lunedì 8 novembre 2021

PANE DI VITA ETERNA E CALICE DELL’ETERNA SALVEZZA

 


L’Eucaristia «...è propriamente il sacramento  del Corpo di Cristo… più che il sacramento della sua divinità»[299].

San Tommaso


1º. La fede della Chiesa

Insegna il Concilio di Trento: «Sempre vi è stata nella Chiesa di Dio questa fede,  che, cioè, subito dopo la consacrazione, sotto l’specie del pane e del vino vi è il vero Corpo  di nostro Signore e il suo vero Sangue, insieme con la sua anima e divinità: il Corpo è sotto  la specie del pane e il Sangue sotto la specie del vino, e l’anima sotto l’una e l’altra specie;  ma in forza di quella naturale unione e concomitanza, per cui le parti del Cristo Signore,  che ormai è risorto dai morti e non muore più, sono unite tra loro. Inoltre la divinità è  presente per quella sua mirabile unione ipostatica col corpo e con l’anima. È quindi  verissimo che sotto una sola specie è contenuto tanto, quanto sotto entrambe. Cristo, infatti,  è tutto e integro sotto la specie del pane e sotto qualsiasi parte di questa specie, e tutto  anche sotto la specie del vino e sotto ogni sua parte»[300]. 

In forza del sacramento, delle parole o della doppia conversione (transustanziazione),  sotto la specie del pane c’è solo il Corpo del Signore e, separato, sotto la specie del vino  solo il Sangue del Signore. 

Ciò avviene per se[301], directe[302].


Di per se e direttamente nell’Eucaristia non ci sono: 

1.     Né il Sangue sotto la specie di pane; 

2.     Né il Corpo sotto la specie di vino; 

3.     Né l’anima di Cristo;

4.     Né la divinità; 

5.     Né la quantità dimensiva propria del Corpo o del Sangue, cioè le dimensioni e  gli accidenti che accompagnano la quantità come il peso, il volume, ecc.;

6.     Né le qualità del Corpo e del Sangue di Cristo, come sono la forma, la figura, il 

colore, ecc.;

7.     Né le qualità passibili che gli permettono di subire alterazioni;

8.     Né gli accidenti azione e passione. Il Corpo nel quale termina per se la  transustanzione del pane non è soggetto di passioni che gli vengano da un agente  estrinseco: non può essere visto, né toccato, ne triturato, né patire, né essere  ucciso;

9.     Quindi, non si trovano direttamente e per se i diversi stati che seguono alla  natura visibile del Signore, cioè lo stato passibile, esangue, inanimato e mortale,  neppure lo stato immortale e glorioso. Ma si parla di stato di vittima: Cristo è una  vera vittima e si trova in uno stato di vittima. Questo avviene tuttavia non perché  sia sotto la azione di un agente che gli stia causando una passione, un dolore o la  morte, bensì per un altro motivo: per la duplice consacrazione che pone separate  la sostanza del Sangue dalla sostanza del Corpo. 


2º. La differenza tra «ex vi sacramenti» e «ex vi concomitantiae» è fondamentale

Occorre avere in grande considerazione ciò che diremo, perché ci troviamo davanti al problema centrale dell’Eucaristia come sacrificio. 

 

Lo esprimeremo in cinque argomenti equivalenti:

1. Per se >< Per accidens. San Tommaso insegnò: «Il modo di essere di qualsiasi  cosa è determinato da ciò che le appartiene per se, e non da ciò che le appartiene per  accidens: come un corpo è presente nell’occhio in quanto è bianco e non in quanto è dolce,  sebbene il medesimo corpo possa essere bianco e dolce. E così la dolcezza è nell’occhio  secondo il modo della bianchezza, e non secondo il modo della dolcezza. Ora, dato che in  forza del sacramento è presente nell’Eucaristia la sostanza del Corpo di Cristo, mentre le  sue dimensioni vi si trovano per concomitanza e quasi per accidens, tali dimensioni sono  presenti in questo sacramento non nel modo loro proprio [della quantità] [...], ma secondo  il modo della sostanza...»[303].

È chiaro dunque che il modo di essere di una cosa si stabilisce da ciò che la riguarda essenzialmente, non da quanto avviene come per accidens. Se vediamo ad es. una caramella  bianca, la vediamo perché è bianca, non perché è dolce, anche se la caramella bianca è  dolce. Giacché pure la dolcezza è nella vista alla maniera tipica del biancore, non a quella  della dolcezza. Analogamente, in forza del sacramento sotto la specie del vino c’è solo la  sostanza del Sangue separata dal Corpo del Signore, con il suo valore sacrificale, e ciò  riguarda l’Eucaristia essenzialmente. C’è anche il suo Corpo, ma ciò avviene solo come per  accidens, poiché avviene per concomitanza; e nelle nostre Messe, cioè realizzate dopo la  resurrezione del Signore, vi è il Corpo glorioso, ma non al modo proprio del Corpo glorioso,  bensì al modo proprio del sacrificio sacramentale. 

2. Directe >< non fit per se. Tutto quanto avviene per concomitanza, adesso  nell’Eucaristia, è unito indisso-lubilmente al Corpo e al Sangue del Signore, però in relazione  a quanto vi è per virtù del sacramento gli avviene come per accidens[304], cioè, al modo  come gli accidenti sono nella sostanza, realizzati non direttamente, ma indirettamente, in  modo che «la virtù delle parole sacramentali ha il compito di produrre e rendere presente  nel sacramento il Corpo [e il Sangue]… siano quelli che siano gli accidenti che esistano in  esso realmente»[305]. Dom Vonier dice che quest’ultima frase è un colpo di genio!  Letteralmente «un vero lampo di genio»[306]. 

3. L’aspetto glorioso non distrugge la realtà sacrificale. Ciò che è per accidens non  entra nella divisione del genere[307], quindi analogamente ciò che avviene nel sacramento come per accidens, a motivo della concomitanza, non si deve considerare come se fosse un  altro genere diverso da quanto accade nel sacramento «per se» e «directe», tramite la  conversione sacramentale, per la quale si realizza essenzialmente e direttamente il sacrificio  sacramentale del Nuovo Testamento.

4. Ciò che è sostanziale non dipende tanto di ciò che è accidentale, quanto questo  di quello. Come è noto, ciò che è accidentale dipende dalla sostanza – da ciò che è  essenziale – più di quanto la sostanza dipenda dall’accidente[308], per cui analogamente  dobbiamo pensare che nell’Eucaristia ciò che vi è come per accidens dipende da quanto vi è essenzialmente più di quanto ciò che vi è essenzialmente dipenda da ciò che vi è come per  accidens. Le due cose avvengono allo stesso istante, ma ciò che è per concomitanza accade  soltanto se c’è il Corpo e Sangue del Signore. Lo stato glorioso di Cristo pertanto non  impedisce in alcun modo che si offra in stato di Vittima. L’Eucaristia è, dunque, direttamente ed essenzialmente, sacrificio.

Quando diciamo quasi per accidens vogliamo indicare un modo di essere di una cosa  in un’altra, al modo come gli accidenti sono nella sostanza, l’accompagnano, le sono  concomitanti, quasi per accidens. Ma non si parla di accidente metafisico perché tutto ciò  che si trova sotto la specie del pane dopo la consacrazione, concomitante al Corpo di Cristo, quasi per accidens, metafisicamente parlando può essere un accidente (come la quantità  dimensiva) o una parte sostanziale (come il Sangue) o una sostanza incompleta (come  l’anima) o una sostanza completa (come la Divinità). Ma tutte queste realtà sono quasi per  accidens nel Corpo dopo la consacrazione.

5. Ogni cosa è ciò che ha di principale, il resto aderisce a ciò. Chiarisce San  Tommaso: «Bisogna notare che ogni cosa è in modo massimo ciò che in essa è principale,  tutte le altre cose invece, aderiscono a ciò che è principale, e in certo qual modo sono  assunte da essa, in quanto ciò che è principale si serve delle altre cose secondo la sua  disposizione. Questa affermazione si può riscontrare sia nella società civile, nella quale i  principi sono quasi tutta la città, ed essi si servono degli altri d’accordo alla loro  disposizione, come se fossero membri che a loro aderiscono; sia pure in una unione naturale.  Infatti, sebbene l’uomo consta naturalmente d’anima e corpo, tuttavia l’anima è più  principale, alla quale il corpo aderisce, eppure l’anima si serve di esso per le operazioni  convenienti. Così pure nell’unione fra Dio e la natura umana non è la divinità attirata verso  l’umanità, piuttosto al contrario, la natura umana è assunta da Dio, non nel senso che essa  diventi Dio, bensì in quanto aderisce a Dio, e così l’anima e il corpo, in certo qual modo  sono assunte dallo stesso Dio, al modo come le parti del corpo sono assunte dall’anima,  come se fossero membra della stessa anima»[309]. In modo analogo possiamo applicare  questa dottrina all’Eucaristia, nella quale ciò che è principale è il sacrificio, il resto si aderisce  ad esso, e ciò che è principale si serve del resto secondo la propria disposizione. 

3º. Lo stato glorioso non è incluso direttamente, per se, nella natura del sacramento 

Come diceva S.S. Pio XII, Gesù sta nell’Eucaristia «con segni esteriori che sono indizi di morte»[310], come il Sangue separato dal suo Corpo. San Pietro Giuliano Eymard  affermava con una bella espressione: «Egli prende dalla morte ciò che può, cioè prende la  condizione di morte e così lo vediamo come Agnello immolato per noi»[311]. Perciò S.  Tommaso insegna: L’Eucaristia «…è propriamente il sacramento del Corpo di Cristo,  concepito senza corruzione, più che il sacramento della sua divinità...»[312], e rimanda i  suoi lettori più avanti, dove parla del modo della presenza, a motivo della concomitanza,  dell’anima e della divinità nell’Eucaristia[313].

Lo stato glorioso non s’include per se nella natura del sacramento, come neanche glia  altri stati del Corpo di Cristo; «essi non entrano direttamente nella natura del sacramento  come tale, il sacramento li trascende; il sacramento è ugualmente vero, ugualmente  potente, ugualmente diretto…»[314] in qualunque stato Cristo si trovi. Si è fatto già notare  che nei nostri tempi quasi tutta la letteratura eucaristica e buona parte del culto e della  devozione al Ssmo. Sacramento si fondano più sugli elementi concomitanti che su quelli  sacramentali di essa, così che spesso si offusca la realtà sacrificale dell’Eucaristia[315].

Negare la differenza tra ciò che nell’Eucaristia è ex vi sacramenti e ciò che è ex vi  concomitantiae, pur non essendo di fede, sarebbe erroneo e temerario, non solo per  l’autorità del Concilio di Trento, che per chiarire maggiormente il mistero usa queste frasi,  ma anche perché la differenza di cui parliamo deriva chiaramente dai principi della  fede[316].

4º. L’unione ipostatica fa parte della concomitanza

Certi teologi sono arrivati a dire che il pronome possessivo mio, nella formula della  consacrazione sia del pane che del vino, significherebbe l’unione ipostatica e, quindi, la  divinità si troverebbe nell’Eucaristia in forza del sacramento. Ma non è così, perché le  parole «Questo è il mio Corpo» significano solo «il Corpo di Cristo in quanto uomo e,  perciò, in quanto corpo umano, perché né la sussistenza né l’unione ipostatica sono della  sua essenza e nemmeno sono le sue parti integranti; e il Corpo di Cristo Signore fu ucciso e  offerto in quanto umano, benché veramente unito alla divinità. Quindi la divinità viene  significata in esse [nelle parole della formula] solo in via secondaria e  consequenziale»[317], concomitantemente, «non avendo mai la divinità lasciato il Corpo  che assunse»[318].

Affermava S. Tommaso: «Con il pronome “mio”, che implica l’indicazione della prima  persona, cioè di quella che parla, è sufficientemente espressa la persona di Cristo, nella quale  si proferiscono le parole, come si è detto»[319].

5º. Mai si ha il Corpo senza il Sangue, né viceversa

Il caso di concomitanza che di solito provoca più difficoltà è questo: «Attualmente né  il Corpo è mai senza il Sangue, né il Sangue senza il Corpo nel sacrificio eucaristico. Per  molta buona gente questa verità dogmatica ha fatto dimenticare la nozione fondamentale del  sacrificio eucaristico. Sembra che esse abbiano l’impressione che, per l’inseparabilità del  Corpo e del Sangue, l’Eucaristia non sia un’immolazione abbastanza energica a meno che si  cerchino altrove le caratteristiche di un vero sacrificio [...]. Non offriamo a Dio nel sacrificio eucaristico le due cose che Egli ama di più in questo mondo: il Corpo e il Sangue del Figlio  suo? Che questo Corpo e questo Sangue siano circondati di ogni sorta di gloria, che siano  anche collegati l’un l’altro non diminuisce certamente la perfezione del dono, né la sua  precisa natura. Non vi sarebbe sacrificio se il dono fosse qualcosa di meno del Corpo e del  Sangue; ma perché la presenza di maggiori glorie nel Corpo e nel Sangue impedirebbe il  sacrificio? Purché noi ci avviciniamo a Dio presentandoGli la Carne e il Sangue della  vittima per mezzo del nostro ministero sacramentale noi compiamo un atto sacerdotale  esplicitamente qualificato. Che Dio si degni di fare dei nostri doni qualcosa di più ricco di  quel che potrebbe fare il nostro solo ministero, non può creare confusione. In queste regioni  sublimi della vita divina le realtà sono inseparabili: si accompagnano le une con le altre,  senza distruggere reciprocamente la loro realtà individuale»[320]. 

Fin qui l’incomparabile sfogo di un cuore appassionatamente sacerdotale che dà un  argomento ad hominem, al suo livello, di molto valore. Noi tuttavia pensiamo che la risposta  scientifica alla difficoltà deve essere, ripetiamo, questa: il modo di essere di una cosa si  stabilisce da ciò che la riguarda essenzialmente, non per quanto avviene come per accidente.  Se vediamo una caramella bianca, la vediamo perché è bianca, non perché è dolce, per quanto  la caramella bianca sia dolce. Poiché anche la dolcezza sta nella vista al modo proprio della  bianchezza, non al modo della dolcezza. Analogamente, a motivo del sacramento c’è solo la  sostanza del Sangue separata dal Corpo del Signore con il suo valore sacrificale, e questo è  adeguato all’Eucaristia essenzialmente. C’è pure il suo Corpo, con il suo Sangue per  concomitanza, e il Sangue con il Corpo, per concomitanza, ma questo avviene come per  accidens, perché avviene per concomitanza. L’uno e l’altro si avranno per concomitanza non  al modo proprio di ciascuno, ma al modo proprio dell’altra realtà sacramentale, cioè il Sangue  sotto la specie di pane e il Corpo sotto la specie di vino, e ciò accade non di per sé, ma come  per accidens.

Sembra che San Tommaso lo intenda così. Due volte almeno esprime la differenza  esistente tra i diversi modi di essere nel sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo, modi  di essere che dipendono dalla virtù del sacramento (ex vi sacramenti) o dalla reale  concomitanza (ex naturali concomitantia). 

1º. Presentandosi la difficoltà di capire che quanto già è stato fatto non può farsi di  nuovo: «Quello che già è stato fatto, non può farsi ormai. Ora, il Corpo di Cristo è già  presente in questo sacramento per la consacrazione del pane. Non può dunque  incominciare ad esserci una seconda volta per la consacrazione del vino. Quindi sotto le  specie del vino non sarà contenuto il Corpo di Cristo, e di conseguenza non sarà in esso  contenuto tutto il Cristo. Perciò in ognuna delle due specie non è contenuto Cristo nella sua  integrità»[321]. Al che risponde: «Il Corpo di Cristo, come si è detto, non è nelle specie del  vino in forza del sacramento [ex vi sacramenti], ma solo per concomitanza. Quindi con la  consacrazione del vino si renderà presente il Corpo di Cristo non direttamente [per se], ma  per concomitanza»[322].

2º. Quando presenta la difficoltà che vi sarebbe il Corpo senza il Sangue, prima della  consacrazione del vino: «Come per la consacrazione del pane comincia ad essere presente il Corpo di Cristo sotto questo sacramento, così per la consacrazione del vino incomincia a  essere presente il Sangue. Se dunque le parole della consacrazione del pane avessero il  loro effetto prima della consacrazione del vino, succederebbe che in questo sacramento il  Corpo di Cristo comincerebbe ad essere presente privo di Sangue. Il che non è  ammissibile»[323]. Argomento che scioglie in questo modo: «Dalla ragione esposta nella  difficoltà sembra che siano stati ingannati quanti tennero la suddetta opinione. Si deve  dunque ricordare che, dopo la consacrazione del pane sono presenti nella specie del pane  sia il Corpo di Cristo in forza del sacramento [ex vi sacramenti], sia il suo Sangue in forza  della reale concomitanza; invece dopo la consacrazione del vino, nelle specie del vino il  Sangue di Cristo è presente in forza del sacramento, e il Corpo di Cristo per naturale  concomitanza, cosicché tutto il Cristo è presente sotto l’una e sotto l’altra specie, come si è  detto sopra»[324].

Come dice Dom Vonier: «sopratutto l’aspetto sacrificale dell’Eucaristia può  essere salvaguardato solo se si dà l’importanza che conviene a tutto ciò che si trova  nell’Eucaristia “in virtù del sacramento” (vi sacramenti). Dal punto di vista dogmatico  inoltre questa distinzione è di importanza vitale se si vuol difendere la fede antica [...].  Ricordiamoci, dal momento che Cristo è tutto in questo sacramento (benché non in virtù  del sacramento), vi è per modum sacramenti, cioè non secondo il modo di essere naturale,  ma secondo un modo d’essere interamente nuovo, il modo di essere  sacramentale…»[325]  . E San Tommaso arriva a dire che c’è un  doppio modo di essere  del Corpo di Cristo: un modo di essere secundum se e un altro nel sacramento, uno  secondo il suo essere naturale, e un altro secondo la sua presenza sacramentale: «Ora, per  Cristo non è la stessa cosa essere in sé ed essere nel sacramento: poiché dicendo che egli  è nel sacramento, si indica una sua relazione con questo sacramento»[326]  . 

Indirettamente questo è anche confermato da un’altro argomento di San Tommaso: 

«quanto più grande è ciò contro cui si pecca, tanto più grave è il peccato. E poiché la divinità  di Cristo è superiore alla sua umanità e l’umanità stessa è superiore ai sacramenti della sua  umanità, i peccati più gravi sono quelli che si commettono direttamente contro la divinità,  come i peccati d’incredulità e di bestemmia. Al secondo posto per gravità vengono i peccati  che si commettono contro l’umanità di Cristo, tanto che si legge: “chi pecca contro il Figlio  dell’uomo, otterrà il perdono; ma chi pecca contro lo Spirito Santo, non otterrà il perdono né  in questo secolo né in quello futuro” [Mt 12,32]. Al terzo posto ci sono i peccati che si  commettono contro i sacramenti, i quali si ricollegano all’umanità di Cristo. Dopo di essi  vengono gli altri peccati contro le semplici creature»[327]. Distinguendo tra umanità di Cristo  e suo sacramento.

Tornando alla differenza tra sacramento e concomitanza, il Card. Billot affermava:  «tale affermazione, contenuta nel Concilio di Trento, è di grande importanza per la  comprensione di tutto il mistero [eucaristico]. – Perché da una parte, affermando che vi  sacramenti sotto la specie del pane c’è solo il Corpo del Signore, e sotto la specie del vino  solo il Sangue, si gettano le fondamenta della dottrina del sacrificio della Messa»[328].

Ho la netta impressione che la dimenticanza di questo chiarimento del mistero dell’Eucaristia, che getta le fondamenta della dottrina della Messa come sacrificio, ha  indotto molti sacerdoti a cadere, benché involontariamente, nelle corruttele e devianze  liturgiche che desolano tanti cristiani e cristiane che, con serenità e semplicità, continuano a  combattere la buona battaglia della fede di sempre riguardo al Santo Sacrificio.

Accantonare questa dottrina è rendersi volontariamente incapace di stare sempre pronti  a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi (1Pt 3,15), cadendo in  un fideismo eucaristico perché si è incapace di dare ragione del perché la Messa è sacrificio. 

6º. L’insegnamento di Pio XII

Vogliamo ora ricordare quanto insegna Pio XII nella sua enciclica Mediator Dei sulla natura del Sacrificio Eucaristico:

a) Non è una semplice commemorazione

«L’augusto sacrificio dell’altare non è, dunque, una pura e semplice  commemorazione della passione e morte di Gesù Cristo, ma è un vero e proprio sacrificio,  nel quale, immolandosi incruentamente, il sommo sacerdote fa ciò che fece una volta sulla  croce offrendo al Padre tutto se stesso, vittima graditissima. “Una... e identica è la vittima;  quello stesso che adesso si offre per il ministero dei sacerdoti, si offrì allora sulla croce; è  diverso soltanto il modo di fare l’offerta” [Trento, sess. 22, c.2]».

b) Confronto con quello della Croce

1) Stesso sacerdote

«87. Identico, quindi, è il sacerdote, Gesù Cristo, la cui Sacra Persona è rappresentata  dal suo ministro. Questi, per la consacrazione sacerdotale ricevuta, assomiglia al Sommo  Sacerdote e ha il potere di agire in virtù e nella persona di Cristo stesso [cfr. S. Th., III, 22,  4]; perciò, con la sua azione sacerdotale, in certo modo “presta a Cristo la sua lingua, gli  offre la sua mano” [S. Giovanni Crisostomo]».

2) Stessa Vittima

«88. Parimenti identica è la Vittima, cioè il Divin Redentore, secondo la sua umana natura e nella realtà del suo Corpo e del suo Sangue».

3) Diverso il modo

«89. Differente, però, è il modo col quale Cristo è offerto. Sulla Croce, difatti, egli  offrì a Dio tutto se stesso e le sue sofferenze e l’immolazione della Vittima fu compiuta per  mezzo di una morte cruenta liberamente subìta; sull’Altare invece, a causa dello stato  glorioso della sua umana natura, “la morte non ha più dominio su di Lui” [Rom 6,9] e  quindi non è possibile l’effusione del Sangue; ma la divina Sapienza ha trovato il modo  mirabile di rendere manifesto il sacrificio del Nostro Redentore con segni esteriori, che sono simboli di morte. Per mezzo della transustanziazione del pane nel Corpo e del vino  nel Sangue di Cristo, come si ha realmente presente il suo Corpo, così si ha il suo  Sangue; le specie eucaristiche poi, sotto le quali è presente, simboleggiano la cruenta  separazione del Corpo e del Sangue.

Così il ricordo della sua morte reale sul Calvario si ripete in ogni sacrificio  dell’altare, perché per mezzo di simboli distinti si significa e dimostra che Gesù Cristo è in  stato di vittima»[329].

Con la duplice consacrazione sempre, inesorabilmente, si significa e si mostra la morte  di Cristo in croce, realizzandosi la mactatio [o immolazione] mystica[330]. Perciò la Messa è di per se sacrificio e, ancor più, lo sarà sempre, nonostante quelli che affermano il contrario.

Per ciò anche Paolo VI insegnava: «I segni sacrosanti dell’Eucaristia […] 

contengono Lui, Cristo, vivo e vero […], ma qui rappresentato nell’atto del suo  sacrificio…»[331].

7º. La gloria della Vittima non annulla il sacrificio

Il fatto che attualmente, a motivo della concomitanza, vi sia il Cristo risorto non  distrugge il fatto che sacramentalmente sia contenuto il Christus passus. Non c’è né può  esservi contraddizione, perché si trovano sotto aspetti diversi[332]. E che nell’Eucaristia sia  contenuto il Christus passus non altera il fatto che a motivo della concomitanza vi sia il  Cristo risorto, glorioso e immortale. Penso che, analogamente a come le sante piaghe del  Corpo glorioso del Signore lungi dallo sminuire la realtà della Resurrezione la esaltano in  quanto ci parlano della grande opera del Sacrificio della Croce, così pure il fatto che il  Sangue separato dal Corpo nell’Eucaristia rappresenti la Passione del Signore non sminuisce  in nulla la dignità del Signore resuscitato, ma anzi la esalta, e viceversa. 

Perciò nella Messa diciamo: «Annunciamo la tua morte, proclamiamo la tua Resurrezione».

La Resurrezione non annulla il sacrificio che fu la sua anteprima, né il sacrificio annulla la Resurrezione, che ne fu il culmine. 

In modo assolutamente splendido l’Eucaristia comprende i due grandi misteri della  Pasqua del Signore, come le due facce della stessa moneta. È il Mistero Pasquale della  morte e resurrezione di Gesù Cristo!

L’ignoranza di questa distinzione fondamentale dei due modi della presenza del  Signore nell’Eucaristia, ex vi sacramenti – ex vi concomitantiae, sanzionata dal Concilio di  Trento[333], induce molti a oscurare, distorcere, dimenticare o negare la realtà sacrificale  dell’Eucaristia, a non riuscire a rendere compatibile il fatto che realmente vi è «il Corpo  dato o offerto» (Lc 22,19; cfr. 1Cor 11,24) e «il Sangue versato» (Mt 26,28; Mc 14,24; Lc 22,20) dal punto di vista del sacramento, col fatto che dal punto di vista della concomitanza  vi è il Signore glorioso e immortale.  Diceva Dom Vonier: «...è grazie a questa distinzione  fra la virtù del sacramento e la concomitanza che può essere mantenuto l’aspetto  sacrificale dell’Eucaristia»[334].   

Questo è emerso nell’ultimo Sinodo dei Vescovi sull’Eucaristia. L’Instrumentum  laboris ci fa sapere che, in risposta ai Lineamenta, da più parti si è chiesto un chiarimento  dell’Eucaristia come sacrificio: «Si riscontra nelle risposte e nelle osservazioni ai Lineamenta una diffusa esigenza di approfondire la natura sacrificale dell’Eucaristia e si  chiede di esporre tale verità della nostra fede con sempre maggiore chiarezza, seguendo il  recente Magistero della Chiesa»[335].

Non dimentichiamo mai che l’Eucaristia «...è propriamente il sacramento del Corpo  di Cristo... più che il sacramento della sua divinità...»[336]. Lo è stato per duemila anni e lo  sarà fino alla fine del mondo. 

San Paolo, che lo aveva ricevuto dal Signore, continua a insegnarci: «Ogni volta che  mangiate questo pane e bevete questo calice annunciate la morte del Signore, fino alla sua  venuta» (1Cor 11,26).

Padre Carlos Miguel Buela, 

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