«Pàrtiti dal male». Grande cosa ci comanda Dio, figliuola mia! e dico tanto grande, che la nostra bassezza non è possibile ci possa aggiungere. Ma agli uomini ciechi del mondo, i quali non considerano in che precipizio cadono quando peccano mortalmente, pare una piccola cosa a cadere nel male. Onde parmi un poco necessario, che prima diciamo qualche cosa che è male, e che pericolo è esser caduto nel male; dal quale Iddio, per lo profeta, ci dice che noi ce ne dobbiamo partire, se desideriamo di far bene.
Che cosa è dunque essere caduto nel male, dal quale dice che ci partiamo da esso, se non che, innanzi che noi cadessimo in esso male, eravamo vivi a Dio, e per esso cadimento in male, siamo a Lui morti di morte eterna? Che cosa è essere caduto nel male, se non che, essendo noi prima figliuoli di Dio, e fratelli degli angeli, siamo, per esso male, diventati suoi inimici, e figliuoli di Satanasso, e cibo de' diavoli? E che vogliamo noi dire che sia altro essere caduto nel male, dal quale ci comanda per la bocca del profeta che ci dobbiamo partire, se non essere caduti di cielo, per in sino nel profondo del pozzo dello inferno? E con tutto ch'Egli sappia questo, anche ci comanda e dice: «Pàrtiti dal male». O dolcissimo Dio, o pietoso Padre nostro! or com'è possibile che questo possiamo fare, se Tu prima non ci porgi la tua santissima mano?
A precipitarci noi nel pozzo dello inferno, è ben in nostra podestà, per lo libero arbitrio che tu ci hai dato; ma poi che noi istessi ci siamo uccisi e sepolti per lo peccato, non è in nostra podestà a poterci levare. A ucciderci eternalmente, e anco materialmente, possiamo ben fare; ma poi che siamo morti, non ci possiamo levare, se prima Tu, che se' nostra vita, non ci chiami, e porgi la mano. Or non ti ricorda, dolcissimo Figliuolo di Dio, che Tu, che se' sapienza del Padre, dicesti nel vangeli o di san Giovanni: «Nessuno viene al Padre mio, se io prima non lo tiro?».
E se così è, che è così, come ci di' Tu che noi ci partiamo dal male, quasi come se questo potessimo fare per noi medesimi, senza il tuo aiuto? Or non ti ricorda, dolcissimo Padre, che Lazzaro tuo amico, da poi che fu morto, non poté uscire dal monumento, insino a tanto che Tu il chiamasti, dicendo: «Lazzaro, vieni fuora?». Or come credi Tu dunque, che noi, che siamo tuoi nemici, ne possiamo uscire, se Tu prima non ci chiami, Vita nostra? E se Marta e Maria, le quali t'erano tanto dilette, non lo poterono resuscitare con quanti pianti potessero fare, se prima Tu non gliel'avessi comandato, e detto a' discepoli che lo sciogliessero; e Tu di' a noi, che siamo morti nel peccato, che ci partiamo dal male, e che usciamo dalla sepoltura dello inferno?
Bisognaci dunque, se vuoi che ci partiamo dal male, e che usciamo dalla sepoltura dello inferno, che prima Tu ci chiami e resusciti per grazia; a ciò che, per la voce tua, ci destiamo, e conosciamo, per la tua grazia, lo nostro pericolo, lo quale innanzi che ci chiamassi non conoscevamo: a ciò che possiamo andare ai tuoi pastori, i quali sono nel luogo degli apostoli, a farci assolvere de' legami, che il diavolo ci avea legati, per li nostri peccati.
A volerci dunque partire dal male, non è possibile poter1o fare per nostra virtù, se prima Dio, che cel comanda, non ci chiami per grazia spiritualmente, come fece a Lazzaro corporalmente. Onde, chi si crede potere uscire dal peccato per sua virtù, è in grande errore, ed è fortemente ingannato di sé medesimo; ma mandandoci Iddio la grazia sua, ogni cosa possiamo fare. Iddio dunque per sua grazia, senza nullo nostro merito, è quello che ci cava dal peccato, ispirandoci di ciò dentro, e aprendoci, colla grazia sua, gli occhi della nostra coscienza, a conoscere il vero dello stato nostro; lo quale, innanzi che c'ispirasse, non conoscevamo, ma ci pareva tutto il contrario: cioè, che il veleno del peccato ci pareva che ci dovesse dare refrigerio e vita.
Bisognaci dunque, figliuola mia, a volere uscire e partirci dal peccato, come ci ammaestra il profeta, che Dio sia quello che prima c'illumini a conoscere il peccato nostro; e che ci porga la sua santissima mano, dandoci grazia e fortezza a ciò potere fare.
Ma vuole questo nostro benigno Padre, che quando Egli ci comincia a chiamare, dandoci le buone ispirazioni, che noi gli rispondiamo: e questo possiamo molto ben fare; però che quando Egli ci dà le buone ispirazioni, ci dà anco la grazia a poterle mettere a esecuzione, se vogliamo. E quando vede che l'accettiamo con opera, sempre ci cresce la buona volontà: però che, come dice Santo Augustino, più desidera Iddio di far ci bene, che noi di riceverlo; e più s'affretta di farci misericordia, che non facciamo noi ad uscire delle miseria.
Ma considerate ben di cuore, figliuola mia, da che procede che 'l Signore ci tocca e chiama che torniamo a Lui, e dacci grazia e fortezza che ci partiamo dal peccato. Che bene ha Egli veduto in noi, o che premio gli abbiamo noi dato, che ci ha fatto tanto dono? Che virtù ha Egli veduto in noi, più che in quelli che ha lasciati nel peccato? Nulla, certo, ma tutto il contrario; però che sempre lo abbiamo offeso: ma Egli non ha voluto guardare alla nostra offensione, e per sua benignità ci ha renduto bene per male.
Onde gli è tanto in odio il peccato mortale, che dice Santo Augustino, che quando ne commettiamo alcuno, l'offendiamo più che quelli che lo crocifissero; però che coloro che 'l crocifissero gli dienno pena nel corpo, ed Ei volentieri la portò, per torre via la nostra colpa; e con tutto che tante ingiurie e offese abbia ricevuto da noi, non ha guardato alla nostra offensione a chiamarci. Per grande dunque amore che ci porta, e per sua carità, ci ha Iddio illuminati a conoscere lo stato nostro, e hacci dato fortezza a sapere pigliare il partito d'accettare esse buone ispirazioni. E che questo sia vero, bene lo mostrò in figura corporalmente in Lazzaro: il quale, per grande amore che portava a lui e alle sue sorelle, sì lo resuscitò di quattro dì già morto; che significa il peccatore pubblico e indurato.
Per grande amore dunque che Dio ci porta, sì c'ispira e confortaci dentro a doverci partire dal male; e non procede da noi, né non lo fa per nostro merito. Onde dice Isaia profeta, che il merito nostro è come panno menstruato, il quale è la più abbominevole cosa che possa essere. Onde, per levarci questa fatta opinione, disse Gesù Cristo agli Apostoli: «Quando avete fatto ciò che v'è comandato, dite: Servi inutili siamo».
Or, consideriamo ciò che noi meritiamo, a ogni dì offendere il nostro Creatore, poi che gli Apostoli erano reputati servi inutili, osservando tutti i comandamenti! E Santo Augustino dice: «nel dì del giudicio, quando Iddio renderà a ciascuno secondo le opere sue, ch'Egli coronerà le sue grazie, e non le nostre opere». Ciò vuol dire, che di bene che facciamo, procede dalla sua virtù e grazia; ché, da noi medesimi, non siamo recipienti ad aver pure una buona ispirazione. Onde dice San Paolo: «Che cosa hai tu, o uomo, che non l'abbi ricevuta da Dio? E se l'hai recevuta, perché te ne glorii, come se non l'avessi ricevuta?».
Da Dio dunque dobbiamo reputare ogni bene, e ogni buona ispirazione che abbiamo, e che ce le dia solamente per sua grazia, senza nullo nostro merito; per grande carità e amore ch'Egli ci porta, dando a noi esempio a dover fare così verso di Lui, per doverci partire dal male. Ciò è, come Egli, per amore che ci porta, ci chiama; così noi, per amore che dobbiamo portare a Lui, ci dobbiamo ingegnare di rispondere alle sue buone ispirazioni, partendoci dal male.
SAN ANTONINO
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