I Parte della visione: Il primo Pioniere, “IL CAMPIONE”
Il primo Pioniere
(1° orientamento: scena rivolta verso Sud)
§ 16 Con mia grande sorpresa vidi sulla parete Sud del mio studio, al posto che era coperto dallo sportello sinistro della libreria di destra, una finestra aperta al chiaro della luce meridiana occupata dalla figura nitida di un Ragazzo nudo, dalla pelle lucida e arrossata come fosse stato scottato di recente dal sole. Lo vedevo solo dalle anche in su. Non aveva segno di vestito, neppure un perizoma. I capelli nerissimi, lucidi e lisci, gli scendevano fino alle spalle. Mi veniva da fargli molte domande: “Chi sei? Come sei venuto qui?”. La Voce, sommessa, mi suggerì di contenermi. Quello non mi guardava. Aveva una faccia bonaria e paffuta. Era intento a guardare qualcosa che aveva fra le mani. Sembrava un mazzetto di steli di paglia. Si girò dalla parte opposta e fece due o tre passi guardando in alto. C’era un soffitto fatto di lastroni di pietra giallastra di arenaria dello spessore di circa 40 cm. Si fermò dove la serie di lastre era interrotta per la caduta di una di esse. Da quel vano sporgevano in giù dei corpi grigi, bucherellati, che credetti, lì per lì, dei pezzi di tufo. Ne vedevo solo l’estremità inferiore.
Guardavo il Ragazzo sospeso lì fuori del muro della mia stanza pensando a come facesse a reggersi a quell’altezza di 5 m dal suolo, dato che nel muro esterno non vi erano mensole né appigli. La mia meraviglia dipendeva dal fatto che la canonica di Chies è situata su un terreno in pendio: mentre le stanze rivolte ad Est sono a livello della strada, quelle rivolte a Ovest sono un piano più alto dell’orto.
§ 17 Lo vedevo di schiena che armeggiava con le mani così da far sprizzare verso il suo fianco destro un pennacchio di scintille a brevissimi intervalli. Si girò sul fianco sinistro e potei vedere che quello che aveva nella mano sinistra era un mazzetto di steli diritti di frumento o di segala le cui spighe vuote intrise di un liquido nero ora bruciavano con molto fumo gocciolando. Uno stelo acceso si era piegato in giù ed egli si curvò e non lo vidi più. Quando si rialzò aveva in mano il mazzetto senza fuoco. Dispose le estremità opposte alla spiga sul palmo della mano sinistra, fermandole con l’indice e il mignolo contro il dito medio e anulare. Sopra il tratto che restava sul palmo, strinse tra il pollice e il mignolo una pietra piatta. Nella destra ne teneva una simile e si mise a sfregare in un’unica direzione questa con quella producendo frequenti pennacchi di scintille verso le spighe finché presero nuovamente fuoco e fecero fumo. Il Ragazzo produsse, col suo fuoco, una nube nera di fumo che saliva a quei pezzi di tufo dalla forma di grossi salami pendenti sopra la sua testa fra le due grosse lastre di pietra, provocando il volo di numerosi insetti che gli svolazzavano intorno. Lo vidi fare una piccola smorfia. Si ritirò di alcuni passi verso la mia virtuale finestra; attese finché il fumo si diradò e, prima che cessasse, ritornò là, alzò le braccia (non vidi pelo sotto le sue ascelle), scostò due o tre tufi osservandone gli interstizi e, non senza difficoltà, ne staccò uno provocando un nuovo sciame di insetti. Parevano mosche.
Egli si ritrasse, ma non li scacciava. Ne staccò qualche pezzetto d’intorno e lo lasciò cadere. Si ritirò di nuovo venendo ancor più vicino e proprio davanti a me, si chinò e scomparve sotto il davanzale del quadro visivo.
Questo non era sempre uguale: veniva ristretto fra i due lati orizzontali, ora più ora meno, per inquadrare solo la scena che dovevo guardare.
Mentre il protagonista stava sotto la linea inferiore del quadro visivo, potei vedere il panorama e un lembo orizzontale di cielo. Era sereno, alla luce meridiana. Lo deducevo dall’ombra quasi inesistente.
Finestra aperta alla luce meridiana: l’habitat del primo Uomo
§ 18 Volevo guardare l’ambiente, orizzontarmi, ma al di là vedevo solo il cielo sereno. L’orizzonte era lontano, a perdita d’occhio, ad un livello più basso del luogo in cui mi trovavo. Il punto d’osservazione era da un’altura. Mi alzai in punta di piedi per osservare il panorama nascosto dal davanzale di quella strana finestra da cui distavo quasi un metro. Con mia sorpresa e grande gioia, la finestra mi venne incontro, così che potei affacciarmi. Mi trovavo su uno sperone di roccia marnosa, che scendeva quasi verticalmente con uno strapiombo verso Ovest. Questo sperone era la parte estrema di un alto promontorio che si spingeva da Nord verso Sud.
Sotto quello strapiombo vidi da Nord-Ovest a Sud una grande distesa di bosco, tutte piante a latifoglio e nessuna conifera. Quella foresta dal lontano orizzonte arrivava fino ai pressi dell’altura su cui mi trovavo. Appoggiai la mano sinistra alla cartelliera (che già non vedevo) e mi protesi innanzi per sporgermi dalla finestra e guardai giù nelle immediate adiacenze.
La finestra mi si accostò ancor di più, lentamente. Più scorgevo la parte più prossima di quella foresta, più percepivo la misura del dislivello in rapporto al mio punto di osservazione, alto almeno una sessantina di metri. Non potevo distinguere, dalle foglie, la specie di piante del bosco. Forse erano castani o querce o faggi.
Mi sporsi di più, fino a mettere la testa fuori dal davanzale. Ebbi un brivido. Quello strapiombo era costituito da molti lunghi corsi sovrapposti ed obliqui di pietra arenaria giallastra intervallati da marna di colore più scuro. Anzi, ora anch’io ero nell’incavo fra due cenge sovrapposte dove lo strato di marna era stato eroso.
Ai piedi della roccia su cui mi trovavo c’era l’alveo di un torrente asciutto dal colore bianco in contrasto con le pietre giallastre dell’altura. Non distinguevo i ciottoli.
Ad una ventina di metri dalla base dello strapiombo, oltre la sponda opposta del greto del torrente, questo bosco terminava di netto con un brusco salto di dieci metri rispetto all’alveo del torrente che lo delimitava in linea retta da Nord-Ovest a Sud.
§ 19 Di fronte a questo promontorio si apriva a ventaglio verso Sud fra due linee divergenti, che inizialmente distavano una cinquantina di metri, una zona pianeggiante, fertile, coperta di vegetazione cerealicola che si stendeva a perdita d’occhio. Non vedevo monti all’orizzonte o perché non ce n’erano o perché la foschia mi impediva di vederli.
Dall’enorme estensione di quella vegetazione color oro dedussi che quelle messi crescevano spontanee, aiutate nelle vicinanze dell’altura da qualche fosso rettilineo che distinguevo appena e che, suppongo, fosse un rudimentale sistema di canali d’irrigazione che qualcuno aveva scavato. A Est dell’immensa campagna vi era un’altra valle che usciva dal lato orientale dello sperone di roccia. Forse, al di là di una fila di piante irregolari che delimitavano a sinistra la pianura, vi era anche un’altura. Non potei vedere se ci fosse un altro corso d’acqua.
Nel guardare il dirupo che stava sotto di me ebbi un momento di sconcerto e mi tenni, con la sinistra, ancor più saldo alla cartelliera.
§ 20 Mi ritraggo e osservo ancora l’orizzonte. Non mi raccapezzo. So di essere nella mia abitazione e tengo i piedi per terra. La canonica non è sull’orlo di un precipizio. Strana associazione di idee. Anch’io sono un uomo che, a volte, sono incline a giudicare le cose secondo le proprie misure. Pensai: “In questa parete è stata murata una finestra che guardava il sottostante cortiletto interno della canonica, ultimo lembo dell’orto del Beneficio, salvato un tempo dall’usurpo dei vicini che poi, in questi ultimi anni, hanno costruito e ampliato la loro casa abusivamente. Ora, ecco sprofondato il cortile e anche la casa nell’abisso, forse a causa del terremoto che ho sentito. Meglio così: ora potrò vedere di nuovo il sole d’inverno e vedrò la Chiesa e il colle del Cimitero. Ma, e le persone? Oh! Misericordia, no! Ma... questo non è il mio ambiente! Se fosse scomparso anche il colle vedrei l’orizzonte sopra il lago di S.Croce. L’Alpago è bello, ma non è il Paradiso Terrestre, anche se i bellunesi lo chiamano ‘il giardino di Belluno’. E poi, qui è notte e lì è giorno”.
§ 21 La finestra inquadra di nuovo il protagonista che ora si è rizzato in piedi. Ha in mano un oggetto bucherellato da cui sta strappando dei pezzettini che lascia cadere. Non riesco a capire che cosa sia. Mi sembra un pezzo di quel tufo. I soliti insetti gli volano attorno e si posano su quell’oggetto. Egli, con calma, strappa il pezzettino infestato e lo lascia ancora cadere. Qualche volta scorgo sulle sue labbra una leggera fugace smorfia di dolore. Finalmente alza la testa e sbanda i capelli dalla fronte. È vicinissimo a me, nel lato più esterno della cengia. La Voce sommessa mi suggerisce di osservarlo bene. È ad un mezzo palmo di distanza davanti alla mia spalla destra. Lo vedo di profilo. Egli alza lo sguardo verso la mia sinistra, lentamente. Con la mano sinistra fa il gesto di sistemare i capelli dietro l’orecchio sinistro. Gli osservo la mano grassoccia, rosea e lucida, le dita perfette nella forma e nella proporzione del palmo, le unghie regolari e pulite. Così pure l’orecchio è ben fatto. Ad un mezzo palmo di distanza egli accosta la sua guancia al mio sguardo. Posso constatare che non vi è alcuna traccia di barba e neppure di peluria di baffi. I pori della sua pelle, rosea, liscia, delicata e lucida, sono invisibili. Niente peluria neanche alle ascelle né sul petto. Ora che lo vedo muoversi con tanta naturalezza, rivolto sempre verso la mia sinistra, provo un senso di ammirazione e di simpatia al constatare la perfetta armonia dei suoi lineamenti. Il naso è un po’ piccolo e delicato nella tinta, come quello di un bimbo. Gli occhi neri sono profondi e piuttosto piccoli. L’arco sopraccigliare, fatto proprio ad arco, è ricoperto da sopracciglia nere normali, non a cespuglio, non lunghe né sporgenti, ma giuste, che non si congiungono sopra il naso. Tra le sopracciglia e le ciglia la nicchia è profonda più di un centimetro ed è pallida, così pure la palpebra quando abbassa lo sguardo, perché il sole non l’ha arrossata. Forse anche per questo gli occhi mi sembrano molto profondi. La fronte è alta e ben proporzionata. L’angolo facciale è retto, il mento e la bocca sono regolari.
§ 22 Mentre lo fissavo, egli, guardando lontano sempre verso la mia sinistra, aprì la bocca e sentii pronunciare due parole, con voce forte e lentamente: – DALLA VOCE. – Notai che mentre sentivo pronunciare “dalla”, il Ragazzo aveva mostrato tutti i denti bianchi e regolari, anche i quattro canini che non erano più lunghi degli altri denti. Aveva mosso la lingua verso gli incisivi come avesse pronunciato la prima consonante ‘d’, e poi contro il palato per la ‘l’. Ma quanto alla parola “voce” non mi sembrò corrispondente il movimento delle sue labbra, perché si erano contratte come nell’atto di zufolare.
Inoltre il suono delle parole non mi veniva da quella direzione, ma da sopra la mia spalla destra. Dovetti pensare un po’ per capire. Era la risposta alla mia ultima domanda: “Ma che tipo di segno?”. E quel ‘segno’ era a sua volta la risposta a quell’altra domanda espressa prima che iniziasse la visione mentre stavo per prendere in mano la Bibbia: “Come ha fatto (l’Uomo) a trovarla (la Donna)?”. Dunque l’Uomo aveva trovato la Donna da un segno e quel segno era la voce. Ma di chi?
§ 23 Il Ragazzo era ad una distanza che calcolavo essere appena di là del muro dello studio. Stava passando dalla mano destra alla sinistra quell’oggetto che credevo essere un pezzetto di tufo volgendo anche il capo dalla stessa parte come volesse rivolgersi a me. Invece guardava lontano. In quel momento la solita Voce diceva: – HA SENTITO LA SUA VOCE. – Non avevo compreso che era stato l’Illustre Commentatore a parlare. Credendo fosse stato il Ragazzo che mi stava dando del ‘lei’ e che si riferisse a qualcuno che aveva sentito la mia voce, risposi con lo stesso tono forte:
– Eh! Ho altro a cui pensare io! Altro che la mia voce! – Desideravo studiare la Bibbia. Non volevo distrazioni. Il mio Illustre Maestro intendeva invece, come mi venne detto di lì a poco, che il Ragazzo aveva sentito la voce della madre che stava per partorire quella che sarebbe diventata la sua Donna.
Frattanto Chi mi parlava nel pensiero si fece più insistente e andava dicendo parecchie parole di cui ricordo bene solo queste:
– EGLI HA SENTITO. TI PARLO DI LUI. –
Don Guido Bortoluzzi
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