Il paradosso di un amore più grande
Ciò che importa soprattutto rilevare è come la nuova sorte offerta agli uomini dopo il peccato sia incomparabilmente migliore di quella che essi possedevano prima. Adamo ed Eva godevano di privilegi singolari, in particolare dell'amicizia divina. Ma se il Padre li considerava come suoi figli, non aveva ancora concesso loro quella filiazione divina che diverrà effettiva con la partecipazione alla vita del suo unico Figlio. Ed ecco che, dopo la caduta, il Padre li introduce in quest'ordine nuovo; promettendo la vittoria del Salvatore sul serpente egli promette tutti i beni che ne deriveranno: la riconciliazione con Dio, la grazia che comporta un'intima unione alla vita d'amore della santa Trinità, la dimora delle Persone divine nell'anima, la qualità di figli grazie all'assimilazione a Cristo, l'accesso a una beatitudine celeste totale nel possesso di Dio. La sorte della prima coppia si trova dunque elevata d'un tratto a un livello assai più alto e arricchita da una maggior dovizia di beni spirituali. Ora, questa elevazione a un destino migliore dopo il male commesso ha del paradosso. La Chiesa giubila per quest'avvenimento paradossale e canta nell'Exsultet del sabato santo: « Felice colpa, che ci ha valso un così grande Redentore! ». E san Paolo si é compiaciuto di sottolineare la superiorità schiacciante della liberalità divina sull'insieme dei danni causati dal peccato: « La dove abbondò il peccato, la grazia sovrabbondò ». Nel passo dell'epistola ai Romani in cui confronta gli effetti del peccato di Adamo e quelli della redenzione, egli dice e ripete che la grazia fu « molto più » forte del peccato. Donando Cristo a coloro che avevano commesso la colpa, il Padre ha riservato loro un avvenire molto più bello.
E' evidente che questo miglioramento non é dovuto al peccato stesso, e san Paolo respinge con orrore la conclusione di coloro che d'ora innanzi pretenderebbero di vivere nel peccato per provocare grazie più abbondanti. Il peccato é e rimane fonte di morte e di distruzione, un male essenziale per l'uomo, un male che di per sé produce soltanto effetti cattivi. Una volontà peccaminosa non potrà mai attendersi risultati positivi dal male che si appresta a compiere: essa genererà soltanto degradazione. Lasciato a se stesso, il peccato tende semplicemente ad aggravarsi e a moltiplicarsi, estendendo sempre più i danni che esso provoca. Perciò la colpa di Adamo ed Eva non poteva produrre che frutti mortali; e se fu « felice » per noi, lo fu in ragione dell'intervento divino. Il Padre ha capovolto la situazione, rispondendo con un amore più grande all'offesa che l'uomo e la donna gli avevano arrecato. Ferito da quell'offesa, il cuore del Padre non si è chiuso; si è invece dilatato senza misura, offrendo agli uomini il più grande dei suoi doni: il proprio Figlio.
Non ci si stupisce mai abbastanza di una simile replica, poiché essa prende una direzione del tutto opposta a quella che ci si attenderebbe. I colpevoli traggono dal male commesso un beneficio sbalorditivo, e il Padre manifesta una maggiore bontà verso coloro che gli si sono ribellati. Non vi è in tutto questo qualche cosa di irragionevole? Non sarebbe più conforme alla logica e all'equità che Dio amasse meno coloro che gli si oppongono e stabilisse per loro, di conseguenza, una sorte inferiore? Infatti, si potrebbe definire irragionevole l'atteggiamento del Padre, ma nel senso che esso supera il nostro modo di pensare. Quando ci domandiamo perché il Padre celeste ha amato di più Adamo ed Eva dopo la caduta e perché ha concesso loro il suo beneficio più prezioso e regale nel momento in cui avrebbero meritato soltanto riprovazione e castigo, non ci resta che rispondere che quel gesto non trova giustificazione se non nell’amore divino stesso. Per una sorta di follia d'amore, generata dal suo cuore paterno, il Padre ha preferito tributare un amore totale proprio a coloro che si erano resi colpevoli di un peccato gravissimo. Mistero insondabile del cuore del Padre!
Perciò, quando vediamo Adamo ed Eva cacciati dall'Eden, non dobbiamo dimenticare che precedentemente -hanno ricevuto un dono che supera infinitamente in grandezza ciò che hanno perduto con la loro colpa. Essi lasciano il giardino meraviglioso, ma portano con sé un dono più meraviglioso ancora: la certezza del loro destino di figli di Dio, che già comincia ad attuarsi per un riflesso dei meriti futuri del Salvatore. Essi incominciano infatti a beneficiare della grazia che otterrà loro Cristo.
Ciò che avevano cercato di strappare con la frode: « essere simili a Dio », ecco che lo ricevono gratuitamente dalla liberalità del Padre; volevano competere 'con l'Essere onnipotente ed ecco che sono chiamati a condividere lo splendore della vita divina. Non é dunque l'ira divina che li schiaccia mentre escono dal giardino di delizie, ma la bontà del Padre che li copre dei suoi doni più grandi, e non li riveste solo la tunica di pelle, ma anche l'immagine della Vergine e di Cristo, di cui sono da quel momento i portatori. Se ne vanno non sfigurati, ma trasfigurati: e lo devono esclusivamente a un incomprensibile atto di più grande amore da parte del Padre.
Alla luce di questo immenso arricchimento e di questa radicale trasformazione dobbiamo considerare le conseguenze del peccato che essi devono subire; poiché il loro significato muta per il fatto che sopravvengono dopo che Adamo ed Eva sono stati stabiliti di massima nell'ordine della redenzione. Il lavoro fatto con fatica, la sofferenza e la morte non possono più essere considerati una semplice punizione del peccato, bensì delle condizioni di partecipazione alla salvezza assicurata dal Redentore, in quanto assumono il significato di un associarsi al lavoro, alla sofferenza e alla morte di Cristo: grazie a ciò Adamo ed Eva saranno misteriosamente uniti alla riparazione che il Salvatore offrirà un giorno al Padre. Lontani dall'implicare essenzialmente una decadenza, il dolore e la morte si presentano dunque come un mezzo di riabilitazione, anzi come un privilegio di condividere la sorte di Cristo e di collaborare alla sua grande opera di redenzione. La maledizione si é trasformata in benedizione. Le sanzioni applicate da Dio, invece di essere condanne pronunciate da un Giudice, sono, in realtà, nuovi doni dell'amore paterno.
Se queste sanzioni sono estese a tutta l'umanità, che sarà ormai gravata del peccato originale e della concupiscenza, é dovuto al fatto che la promessa del Redentore fu fatta sin dall'inizio a profitto dell'umanità intera. Tutti gli uomini hanno ricevuto, dopo la colpa iniziale, il beneficio della salvezza futura e l'appello alla vita divina in Cristo; e soltanto nell'ambito dell'ordine della redenzione essi debbono subire le conseguenze del peccato originale, conseguenze che permetteranno loro di unirsi più intimamente a Cristo e alla sua opera. Quando siamo tentati di considerare ingiusta la trasmissione ai discendenti dei deplorevoli effetti della colpa dei progenitori, é bene porci di- fronte alla vera prospettiva, nella quale é dato vedere che questa trasmissione avviene in una trasmissione più generosa di grazia e di salvezza. Infatti, in quello che riceviamo non c'è che il dono del Padre; e questo dono si concentra in Cristo.
Un'obiezione, tuttavia, può persistere. contro quest'amore paterno che appare in una luce così viva e si manifesta con una generosità così meravigliosa: perché, pur donando Cristo a Adamo ed Eva e ai loro discendenti, il Padre non ha abolito le conseguenze derivanti dal peccato? Avrebbe potuto, infatti, sopprimere la sofferenza e la morte, dal momento che voleva per gli uomini una sorte migliore. Perché nonostante la sua benevolenza ha mantenuto la minaccia profferita per il caso di disobbedienza e ha voluto che avesse effetto? Il sogno di un'umanità esente da sofferenze e da morte ci ha sempre affascinati, e non possiamo non chiedere ogni tanto perché quel sogno non sia stato realizzato dal Padre e perché noi dobbiamo vivere sotto l'ineluttabilità del dolore e della morte.
Ma avrebbe potuto il Padre emettere un perdono tale da sopprimere queste conseguenze del peccato?
Avrebbe potuto annullare semplicemente ogni sanzione? Egli avrebbe in questo caso mancato a un principio della sua azione, che è la fedeltà nell'amore. Grazie a questa fedeltà egli rispetta i doni concessi all'uomo, e quindi anche la libertà di decidere della propria condotta e di scegliere la propria sorte, in modo che la responsabilità dell'uomo sia effettiva e che ad essa non si sostituisca la responsabilità divina. Chiudere semplicemente gli occhi sull'errore commesso e sopprimere le conseguenze di quella libera azione, avrebbe significato considerare un gioco senza importanza quell'atto così grave, far poco conto di una decisione presa dalla creatura, spogliare di ogni efficacia la volontà umana. Il Padre, invece, ha stimato che quella libertà dovesse essere rispettata, dato che il dono della libertà era irrevocabile.
A ben riflettere, si scorge in quest'atteggiamento divino una profonda umiltà nell'amore: il Padre è fedele nella sua bontà al punto di accettare tutta la realtà e tutte le conseguenze del peccato commesso contro di lui. Non è, il suo, l'orgoglio di un sovrano onnipotente che, esasperato dall'offesa, vorrebbe vendicarsi schiacciando il colpevole, ma piuttosto l'umiltà di un Padre che continua a riconoscere il potere concesso in modo definitivo al Figlio, anche quando questo potere si drizza contro di lui. Il Padre non fa che prendere atto della responsabilità ch'egli ha concesso all'uomo, e per amore paterno la rispetta in tutta la sua ampiezza. Se dovessimo esprimere il contrasto tra il suo atteggiamento e quello del peccatore con una formula lapidaria, vorremmo dire che è Adamo colui che si ribella e Dio colui che si sottomette. Il Padre si assoggetta alla decisione presa dalla prima coppia e alle conseguenze che ne deriveranno.
In questo modo Dio rispetta la grandezza ch'egli ha attribuito alla sua creatura, la facoltà di cui l'ha dotata. Le molteplici profonde conseguenze del peccato originale confermeranno quella grandezza, cioè l'immensa portata della responsabilità umana. Il Padre non usurperà la libertà dei figli né la confischerà, anche quando é male usata; ma a quel rispetto, che attribuisce al peccato la sua autentica gravità, si aggiunge una generosità che vuole inserire tutte le conseguenze del peccato in un regime più favorevole all'uomo. Il Padre ha saputo conciliare ciò che sembrava inconciliabile: accettare le conseguenze del male compiuto e fare in modo che la situazione del peccatore divenga migliore. La fedeltà assoluta del suo amore gli faceva accettare ed accogliere lo stato di fatto posto dal primo peccato e, insieme, uno slancio di bontà misericordiosa gli faceva inaugurare una vita superiore per l'uomo. Il Padre non riprendeva le conseguenze del peccato che per integrarle in un nuovo espediente, in una nuova scoperta, del suo amore: l'ordine della redenzione.
Si vede così come tutti gli aspetti della sua reazione all'offesa dell'uomo siano comandati dalla sua bontà paterna. Ma non si misurerà la grandezza di questa bontà se non si comprenderà ciò che vi é in essa di eroico. Non basta dire che in risposta all'oltraggio subito il Padre ha manifestato un più grande amore elevando l'uomo a una superiore dignità; né che egli ha rispettato gli effetti della colpa liberamente commessa superandoli con una più larga profusione di benefici. Questa generosità egli l'ha pagata ad un prezzo altissimo, l'ha pagata col suo cuore paterno ed é questo l'aspetto più stupefacente della decisione divina. Il Padre ha procurato al peccatore il perdono e la restaurazione sacrificando il proprio Figlio; su questo Figlio, cioè, e di conseguenza sul suo cuore paterno, egli ha fatto ricadere le conseguenze del peccato. La reazione del Padre di fronte alla colpa dei nostri progenitori potrebbe essere espressa con queste parole: « Il peccato dell'uomo produrrà le sue conseguenze, ma io le prendo a mio carico. Le sofferenze e la morte saranno per il mio unico Figlio ».
Ecco dunque ciò che implicava nel cuore del Padre la promessa del Redentore: per salvare l'uomo egli sacrificava suo Figlio. Se Adamo poteva lasciare il paradiso terrestre in possesso di una magnifica speranza e portatore dell'immagine di Cristo; se da quel momento egli era fornito di una grazia più alta, se era destinato alla filiazione divina e alla felicità celeste, ciò avveniva perché il Padre aveva offerto per lui la vita del Figlio incarnato. La sofferenza e la morte acquistavano per i nostri genitori, sotto l'apparenza del castigo, una dignità nuova e il significato di un dono, perché Dio le aveva fatte proprie, mentre, secondo la logica dei castighi, avrebbero dovuto essere esclusivamente nostre. Il Padre pagava, dunque, il prezzo del nostro peccato e, col dono sublime del Figlio, iniziava la riabilitazione dei peccatori. Per comprendere appieno la nobiltà del gesto del Padre non basta considerare Adamo trasfigurato dopo la caduta, ma dobbiamo vederlo trasfigurato perché Cristo un giorno sarà sfigurato sulla croce. Il Padre decideva di mandare suo Figlio a morte perché il volto di Adamo ed Eva e dei loro discendenti divenisse un volto radioso promesso alla più alta felicità.
Viste in questa prospettiva, tutte le obiezioni suggerite dall'atteggiamento del Padre rispetto al primo peccato cadono da sole. In luogo di una reazione d'ira o semplicemente di giustizia non troviamo che una bontà più grande, una bontà spinta al massimo; non ci resta che ammirare l'inaudita generosità del Padre, il suo amore che supera ogni limite. La miglior conclusione che si può dare all'episodio della caduta dei nostri progenitori é il grido di riconoscenza che risuona nell'Exultet del sabato santo: « O incomprensibile bontà del tuo amore! Per riscattare il tuo schiavo, hai sacrificato il Figlio tuo! ».
Di Jean Galot s. j.
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