IL DIPLOMATICO
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Il Commendone avrebbe voluto approfittare di certe manifestazioni della Svezia verso la Santa Sede, per riattaccare con quella nazione relazioni diplomatiche e religiose.
I principi Eric e Giovanni, che si disputavano la corona, avevano scelto come arbitro Pio V; l'occasione pareva quindi assai favorevole. Ma Rusticucci, conoscendo meglio le cose, si frappose e rese vani gli sforzi del vescovo di Zante. Anche il Papa, quando seppe che la regina Caterina, moglie di Giovanni III, mal diretta da Grohowski, s'era permessa di far la comunione sotto le due specie, fini di disinteressarsi degli svedesi.
Ad alcuno potrebbe recar meraviglia questa preferenza data da Pio V ai consigli del Rusticucci; ma la meraviglia cessa, qualora si pensi che anche la benevolenza dimostrata da Gregorio XIII verso gli svedesi non ebbe alcun risultato e aveva lasciato quel popolo nello scisma 15 .
Pio V comunque non tolse la sua fiducia al Commendone, poiché lo incaricò di far riconoscere da Massimiliano la dignità di granduca da lui concessa ai Medici di Firenze, in ricompensa dei servizi ricevuti da quella nobile Casa. Quando Carlo IX domandò di tenere in Francia delle milizie ausiliarie, Cosimo de' Medici, consultato dal legato pontificio, rispose ch'egli metteva i soldati toscani a libera disposizione della Santa Sede, ed era disposto a mandare rinforzi, qualora il Pontefice l'avesse giudicato necessario.
Pio V, commosso ed edificato da un ossequio tanto cordiale, giungendo le mani esclamò: “Mio Dio, concedetemi la grazia di non morire, prima che abbia ricompensato un principe tanto fedele alla vostra Chiesa!”
Questa ricompensa fu forse suggerita al Papa dallo stesso de' Medici, il quale si lamentava che la sua autorità effettiva su tutta la Toscana non aveva avuto una consacrazione ufficiale. Egli desiderava un diploma che stabilisse la sua sovranità e la rendesse ereditaria; ma conosceva troppo bene l'opposizione dell'imperatore, del re di Spagna e la gelosia dei principi italiani e tedeschi.
L'atto di Pio V richiedeva riflessione; era necessario far vedere all'Europa che non si soccorreva inutilmente la Chiesa. Matteo Judex, professore all'università di Jena, s'adoprava ad allontanare da Roma i principi tedeschi accusando di ingratitudine la Santa Sede. Sparse centinaia di copie di una vignetta umoristica di Lutero, in cui Papa Clemente IV, con l'aspetto di un boia, troncava il capo a Corradino, re di Napoli, figlio dell'imperatore Corrado IV, e sotto la caricatura si leggeva: “Il Papa ricompensa gli imperatori per i servizi che questi gli hanno resi”.
Una degna ricompensa a Cosimo doveva distruggere questa calunnia. Ma si richiedeva il consenso di Massimiliano; e non sarebbe stata questa un'occasione per rendere più gravi le dissensioni tra l'impero e il papato?
Dopo che il Papa ebbe pesato bene il pro e il contro, con un motu proprio del 1 settembre 1569 conferì a Cosimo e ai suoi eredi il titolo di Granduca della Toscana. La bolla d'investitura, enumerando tutti i motivi della decisione da lui presa, dissipava il dubbio che egli avesse agito per capriccio 16 . Il duca di Firenze aveva impedito la propaganda protestante in Toscana e mostrato il suo amore al cattolicismo. A richiesta dal Papa s'era affrettato a mandare in Francia le sue milizie e ve le aveva lasciate a lungo, contribuendo pure efficacemente alle spese della guerra contro gli Ugonotti. Aveva messo sotto la protezione di Santo Stefano un ordine cavalleresco da lui istituito per la repressione dei Barbareschi, e si mostrava vigile nel dar la caccia ai corsari e a sterminare il banditismo. Il suo Stato, retto con intelligenza e bontà, occupava in Italia un posto assai importante; vi si potevano ammirare città popolose, chiese metropolitane, sontuose cattedrali, università, porti, fortezze, e molti uomini che si distinguevano nelle lettere, scienze, belle arti, nella guerra. Liberi da ogni minimo vassallaggio, i Medici potevano stare alla pari colle case sovrane; la loro genealogia contava tre papi, molti cardinali, molti celebri personaggi, e l'attuale duca era alleato dell'imperatore, del re di Francia e di famiglie principesche d'Europa.
Gli invidiosi però andavano sussurrando malignamente che tanta gloria era offuscata da un' ombra, che gocciava sangue. Senza fare un parallelo tra fatti che disonoravano la memoria dei Borgia e quella dei Medici, si diceva sotto voce che anche questi non andavano esenti da macchie, e che all'uopo la loro mano, più agile che onesta, sapeva prontamente usare il veleno e la spada.
Lorenzo aveva organizzato l'uccisione di Giuliano de' Medici, si sospettava; Alessandro aveva lasciato a Firenze una nomea di tirannia e il popolo non aveva nessuno scrupolo di imputargli l'avvelenamento del cugino, Cardo Ippolito, e persino quello della madre. Nessuno comunque ignorava che suo cugino Lorenzino l'aveva ucciso a tradimento nel 1537.
Inoltre si raccontava apertamente che i Medici avevano anche esportato all'estero le loro violenze; Caterina de' Medici infatti non riusciva a scrollarsi di dosso l'accusa di aver concepito e quasi eseguito l'assassinio di Coligny.
Può essere che la malignità del popolo per il piacere di strombazzare ai quattro venti gli scandali o di vendicarsi del rigore dell'autorità medicea, abbia esagerato i fatti e dato un'aria di drammaticità a certe morti. Bisogna anche dire che i costumi turbolenti di quei tempi rendevano meno odiose le uccisioni. I popoli d'allora, ben lontani dal provare il sentimento di repulsione verso i sicari che proviamo noi, li ritenevano facilmente come degli abili giostratori, che trovavano un'attenuante nel proprio interesse o nelle proprie passioni.
Non si vide forse la corte più raffinata della penisola, quella di Ferrara compromettere la sua eleganza in questioni conclusesi tragicamente? Benvenuto Cellini e la sua allegra brigata, che si era autodefinita dei “giovani virtuosi”, più d'una volta si era divertito a pugnalare per gioco innocui avventori, senza per questo perdere la loro riputazione di galantuomini. Si dice che Paolo III mormorasse con paterna indulgenza: “Artisti come Benvenuto Cellini, sono superiori alle leggi comuni”.
Tuttavia, per quanto fosse allora attutita la sensibilità, molti e forti sospetti di intrighi delittuosi pesavano sui Medici, e prestavano il fianco alla gelosia e alla collera; è comprensibile quindi che la decisione di Pio V doveva naturalmente sollevare critiche e contestazioni.
I pettegolezzi della folla non giungevano certo alle orecchie del Papa, egli non avrebbe tollerato che un chiacchierone o un importuno qualunque gliene facesse udir l'eco; ma non poteva evitare i commenti che si facevano in Europa, specialmente dai sovrani, commenti che andavano a ferire la decisione da lui presa.
Chi mostrò maggior sdegno fu Massimiliano. Il Papa sperava, che dovendo l'imperatore sposare suo figlio Francesco con una figliuola di Cosimo de' Medici, il matrimonio avrebbe scemato il suo malcontento: l'esaltazione del padre sarebbe tornata ad onore della novella arciduchessa e avrebbe meglio giustificata l'entrata di quella principessa nella casa imperiale. E qualora Massimiliano non avesse esplicitamente approvato l'atto del Papa, si sarebbe per lo meno mantenuto in un silenzioso riserbo. Ma fu tutto il contrario. Diverse congiunture spinsero l'imperatore a fare resistenza. I suoi diritti erano minacciati da tutte le parti. Egli assisteva impotente alla perdita progressiva della sua autorità e allo smembramento dei suoi Stati: la Francia, la Spagna, la Russia e la Polonia s'attribuivano arrogantemente qualche lembo del suo territorio, e i suoi stessi feudatari non gli rendevano più che qualche omaggio di pura formalità. Il suo dispetto traboccava. Giudicò cosi opportuna l'occasione di vendicare i suoi precedenti affronti, di richiamare l'Europa al rispetto della sua supremazia, e far sentire al Papa, da lui creduto debole, che la sua forza non era venuta meno.
L'imperatore con una lettera autografa rivendicò “i privilegi del Sacro Impero”, e incaricò il suo ambasciatore, il conte d'Arcos, di accentuare le sue richieste. Nel frattempo sfogava a Vienna la sua collera.
Può essere, che conoscendosi incapace d'agire facesse la voce grossa, o manifestasse dei propositi violenti allo scopo di essere trascinato nella lotta. Fatto sta che notificò all'ambasciatore d'Inghilterra “ch'egli avrebbe ricondotto l'audace vescovo di Roma agli antichi costumi dei tempi apostolici, e che i principi tedeschi non l'avrebbero lasciato in imbarazzo”.
Questi infatti, luterani o calvinisti che fossero, l'avrebbero sostenuto, qualora, secondo le loro eleganti espressioni, egli avesse voluto “distruggere le tenebre d'Egitto, ossia il papismo, e liberare il mondo dall' Anticristo di Roma”.
Matteo Judex a sua volta, dall'alto della cattedra, infiammava gli animi con i suoi proclami. È compito di Massimiliano, diceva, mandare in rovina la dominazione papale, e “infliggere un giusto castigo a questi vescovi sediziosi, che osano offendere la maestà dell'imperatore”. E in termini biblici, tolti dai Profeti, scongiurava “le autorità grandi e piccole sotto pena di peccato gravissimo” di partire per la crociata 17 .
Massimiliano, eccitato da questi clamori e dalle insinuazioni dei principi, non si mostrava alieno da un conflitto armato. Uno dei suoi confidenti confessava a un amico dell'elettore palatino Federico, che il suo signore “vedrebbe volentieri una spedizione contro Roma” 18 .
Anche il re di Spagna, come sovrano di Milano e Napoli, fu impressionato dalla decisione presa da Pio V. Cosimo de' Medici ne ebbe timore; doveva dunque vedere invasi i suoi Stati, e pagare a si caro prezzo la gloria tanto vagheggiata? Egli spedì segretamente in Germania il Fragosa per tastare il terreno; ma l'accoglienza glaciale avuta a Heidelberg fece perdere a costui ogni coraggio.
Ludovico di Nassau si manifestò invece favorevole; anzi incaricò Teligny di guadagnare Carlo IX alla causa di Firenze, mettendogli davanti, per fare più impressione, la possibilità d'una sconfitta spagnuola. Il re di Francia, all'insaputa di Caterina, s'immischiò nell'affare, stimolando l'ambasciatore fiorentino ad affrettare l'inizio delle ostilità. Cosimo de' Medici non era meno impaziente di dar principio alla lotta, e, contento di aver tali aiuti in caso d'un attacco, riduceva prudentemente le sue pretese a una semplice difesa.
Cosa avrebbe pensato Pio V di queste trattative misteriose e sospette? Avrebbe approvato quest'intesa col principe d'Orange? È certo che il Papa nelle millanterie di Massimiliano non volle vedere le manovre che gli venivano accuratamente nascoste.
Non si meravigliò dell'effervescenza che si manifestava in Germania, e senza alcun timore forni al cardo Commendone; il mezzo di calmarla. Gli argomenti addotti erano precisi, copiosa la documentazione. Firenze s'era altre volte sottratta alla tutela imperiale con degli enormi sussidi; ne faceva fede una carta di Rodolfo, fondatore della casa d'Austria. Inoltre, celebri esempi giustificavano l'esaltazione dei Medici.
Benedetto IX aveva creato Casimiro re di Polonia, nonostante l'opposizione della Germania. Gregorio IX aveva dato a Demetrio il reame di Croazia; Innocenzo IV aveva chiamato al trono di Portogallo Alfonso de Boulogne. E se si andava più indietro, chi non ricordava Leone III e Carlo Magno? Siccome il Papa aveva il diritto incontestabile di consacrare l'imperatore, doveva pur essergli lecito di innalzare un semplice duca alla dignità granducale.
Il Commendone, sempre grave, insinuante, piacevole, seppe presentare con molta destrezza queste ragioni, e Massimiliano, che in fondo in fondo desiderava poco la lotta, le ammise volentieri.
Il 5 marzo 1570 il Santo Padre coronò solennemente in Vaticano Cosimo de' Medici. La cerimonia si svolse con tutta la magnificenza che Pio V soleva dare alle feste religiose. Durante la cerimonia pontificale, dopo che il granduca ebbe rinnovato il giuramento di fedeltà alla Chiesa e alla Santa Sede, il Papa benedisse secondo la liturgia le insegne del nuovo sovrano, gli offri la rosa d'oro di quell'anno e gli pose sul capo il diadema, sul quale aveva fatto incidere queste parole: “Pius V Pontifex Maximus, ob eximiam dilectionem ac catholicae religionis zelum praecipuumque iustitiae studium, donavit” 19 .
Il prestigio che godeva il Santo Padre, e l'inerzia dell'imperatore fecero si, che nessuna delle corti d'Europa facesse rimostranze per l'esaltazione di Cosimo. Parecchie applaudirono velatamente; tutte, nonostante qualche debole protesta, la riconobbero, e Massimiliano stesso che, dopo lo sposalizio di sua figlia con Filippo II, s'era sensibilmente avvicinato alla S. Sede, ratificò l'atto del Pontefice, quando alla morte di Cosimo (1574), il suo genero fu investito della dignità granducale.
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Card. GIORGIO GRENTE
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