cuore del Padre? Quante sventure e quante miserie sarebbero state eliminate dalla vita terrena! E quante ribellioni segrete delle anime sarebbero state evitate, tutte le ribellioni provocate dal dolore e dalla disperazione! Molti uomini, infatti, non riescono a comprendere come le sventure che li colpiscono possano conciliarsi con la bontà divina e si considerano vittime di un castigo immeritato. Perché il Padre si è attenuto con tanto rigore alla risoluzione di punire severamente la colpa della prima coppia umana?
Vi è infine una terza obiezione, che si ricollega al, dramma stesso della redenzione. In questo dramma noi rileviamo innanzi tutto l'amore che ci ha testimoniato il nostro Salvatore: sacrificando la sua vita per noi, egli ci ha dimostrato come quest'amore arrivasse al limite estremo. Nessuno può negare che nel sacrificio del Calvario non vi sia un dono totale, un eroismo perfetto. La simpatia di Cristo per la nostra sorte, la sua solidarietà con la nostra umana miseria ci appaiono con un'evidenza innegabile; e la sua sofferenza e la sua morte non cesseranno mai di commuoverci e di convincerci. Ma non è altrettanto facile per noi vedere un amore simile nel Padre.
Da parte del Padre non vi è forse una manifestazione d'ira, una vendetta, che per voler abbattersi sul peccato colpisce Cristo? Ricordiamo il ritratto impressionante fatto da Bossuet della vendetta divina che si compiva sul Golgota. Egli descrive con grande efficacia « l'estrema desolazione in cui l'uomo Gesù Cristo è caduto sotto i colpi ripetuti e moltiplicati della vendetta divina ». Dopo aver citato la parola che Dio pronuncia nella Scrittura: « A me la vendetta », soggiunge: « Era dunque necessario, fratelli miei, che egli stesso venisse contro il Figlio suo con tutti i suoi fulmini; e poiché aveva posto in lui i nostri peccati, egli doveva porvi anche la sua giusta vendetta. E lo ha fatto, cristiani: non dubitiamone ». Lo ha fatto in maniera tale che, « non contento di averlo dato in balia della volontà dei suoi nemici, egli stesso, volendo essere della partita, lo ha spezzato e percosso con la sua mano onnipotente ».
Bossuet si appoggia all'autorità di san Paolo, nel quale trova « l'idea terribile » di Gesù Cristo divenuto peccato per noi e fatto per noi maledizione. « Eccolo dunque maledetto da Dio ». Perciò Dio guarda suo Figlio « come un peccatore e muove contro di lui con tutto l'apparato della sua giustizia. Mio Dio, perché vedo rivolto contro di me quel volto con cui sorprendi i reprobi? Volto del Padre mio, dove sei? volto dolce e paterno, io non vedo più nessuno dei tuoi tratti, vedo solo un Dio irritato: Deus, Deus meus! O bontà, o misericordia. Ah, come ti sei ritirato lontano da me Deus, Deus mens, ut quid dereliquisti me? ».
Questo quadro che ci mostra la maledizione di Dio che si abbatte su Cristo e penetra nel fondo della sua anima è terrificante. E come potrebbe darci un'idea attraente del Padre? L'opposizione tra il suo modo d'agire e quello di Cristo è troppo marcata. Mentre tutto è amore in Cristo, che si offre per noi alle peggiori sofferenze, l'atteggiamento del Padre assomiglia troppo alla crudeltà, per non provocare in noi una certa resistenza. Davanti a una tale divergenza di condotta non si potrebbe più dire: tale il padre, tale il figlio. Tra la dolcezza del Figlio e l'ira del Padre il contrasto è estremo: se la prima ci attira e ci seduce, la seconda non può che metterci a disagio. Il fatto che il Padre è onnipotente, sovrano assoluto e non deve rendere conto a nessuno della sua condotta, non basta a far comprendere e accettare un accesso di furore che aveva come oggetto Gesù. L'obiezione contro il cuore del Padre è forse formulata nelle parole che Bossuet mette in bocca a Cristo: « Volto del Padre mio, dove sei? Volto dolce e paterno, io non vedo più nessuno dei tuoi tratti, vedo solo un Dio irritato ». Come ha potuto, il Padre, perdere ad un tratto il suo volto paterno, e perderlo proprio di fronte al suo Figlio diletto?
È in nome della giustizia che si tenta di difendere la condotta del Padre nel dramma di sangue del Calvario. Si fa notare che Dio non è soltanto bontà e misericordia e che egli è tenuto di fronte a se stesso ad agire secondo i principi della giustizia. Ora, la giustizia richiedeva una sanzione contro i peccati degli uomini, una sanzione che doveva avere esecuzione: e fu Cristo a patirla. Così il supplizio del Colgota è stato il risultato di una conciliazione tra la misericordia divina che voleva perdonare agli uomini e la giustizia divina che non poteva concedere quel perdono se non con la punizione del peccato commesso.
Ma con ciò non abbiamo risolto la difficoltà. Innanzi tutto non si comprende bene come si possa qualificare giusta la decisione di applicare a un innocente la sanzione che avrebbe dovuto essere inflitta ai colpevoli. Se la giustizia esige una punizione del peccato, essa la esige esclusivamente per colui che l'ha commesso e vieta di trasferirla su dì un altro.
Considerare un atto di giustizia il supplizio inflitto a Cristo sarebbe dunque una mostruosità, in cui non soltanto la bontà del Padre scompare, ma anche la sua equità; mentre nell'opera della redenzione noi vorremmo trovare ad un tempo la giustizia del Padre e la sua bontà. Quando avessimo spiegato che la sua azione non lede in nulla la giustizia, resterebbe da dimostrare che essa è il frutto del suo amore; ma l'impressione che se ne riceve di primo acchito è contraria. Anche non volendo attribuire al Padre né ira né vendetta alcuna, dobbiamo riconoscergli la posizione di colui che reclama riparazione o soddisfazione per l'offesa sofferta; ed è una posizione assai meno attraente, ai nostri occhi, di quella di Cristo. Mentre il Figlio si offre e si dà sino all'estremo per soddisfare il Padre e salvare gli uomini, il Padre sembra pensare più a se stesso, esigendo un omaggio alla propria persona, un sacrificio in suo onore. Per questo il Padre, a differenza di Cristo, sembra presentarsi a noi sotto un aspetto che non è quello del puro amore.
Tali sono le obiezioni suggerite dal dramma del peccato e della redenzione, obiezioni che tormentano molti spiriti e che possono sfociare in un apprezzamento non del tutto favorevole della bontà del Padre, apparendo questi piuttosto come un essere freddo o incutente timore. Anche inchinandosi davanti a lui, anche accettando la sua volontà, si ha qualche difficoltà a riconoscere il suo amore paterno; e seppure lo si considera Padre, si guarda a lui come a un Padre severo che infligge castighi, e si conserva l'impressione fondamentale che il Padre ci abbia amato meno di quanto ci abbia amato Cristo.
Prima di rispondere a queste obiezioni diciamo subito che in realtà il dramma del peccato e della redenzione, quando sia giustamente compreso, si rivela un'attestazione commovente dell'amore del Padre e che il suo cuore vi figura mosso unicamente dalla bontà. Non vi può essere un'inferiorità del Padre di fronte al Figlio; se tutto é amore in Cristo che ci riscatta, non meno lo è nel Padre che ci salva per mezzo del Figlio suo.
Ma forse é necessaria una maggior riflessione per discernere l'amore del Padre. Il volto amoroso di Cristo é più concreto, più immediatamente accessibile, e la sua bontà, messa in luce dal Vangelo, ci appare con evidenza. L'amore del Padre, invece, si nasconde sotto apparenze che possono dar luogo a interpretazioni errate. Cerchiamo dunque di analizzarlo in rapporto al peccato e nell'opera di redenzione.
Di Jean Galot s. j.
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