MICHELA
La mia lotta per scappare dall'Inferno
Cercavo l'amore e ho incontrato Gesù
Alla fine di quell'anno trascorso nella comunità di preghiera tornai finalmente a Nuovi Orizzonti, in occasione di un ritiro in cui venne anche il vescovo. Ragionai con lui e con Chiara e la decisione fu quella di prendere una casetta in affitto a due passi dalla sede di Nuovi Orizzonti, ricominciando a lavorare come cuoca in una trattoria del luogo. Ma la cosa non funzionò, perché faticavo troppo e guadagnavo poco. A marzo 2000 mollai quel lavoro e chiesi di poter tornare a tempo pieno in comunità. Ne parlai con Chiara e lei, dopo circa sei mesi, mi destinò al nostro centro di pronta accoglienza «Arcobaleno dell'amore», che si trova nei pressi della basilica di San Giovanni a Roma. Fu un'esperienza molto bella, perché si creò un rapporto di grande collaborazione con quella che all'epoca era la responsabile. In questa struttura arrivavano i ragazzi raccolti dalla strada per iniziare il percorso della disintossicazione. Ogni giovedì sera, dopo la preghiera comunitaria, e anche in altri giorni, dei giovani di Nuovi Orizzonti vanno in giro nei luoghi più malfamati di Roma, dalla stazione Termini, al Laurentino 38, a Torbellamonaca, e Scurii dei ragazzi incontrati in strada decidono di venire al centro «Arcobaleno» per iniziare un programma in comunità. Sono numerosi infatti i giovani che hanno deciso di seguire le orme di Chiara - nei primi tempi della sua avventura nei bassifondi cittadini - e che continuano con periodicità a recarsi di notte nelle zone più calde di diverse città. Nel resto della settimana giungevano ragazzi in difficoltà che avevamo conosciuto in incontri parrocchiali, oppure che ci erano stati mandati da sacerdoti. Alla fine avevamo sempre la fila dinanzi all'ingresso. La nostra capacità di accoglienza era formalmente per sei-otto persone al massimo, ma non ne avevamo mai meno di dieci. A volte mettevamo i materassi anche nel refettorio, perché erano proprio in tanti che venivano disperati a bussare alla nostra porta.
Prendevamo di tutto: tossicodipendenti, ragazze incinte, alcolisti, baby-prostitute, ragazzi di vita. Persone di ogni tipo, insomma, che avevano incontrato l'Inferno e si ritrovavano con la morte dell'anima. Gente che non aveva più speranze, fisicamente in condizioni non buone, ma che conservava ancora un barlume di lucidità per decidere di lasciarsi aiutare. Lì avveniva il primo miracolo: i ragazzi cominciavano a comprendere che c'era un modo diverso di vivere, provavano a lasciarsi il passato alle spalle, si sentivano accolti e si affidavano ai responsabili del centro e alla forza della preghiera. E ogni volta sperimentavamo l'incredibile forza dell'Amore che Gesù è venuto a insegnarci: qualcosa cambiava davvero nella loro vita. Molti degli attuali consacrati e responsabili di Nuovi Orizzonti arrivano da lì.
Agli inizi del 2003 venne aperto il centro di accoglienza femminile a Marino, nei Castelli Romani, e io fui inviata in questa nuova comunità. A «Casa Gioia» arrivavano ragazze madri, giovani che avevano abortito, adolescenti i cui figli erano stati dati in adozione. Si trattava di un mondo che conoscevo bene dall'altra parte, un mondo che facevo tanta fatica ad accettare, perché rivedevo anche il mio passato nelle storie che sentivo raccontare ogni giorno.
Venivano consegnati nelle nostre mani dolori enormi, pur essendo abituata a vicende di estrema durezza, ascoltare la testimonianza di una ragazza che ti parla del suo aborto - quello che ha vissuto quando ha preso la decisione, il momento in cui è andata in ospedale, l'intervento e quello che ne è seguito - è un dolore che ti spacca il cuore, se partecipi davvero a quello che lei ti dice.
Ma ciò da cui venni più toccata a livello personale fu quando una ragazza mi raccontò di avere partorito un figlio in carcere e di avere poi firmato, con molta leggerezza, l'autorizzazione all'adozione. Diceva fra le lacrime: «Sai, oggi avrebbe otto anni, ma io non l'ho più visto. Chissà che volto ha, chissà come si trova con la sua famiglia adottiva. Come mi sarebbe piaciuto essere andata al suo primo giorno di scuola...». Erano tutte frasi che mi si scolpivano nel cuore e facevano riaprire ferite che speravo di aver definitivamente rimarginato.
Ho cominciato a entrare in crisi, perché non avevo mai risolto la relazione con la mia madre naturale. C'era una domanda che mi perseguitava da tanti anni: «Dio mi ha voluta, ma tramite chi?». Ero sempre stata combattuta fra il sentimento di affetto che comunque si prova nei confronti di chi ti ha generato e quell'odio che invece derivava dall'idea che, se mia mamma non mi avesse abbandonata in orfanotrofio, quasi certamente non avrei vissuto tutti i drammi che mi erano capitati.
Una sera sono andata in cappella e mi sono messa a pregare con molta intensità. A un certo punto ho sentito nel cuore una forte consapevolezza: se io oggi esisto è perché un giorno ormai lontano mia madre ha accettato questo dono d'amore e ha detto il suo sì alla mia vita, nonostante le difficoltà che certamente le si erano presentate dinanzi. Perciò, ho concluso, non ho alcun diritto di giudicare quello che lei ha fatto.
È stata una riflessione che ha scompaginato tutto il quadro che mi ero disegnata, perché fino a quel momento consideravo mia madre una grande disgraziata, che mi aveva abbandonata ad affrontare da sola un mondo malvagio. Ora invece mi ritrovavo a pensare che mia madre mi aveva fatto il dono più bello: la vita.
Quella sua accettazione aveva dato avvio al progetto di Dio nei miei confronti, che è poi divenuto un filo d'oro: oggi infatti la mia vita serve ad altre vite per salvarsi.
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