SIAMO TUTTI COLPEVOLI
Dice S. Agostino: « Dice il Signore Dio: guai ai pastori di Israele che pascolano se stessi! I pastori non dovrebbero forse pascere il gregge? » (Ez. 34,2), cioè i pastori non devono pascere se stessi, ma il gregge.
Questo è il primo capo d'accusa contro tali pastori; essi pascolano se stessi e non il gregge. Chi sono coloro che pascono se stessi? Quelli di cui l'Apostolo dice: « Tutti infatti cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo» (Fil. 2,21).
Non siamo stati i Testimoni di Gesù, come egli ci aveva comandato; non siamo stati i testimoni della sua resurrezione, non siamo vissuti tutti protesi al suo ritorno, come i primi cristiani. Ci siamo quasi completamente mimetizzati col mondo al punto da non farci più riconoscere. Abbiamo abbandonato la preghiera e la devozione a Maria, e il nostro apostolato è divenuto sterile e oltre 100.000 sacerdoti e innumerevoli religiosi e religiose si sono ridotti allo stato laicale.
Non abbiamo fatto vedere col nostro comportamento di credere che la messa è la rinnovazione del Sacrificio della croce e non siamo stati all'altare come Giovanni nel Calvario; cosicché la gente pian piano se ne è allontanata, mentre le folle assiepavano le Messe di Padre Pio che vi riviveva la crocifissione. Abbiamo financo abbandonato il confessionale e chiuso le Chiese, aprendole appena qualche ora al giorno, eliminando la pietà eucaristica e rendendoci irreperibili ai fedeli. Non abbiamo dimostrato di credere veramente all'Eucarestia, sia passando davanti al Tabernacolo, sia trascorrendo, come avremmo dovuto, lungo tempo in raccoglimento dinanzi ad essa.
Quella protestante nascosta di notte in Chiesa, e convertita al vedere come S. Francesco di Sales vi stava solitario, assorto, guardando il Tabernacolo, si sarebbe convertita guardando noi in Chiesa?
Non abbiamo più predicato il nudo Vangelo, il Vangelo della Salvezza, il Vangelo del regno dei cieli, delle beatitudini, dell'unico necessario, dinanzi al quale vale nulla guadagnare il mondo intero. E quando lo abbiamo pubblicamente letto, abbiamo saputo forse fare soltanto una "predica", fredda come una lezione, e soprattutto breve.
E significativo l'episodio del prete che chiese all'artista:
- Perché quando noi predichiamo la verità del Vangelo la gente resta insensibile, mentre quando voi recitate le fantasie dei vostri drammi la gente si commuove?
- Perché voi le predicate come se fossero false, mentre noi ce ne compenetriamo come se fossero vere, quello rispose.
Abbiamo tradito il cristianesimo non parlando più dei novissimi e presentando solo il suo aspetto terreno e sociale.
Abbiamo svalutato il Vangelo riducendolo a messaggio sociale. Abbiamo avuto di mira solo il paradiso terrestre come i marxisti, accantonando il Paradiso celeste e dimenticando che non si può realizzare lo stesso paradiso terrestre cambiando i proprietari dei beni terreni, ma soltanto cambiando il cuore dell'uomo. Ciò che può fare soltanto il cristianesimo.
Dice S. Paolo: « La pietà è utile a tutto, ed ha la promessa della vita presente e futura» (1 Tim. 4,8).
Avevamo uno strumento preziosissimo per evangelizzare tutta l'Italia: le scuole. Le abbiamo abbandonate o non abbiamo saputo utilizzarle. Abbiamo abbandonato le Scuole elementari, dove avevamo libero accesso, almeno per le XX lezioni integrative. La nostra scusa è stata la mancanza di tempo.
Se però ci fosse stato uno stipendio, vi saremmo andati. In ogni caso avremmo potuto anche farci aiutare da religiose.
Abbiamo affrontato l'insegnamento religioso nelle scuole medie e superiori generalmente senza preparazione apologetica, storica, ascetica, pedagogica, psicologica; e della materia che, saputa presentare, è la più attraente, ne abbiamo fatto la materia più arida e più noiosa, al punto da non interessare nessuno.
Avevamo mediante i cappellani militari una buona occasione per evangelizzare tutti i giovani, ma abbiamo perduto anche questa, sempre per nostra colpa. Avevamo un altro mezzo preziosissimo: i sacramenti e non lo abbiamo saputo utilizzare. Abbiamo fatto allontanare i fedeli dalla confessione, sia non presentandola nella sua funzione salvifica e metanoica, sia abbandonando il confessionale. Abbiamo svuotato l'eucarestia, sia non facendone vedere l'indispensabile strumento della nostra divinizzazione e della nostra resurrezione, sia sottovalutando la preparazione e il ringraziamento alla comunione.
Forse non abbiamo preparato bene i catechisti, non li abbiamo integrati con la nostra presenza, non abbiamo messo due anni di preparazione alla 1a comunione (di cui il 1° per la Iª confessione), e due anni per la preparazione alla Cresima (di cui il 1° per la conoscenza del Vangelo).
Avremmo così potuto dare ai ragazzi un'ottima base cristiana, che sarebbe sempre riaffiorata dopo ogni crisi.
Non abbiamo curato la catechesi permanente facendone un vero catecumenato, sia per recuperare i lontani, sia per avere dei cristiani militanti.
Abbiamo curato le poche pecorelle rimaste nell'ovile, e abbiamo trascurato le migliaia che si sono perdute o ci siamo facilmente rassegnati a non potere fare nulla per esse.
Avremmo potuto recuperare quasi tutti in occasione del loro matrimonio, permettendo una seria catechesi di 3 o 4 mesi; e invece ci siamo forse limitati a dare poche lezioni, delle nozioni di diritto, o di morale sessuale in chi mancava delle prime nozioni di catechismo.
Avremmo potuto toccare il cuore di tutti nell'omelia dei funerali, dando certezze sulla sopravvivenza, sui novissimi, sul purgatorio, e spingendo all'unica cosa necessaria per noi (la nostra salvezza) e alla preghiera e alla carità, quale unica cosa utile per i nostri defunti; e invece ci siamo limitati a poche parole generiche o elogiative.
Dobbiamo tutti meditare quanto già diceva per i suoi tempi S. Gregorio Magno: « Per una grande messe gli operai sono pochi; non possiamo parlare di questa scarsità senza tristezza poiché vi sono persone che ascolterebbero la buona parola, ma mancano i predicatori. Ecco, il mondo è pieno di sacerdoti e tuttavia si trova di rado chi lavora nella messe del Signore; ci siamo assunti l'ufficio sacerdotale, ma non compiamo le opere che l'ufficio comporta.
« Riflettete attentamente, fratelli carissimi, su quello che è scritto: "Pregate il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. Pregate voi per noi, affinché siamo in grado di operare per voi come si conviene; perché la lingua non resti inceppata nell'esortare, e il nostro silenzio non condanni presso il giusto giudice noi, che abbiamo assunto l'ufficio di predicatori.
Vi sono altre cose, fratelli carissimi, che mi rattristano profondamente sul modo di vivere dei pastori. E perché non sembri offensivo per qualcuno quello che sto per dire, accuso nel medesimo tempo anche me, quantunque mi trovi a questo posto non certo per mia libera scelta, ma piuttosto costretto dai tempi calamitosi in cui viviamo. Ci siamo ingolfati in affari terreni; e altro è ciò che abbiamo assunto con l'ufficio sacerdotale; altro ciò che mostriamo con i fatti. Noi abbandoniamo il ministero della predicazione e siamo chiamati vescovi, ma forse piuttosto a nostra condanna, dato che possediamo il titolo onorifico e non le qualità. Coloro che ci sono stati affidati abbandonano Dio, e noi stiamo zitti. Giacciono nei loro peccati e noi non tendiamo loro la mano per correggerli. Ma come sarà possibile che noi emendiamo la vita degli altri, se trascuriamo la nostra? Tutti rivolti alle faccende terrene, diventiamo tanto più insensibili interiormente, quanto più sembriamo attenti agli affari esteriori. Ben per questo la santa Chiesa dice delle sue membra malate: "Mi hanno messo a guardiana delle vigne; la mia vigna, la mia, non l'ho custodita" (Ct.1.6). Posti a custodi delle vigne, non custodiamo affatto la nostra vigna, perché implicati in azioni estranee o trascuriamo il ministero che dovremmo compiere ».
Padre Ildebrando A. Santangelo (Servo di Dio)
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