domenica 2 aprile 2023

NICODEMO, IL SERPENTE E LA CROCE

 


VITA DI CRISTO

Gesù non avendo ricevuto una buona accoglienza nel tempio che era la casa del Padre Suo, non volle il successo per forza: il tempio terreno sarebbe svanito, e Lui, il vero Tempio nel quale Dio ha la Sua dimora, sarebbe risorto nella gloria. Si limitò, per il momento, a provare, con la predicazione e con i miracoli, di essere il Messia. In quei pochi giorni, operò molti più miracoli che non siano stati registrati, e il Vangelo afferma che molta gente, vedendo i miracoli ch'Egli compiva, credete in Lui. Uno dei membri del Sinedrio ammise non solamente che i miracoli erano autentici, ma anche che Dio doveva essere con Colui che operava tali prodigi.  

«Un Fariseo, ch'era uno dei capi dei Giudei, venne di notte a trovare Gesù» (Giov. 3: 1,2)  

Sul piano del mondo, Nicodemo era, sotto tutti gli aspetti, un savio: molto versato nelle Scritture, era un uomo religioso, in quanto apparteneva a una setta, quella dei Farisei, che insisteva sulle minuzie dei riti esteriori. Ma, perlomeno in un primo tempo, Nicodemo non era un uomo coraggioso, giacché per parlare col Nostro Signor Benedetto scelse un'ora in cui il manto delle tenebre lo celava agli occhi degli uomini.  

Nicodemo è il «personaggio notturno» del Vangelo, perché lo incontriamo sempre nell'oscurità. Di notte, secondo una precisa descrizione, avvenne quella prima visita; e di notte, più tardi, fu appunto lui, Nicodemo, nella sua qualità di membro del Sinedrio, a parlare in difesa di Nostro Signore, dicendo che nessun uomo può essere giudicato se prima non sia stato ascoltato; e il Venerdì Santo, nelle tenebre che seguirono la Crocifissione venne Giuseppe di Arimatea:  

«E con lui era Nicodemo, ch'era venuto la prima volta a Gesù di notte, portando circa cento libbre d'una mistura di mirra e d'aloe» (Giov. 19: 39)  

Benché gli impedimenti di ordine sociale fossero tali da poterlo dissuadere dal manifestare un qualunque interessamento per il Nostro Divin Signore, si recò a trovarLo quando Egli era a Gerusalemme per la Pasqua: si recò a fare atto di ossequio a Cristo, e subito conobbe come quel genere di ossequio non fosse sufficiente. Disse a Lui Nicodemo:  

«Maestro, noi sappiamo che sei venuto da parte di Dio, come un dottore, poiché nessuno può fare i miracoli che tu fai, se Dio non è con lui» (Giov. 3: 2)  

Ma, sebbene avesse visto i miracoli, Nicodemo non era ancora disposto a riconoscere la Divinità di Colui che li operava. Era ancora un po' esitante, dato che celava la sua vera personalità sotto l'ufficialità di quel «noi». E una furbizia cui ricorrono qualche volta gli intellettuali per sottrarsi alle responsabilità personali, e con la quale sottintendono che se un mutamento è necessario deve esserlo per la società in generale piuttosto che per i loro singoli cuori. Dopo, nel corso di quella conversazione notturna, Nostro Signore rimproverò a Nicodemo d'ignorare, quantunque fosse un «maestro», parecchie profezie. In tal modo, Nostro Signore palesò d'essere anch'Egli un Maestro; ma, prima che l'alba giungesse a metter fine alla loro lunga discussione, Nostro Signore proclamò di non essere soltanto un Maestro, bensì anzitutto e soprattutto un Redentore, e affermò che non la verità umana della mente, ma una rinascita dell'anima, acquisita attraverso la Sua morte, era la condizione essenziale per essere tutt'uno con Lui. Nicodemo aveva cominciato col chiamarlo «dottore»: al termine del loro colloquio, Nostro Signore aveva proclamato la Propria essenza di Salvatore.  

La Croce si riverberò su ogni episodio della Sua vita, ma non splendette mai così fulgida come in quella notte su un esperto dell'Antico Testamento. Quel Fariseo aveva creduto che Egli fosse soltanto un Maestro o Rabbi, ma alla fine scopri che la guarigione stava in ciò che fino allora era stato sempre considerato una maledizione: ossia in una Crocifissione.  

Il Nostro Signor Benedetto gli rispose esortandolo ad abbandonare lo spirito del mondo:  

«In verità, in verità ti dico che se uno non nasce di nuovo, non può vedere il regno di Dio» (Giov. 3: 3)  

All'inizio della discussione tra Nicodemo e Nostro Signore prevalse il concetto che la vita spirituale differisce dalla vita fisica, o intellettuale che sia. V'è più differenza, disse in sostanza Gesù al Suo interlocutore, tra la vita spirituale e la vita fisica che tra un cristallo e una cellula vivente. La vita spirituale non scaturisce da una sorgente sotterranea: è bensì un dono che viene dall'alto. Un uomo non riesce a diminuire il proprio egoismo e ad accrescere il proprio spirito di generosità se non diventa seguace di Cristo: occorre pertanto una seconda nascita generata dall'alto. Ciascuno di noi nasce una prima volta dalla carne, ma Gesù disse che ad una vita spirituale è necessaria una seconda nascita generata dall'alto; e a tal punto questa è necessaria che, senza di essa, un uomo «non può» entrare nel Regno di Dio. E non disse: «Non entrerà», in quanto l'impossibilità è assoluta. Come non si può vivere una vita fisica se ad essa non si è nati, così non si può vivere una vita divina se non si è nati da Dio. In virtù della prima nascita, siamo figli dei nostri genitori; in virtù della seconda, figli di Dio. Importante non è tanto il progresso quanto la rigenerazione; non tanto il perfezionamento del nostro stato attuale quanto il mutamento assoluto della nostra condizione.  

Sopraffatto dalla nobiltà del concetto propostogli, Nicodemo chiese maggiori lumi. Perché, se riusciva a comprendere come un uomo sia quel che è, non riusciva a comprendere come un uomo possa diventare quel che non è. Nicodemo capiva come si possa migliorare un vecchio, ma non capiva come si possa creare un uomo interamente nuovo. Di qui la domanda:  

«Come mai un uomo può nascere quando è già vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel seno di sua madre e nascere di nuovo?» (Giov. 3: 4)  Nicodemo non negava la teoria di una seconda nascita. Egli era un filologo e, come tale, dubitava della giustezza del verbo «nascere». A quella obiezione, il Nostro Signor Benedetto rispose:  

«In verità, in verità ti dico che se uno non rinasce dall'acqua e dallo Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio. Ciò che è generato dalla carne è carne, ciò che nasce dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se io ti ho detto: Bisogna che voi nasciate di nuovo» (Giov. 3: 5-7)  

L'argomentazione di Nicodemo era insufficiente, in quanto si riferiva solo al dominio della carne. Certo che Nicodemo non sarebbe potuto entrare una seconda volta nel grembo della madre per nascere di nuovo; ma ciò che è impossibile alla carne è possibile allo spirito. Nicodemo aveva sperato delucidazioni e ammaestramenti, e invece era stato esortato alla rigenerazione e alla nascita. Il Regno di Dio veniva raffigurato come una nuova creazione. Quando un uomo esce dal grembo della propria madre è soltanto una creatura di Dio, come, in un ordine inferiore, una tavola è una creazione del falegname. Nell'ordine della natura, nessun uomo può dare a Dio il nome di «Padre»; per poter far ciò, bisogna che l'uomo diventi quello che non è. In virtù di un dono divino, deve partecipare della natura di Dio, allo stesso modo che ora partecipa della natura dei propri genitori. L'uomo produce quello che non gli rassomiglia, ma genera quello che gli rassomiglia. Un pittore dipinge un quadro, ma questo non rassomiglia al pittore sul piano della natura; una madre procrea un figlio, e il figlio le rassomiglia sul piano della natura. Nostro Signore, in questa sede, propone il concetto che al di sopra del livello della produzione e creazione sta il livello della procreazione, della rigenerazione, della rinascita, in conseguenza di che Dio diventa il Padre nostro.  

Evidentemente, lo spirito meramente intellettualistico con cui Nicodemo considerava la religione era stato scrollato, perché il Nostro Signor Benedetto gli disse: «Non meravigliarti». Nicodemo si domandava come potesse prodursi l'effetto della rigenerazione, e Nostro Signore spiegò che il motivo per cui Nicodemo non capiva in che cosa consistesse la rinascita stava nel fatto ch’egli ignorava l'opera dello Spirito Santo, e dopo un po' gli fece intendere che, come la Sua morte avrebbe riconciliato l'umanità con il Padre, così l'umanità si sarebbe rigenerata per virtù dello Spirito Santo. La rinascita di cui parlava Nostro Signore non viene avvertita dai sensi e si rivela unicamente attraverso gli effetti che produce sull'anima.  

Nostro Signore adoperò un'immagine per illustrare codesto mistero: «Tu non puoi capire la direzione del vento, ma obbedisci alle sue leggi e ti fai trascinare pertanto dalla sua forza: così è con lo Spirito. Obbedisci alle leggi del vento, ed esso gonfierà le tue vele e ti trasporterà: obbedisci alle leggi dello spirito, e conoscerai la rinascita. Non trascurare la parentela con codeste leggi sol perché non sei in grado di scandagliarne il mistero con la mente».  

«Il vento soffia dove vuole e tu odi la voce, ma non sai donde venga né dove vada: così capita a ogni cosa nata dallo Spirito» (Giov. 3: 8)  

Libero è lo Spirito di Dio, e opera sempre liberamente: non v'è calcolo umano che possa prevederne i movimenti. Nessuno può dire quando la grazia stia per venire, né in che modo agirà sull'anima; e neppure se verrà in conseguenza del disgusto del peccato, o dell'anelito a una bontà superiore. La voce dello Spirito è nell'anima stessa; e la pace ch'Esso reca, la luce ch'Esso spande, la forza ch'Esso conferisce sono inequivocabili, ma sempre nell'ambito dell'anima. Ché l'occhio umano non può discernere direttamente la rigenerazione dell'uomo.  

Sebbene fosse un sottile erudito, Nicodemo rimase perplesso dinanzi alla sublimità della dottrina espostagli da Colui ch'egli aveva chiamato Dottore. In quanto Fariseo, non s'era interessato della santità personale, ma della gloria di un regno terreno. E ora invece domandò:  

«Com'è possibile che questo avvenga?» (Giov. 3: 9)  

Nicodemo comprese che la vita divina nell'uomo non è solo questione di essere e che implica anche il problema del divenire attraverso un potere che non risiede nell'uomo ma unicamente in Dio.  

Nostro Signore spiegò che nessun essere meramente umano avrebbe mai potuto intendere pienamente il di Lui insegnamento. L'ignoranza del Fariseo veniva pertanto a essere, in certo modo, giustificata. Dopo tutto, nessun uomo era mai salito al cielo per apprendere i segreti celesti ed era poi tornato sulla terra per divulgarli. L'unico che poteva conoscerli era Colui ch'era disceso dal cielo, Colui che essendo Dio si era fatto uomo ed ora parlava a Nicodemo. Per la prima volta Nostro Signore parlò di Se stesso come del Figlio dell'Uomo, e, contemporaneamente, fece intendere d'essere qualcosa di più: d'essere anche il Divin Figliuolo unigenito del Padre Celeste. Asserì difatti e la Propria Natura Divina e la Propria natura umana.  

«Nessuno è salito al Cielo all'infuori di Colui che è disceso dal cielo, il Figliuol dell'Uomo che è in cielo» (Giov. 3: 13)  

Non fu l'unica volta che Nostro Signore parlò della Sua riascesa al cielo o del fatto d'esser disceso dal cielo. A uno degli Apostoli disse:  

«In verità, in verità vi dico che vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figliuol dell'Uomo» (Giov. 1: 51)  

«Sono disceso dal cielo per fare non la mia volontà, ma la volontà di chi mi ha inviato» (Giov. 6: 38)  

«Chi viene dall'alto sta sopra a tutti; chi viene dalla terra è della terra e parla di terra. Chi viene dal cielo sta sopra a tutti» (Giov. 3: 31)  

«E [i Giudei] dicevano: Non è forse costui Gesù, il figlio di Giuseppe, di cui conosciamo il padre e la madre? Come mai può dire: 'Io sono disceso dal cielo?'» (Giov. 6: 42)  

«E [che cosa penserete] quando vedrete il Figliuol dell'Uomo ritornare colà dov'era prima?» (Giov. 6: 63)  

Nostro Signore non parlò mai della Sua Gloria Celeste o Risorta senza far cenno della ignominia della Croce. Qualche volta, come adesso con Nicodemo, parlò principalmente della gloria, la cui condizione però doveva essere la Crocifissione. Nostro Signore viveva e una vita celeste e una vita terrena; una vita celeste in quanto Figlio di Dio, una vita terrena in quanto Figlio dell'Uomo. Pur continuando a essere tutt'uno col Padre Suo nei Cieli, si sacrificava per gli uomini sulla terra. E a Nicodemo dichiarò che la condizione da cui dipendeva la salvezza degli uomini sarebbe stata la Sua Propria Passione e morte, e ciò chiari alludendo alla più nota prefigurazione della Croce che si trovi nell'Antico Testamento:  

«Come Mosè ha innalzato il serpente nel deserto, così è necessario che il Figliuol dell'Uomo sia innalzato, affinché chiunque creda in lui non perisca, ma abbia la vita eterna» (Giov. 3: 14, 15)  

Il Libro dei Numeri racconta che quando il popolo prese a parlar contro Dio un linguaggio ribelle, venne punito col flagello di serpenti infocati, così che molti perirono. Poi, pentitosi il popolo, Iddio disse a Mosè di fare un serpente di bronzo e di erigerlo come segnale; e tutti quelli ch’erano stati morsi dal serpente, guardando tale segnale risanarono. Adesso, il Nostro Signor Benedetto dichiarava ch'Egli sarebbe stato innalzato, com'era stato innalzato il serpente; e, come il serpente di bronzo aveva l'apparenza di un serpente ed era tuttavia senza veleno, così Egli, quando sarebbe stato innalzato sulle sbarre della Croce, avrebbe avuto l'apparenza di un peccatore e sarebbe stato tuttavia senza peccato; e come tutti coloro che per aver guardato il serpente di bronzo erano guariti dal morso del serpente, così tutti coloro che avessero guardato a Lui con amore e con fede sarebbero guariti dal morso del serpente del male.  

Non bastava che il Figlio di Dio scendesse dai cieli e apparisse come il Figlio dell'Uomo, ché in tal caso Egli sarebbe stato soltanto un gran dottore e un grande esempio, ma non un Redentore. Più importante, per Lui, era la realizzazione del fine della Sua venuta: redimere gli uomini dal peccato pur essendo incarnato in un uomo. I maestri trasformano gli uomini con l'esempio della propria vita: il Nostro Signor Benedetto avrebbe trasformato gli uomini con l'esempio della Sua morte. Le esortazioni dei savi e le riforme sociali non sarebbero stati sufficienti a guarire il veleno dell'odio, della sensualità e dell'invidia che è nel cuore degli uomini. Il prezzo del peccato è la morte, e, pertanto, con la morte appunto si sarebbe dovuto espiare il peccato. Come nei sacrifici antichi il fuoco consumava simbolicamente, insieme con la vittima, il peccato scaricato su di essa, così sulla Croce il peccato del mondo sarebbe stato tolto con le sofferenze di Cristo, perché Egli sarebbe stato eretto come un sacerdote e prostrato come una vittima.  

I più grandi vessilli che siano mai stati spiegati furono il serpente innalzato e il Salvatore innalzato. E, nondimeno, tra loro correva una differenza infinita. Teatro dell'uno fu il deserto, e spettatori furono poche migliaia d'Israeliti; teatro dell'altro fu l'universo, e spettatrice l'umanità intera. Dall'uno consegui la guarigione del corpo, che di lì a poco la morte avrebbe di nuovo annullata; dallo altro scaturì la guarigione dell'anima, e sarebbe durata in eterno. Eppure, l'uno fu la prefigurazione dell'altro.  

Ma, sebbene fosse venuto per morire, Egli mise più volte in evidenza come lo facesse volontariamente, e non già perché fosse troppo debole per difendersi dai nemici. Unica cagione della Sua morte sarebbe stato l'amore, e perciò Egli disse a Nicodemo:  

«Infatti Dio ha talmente amato il mondo da dare il suo Figliuolo Unigenito, affinché chiunque creda in lui non perisca, ma abbia la vita eterna» (Giov. 3: 16)  

Quella notte, recatosi un vecchio a trovare il Divin Maestro che aveva meravigliato il mondo con i Suoi miracoli, Nostro Signore narrò la storia della Sua vita. Una vita che non cominciava in Betlemme, ma che esisteva da sempre nella Divinità. Colui che è il Figlio di Dio divenne il Figlio dell'Uomo perché il Padre Gli aveva affidato la missione di redimere gli uomini attraverso l'amore.  

Se c'è una cosa che un buon maestro desidera, è una vita lunga, così da poter divulgare il proprio insegnamento e acquistar sapienza ed esperienza. Per un grande maestro, la morte è sempre una tragedia.  

Quando a Socrate venne data la cicuta, il di lui messaggio fu troncato per sempre. La morte fu una pietra d'inciampo per Budda e per il suo insegnamento dall'ottuplice via. Con l'ultimo respiro di Lao- Tse calò il sipario sulla di lui dottrina del tao, ossia dell'«astenersi dall'azione», in quanto avversa all'aggressività dell'autodeterminazione. Socrate aveva insegnato che il peccato era dovuto all'ignoranza e che, quindi, la sapienza avrebbe reso il mondo buono e perfetto. Per i savi dell'Oriente, era oggetto di preoccupazione la possibilità che l'uomo venisse travolto da uno dei vortici del destino: di qui la raccomandazione di Budda nel senso che gli uomini imparassero a reprimere i propri desideri, per poter così trovare la pace. Quando, a ottant'anni, Budda venne a morte, non indicò se stesso, ma la legge da lui data. La morte di Confucio pose termine al di lui insegnamento circa il modo di perfezionare uno Stato mediante reciproci rapporti di benevolenza tra principe e suddito, tra padre e figlio, tra fratelli, tra marito e moglie, tra amico e amico.  

Nella Sua conversazione con Nicodemo, il Nostro Signore Benedetto asserì d'essere la Luce del Mondo. Ma il Suo insegnamento è particolarmente meraviglioso inquantoché Egli disse che nessuno avrebbe compreso codesto insegnamento fin quando Egli fosse stato in vita e che la Sua morte e Risurrezione sarebbero state le condizioni necessarie a tale comprensione. Nessun altro maestro ha mai detto che gli era indispensabile una morte violenta per far chiari i propri insegnamenti. Ed ecco invece un Maestro che così poca importanza dava al Proprio insegnamento da affermare che l'unico modo in Cui Egli avrebbe mai tratto gli uomini a Sé non sarebbe stato la Sua dottrina, non sarebbe stato ciò che diceva, ma sarebbe stato la Sua Crocifissione.  

«Quando avrete innalzato il Figliuol dell'Uomo, allora conoscerete che sono Io» (Giov. 8: 28)  

Non disse neppure che avrebbero compreso il Suo insegnamento, sebbene che avrebbero còlto la Sua Personalità. Solo allora avrebbero capito, dopo averLo messo a morte, ch'Egli aveva predicato la Verità. La Sua morte, quindi, invece che l'ultimo di numerosi fallimenti sarebbe stata un successo glorioso, il culmine della Sua missione sulla terra.  

Di qui, la grande differenza tra le statue e i dipinti che raffigurano Budda e le statue e i dipinti che raffigurano Cristo. Budda è sempre seduto, ha gli occhi chiusi e le mani incrociate sul corpo grasso. Cristo, invece, non è mai seduto: è sempre innalzato e intronizzato. La Sua Persona e la Sua morte sono il cuore e l'anima della Sua lezione. La Croce, con tutto ciò che comporta, sta ancora una volta al centro della Sua vita.  

Venerabile Mons. FULTON J. SHEEN


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