A proposito della preghiera
È forse opportuno ricordare innanzitutto cosa intendiamo per preghiera. Esistono infatti molte forme di preghiera: preghiera vocale o silenziosa, preghiera esteriore o interiore, preghiera liturgica o personale. Con il movimento carismatico sono anche emerse nuove forme di preghiera come, per esempio, la preghiera in lingue. Non è mia intenzione operare una scelta o esprimere preferenze. Ci sono infatti molti cammini che conducono alla preghiera: l'importante è che tutti sfocino nell'evento che si impadronisce dell'uomo intero quando la preghiera profonda sgorga in lui. Ogni forma di preghiera deve pervenire a questa preghiera profonda che è l'unica autentica. La preghiera suppone che qualcosa accada in colui che prega: è sempre un evento nel senso forte del termine, è l'evento della preghiera. Cosa succede esattamente nella preghiera? Dobbiamo rinunciare momentaneamente a date una definizione della preghiera e cercate innanzitutto di descriverne l'evento esterno, con l'aiuto di alcune immagini familiari. Immagini e simboli possono essere più suggestivi di una definizione. Per prima cosa, l'evento della preghiera ci prende alla sprovvista, ci coglie impreparati. Quello che ci sorprende non è qualcosa di estraneo, di profano, bensì qualcosa di familiare: ci sentiamo sorpresi da ciò che era già da tempo in noi, che portavamo senza saperlo e che all'improvviso appare in superficie e si impossessa interamente di noi. Eccoci presi da lui: sulle prime, ci appare un estraneo, ma ben presto ci accorgiamo che è proprio cosa nostra, che gli apparteniamo, che è addirittura un altro aspetto - un aspetto ancora sconosciuto - del nostro io. Non un aspetto oscuro, ma un aspetto luminoso; non un lato addormentato, bensì il lato più dinamico, una fonte di forza viva e vitale. E’ il nostro lato più profondo e migliore, il nostro fondo di eternità che si annuncia e si manifesta. Una seconda immagine che permette di cogliere meglio questa preghiera-evento potrebbe essere quella di una presa di coscienza. Pregare significa diventare coscienti di qualcosa rimasto a lungo inconscio in noi. Per ogni uomo c'è un lungo periodo in cui la preghiera rimane inconscia: era già presente ma egli non lo sapeva. Pregare significa rendere cosciente in noi questa preghiera inconscia. Diventare coscienti di quanto era inconscio in noi costituirà sempre una tappa importante nella nostra vita, come in ogni terapia. Una terapia infatti punta proprio a far emergere ciò che era inconscio in noi: dapprima siamo confrontati con questo, poi dobbiamo accettarlo e incorporarlo per integrarlo in modo equilibrato nella nostra vita quotidiana, nelle nostre azioni e nei nostri gesti, nei pensieri come negli affetti. La preghiera è il lato divino in noi che diventa cosciente e deve lentamente integrarsi nella nostra vita. Un'altra immagine che potrebbe descrivere la preghiera-evento è quella della sorgente, una sorgente che è stata a lungo ostruita da una pietra: la sorgente era là da sempre, ma era provvisoriamente sigillata, chiusa. Non appena si toglie la pietra, l'acqua sgorga spontaneamente. Si tratta d'altronde di una fonte di acqua viva, secondo l'immagine usata da Gesù nell'evangelo per descrivere la vita dello Spirito (cf. Gv 4,10). L'acqua viva sgorga senza sforzo e possiede una rara potenza: trasporta, spinge, scava. Quando una diga si rompe o ha luogo un'inondazione, si deve temere il peggio. Una diga che si rompe: la preghiera-evento ha anche qualcosa a che vedere con una rottura improvvisa, con qualcosa che cede o si apre con violenza. E’ qualcosa di violento e di tenerissimo insieme: più che di rottura bisognerebbe parlare di sboccio. Tuttavia l'evento ha anche a che fare con la violenza dell'uragano di Pentecoste. Nel suo olandese antico, a volte così lirico, Ruusbroec paragona la preghiera a un oerwoet, l'impeto ardente delle origini simile a un uragano irresistibile. Non possiamo far altro che abbandonarci a una simile tempesta, cedere di fronte a lei e lasciare che segua il suo corso. Infine la preghiera è paragonabile a una nascita, alla venuta al mondo di una nuova vita. La nascita è accompagnata dai dolori del parto, ma anche dalla gioia profonda perché un nuovo essere sta per venire al mondo. La preghiera-evento è sempre come una nuova nascita: una vita profonda, che portavamo in noi da tempo, che germinava e cresceva in noi, si rivela all'improvviso e a volte in modo sconvolgente. In che cosa consiste questa vita finora sconosciuta che si manifesta improvvisa? Chi è quest'uomo nuovo che viene al mondo, questo nostro lato inconscio che diventa cosciente? Per tutti i mistici c'è una sola risposta a questa domanda. Pregare significa percepire la nostra realtà più profonda, quel punto preciso del nostro essere in cui - inconsciamente, insensibilmente, senza mai averlo visto - noi giungiamo a Dio, scortiamo in Dio, tocchiamo Dio; o meglio, quel punto in cui, a ogni istante, mentre non cessa di crearci, Dio ci tocca. Gli scrittori bizantini chiamano a volte questo punto il topos tou theou, il luogo in cui Dio è presente in noi. L'unica differenza tra i mistici è il nome che danno a questo logo: nous, mens, cor, il fondo dell'essere, l'intimo, il nucleo, l'abisso dell'anima, la vetta dell'anima, la sommità dello spirito. Mi vengono in mente spontanei i celebri versi di un poeta fiammingo, Guido Gezelle: Sono lontano da te, mentre tu, dolce sorgente di tutto ciò che è vita, o di tutto ciò che fa vivere, tu sei per me il prossimo a me più prossimo, mentre tu mandi, o sole amato, nel mio intimo più profondo il tuo fuoco divorante che tutto penetra. Dio ci tocca mentre ci crea, come l'ha raffigurato Michelangelo nella sua celebre Creazione: il dito del Padre sfiora appena il dito di Adamo, ma per non lasciarlo mai più. Possiamo allora chiederci: sarà possibile captare nella coscienza umana questo contatto creatore tra Dio e l'uomo? Ma Dio, ricreandoci dopo la caduta, ci tocca in modo ancor più profondo nel Figlio che dimora in noi e con noi, e nello Spirito che è stato effuso nei nostri cuori e il cui mormorio o gemito nel nostro intimo precede ogni nostra preghiera, ben prima che iniziamo a pregare coscientemente. La forza dei testi di Paolo a questo riguardo non lascia il minimo dubbio (cf. Rm 8,26). Sorge di nuovo la stessa domanda: questa preghiera concessa in anticipo nel nostro profondo, è percepibile? Può diventare cosciente? Se sì, come?
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