MICHELA
La mia lotta per scappare dall'Inferno
La lettera di Ratzinger
II giorno dopo Chiara chiamò il vescovo per raccontargli l'accaduto e confrontarsi con lui su come aiutarmi e proteggermi. Io intanto, durante quella nottata, avevo avuto la sensazione che degli artigli mi graffiassero il corpo: di fatto, quando sono andata a fare la doccia, ho visto profondi segni rossi su tutto il torace. Mi sono spaventata, perché non sapevo a cosa attribuirli, né potevo pensare di essermeli fatti da sola senza aver avvertito alcun dolore: le unghiate erano belle profonde! Nessuno mi aveva mai parlato di questi fenomeni, e a quel punto ero terrorizzata dall'escalation di situazioni che stavo vivendo.
Mi ricordo che attesi con ansia di parlare con Chiara, perché sentivo che il mio destino era ormai legato alle decisioni che avevano preso il vescovo e lei. Ero praticamente certa che la setta mi stava cercando per uccidermi. L'unica mia possibilità di salvezza era confessarmi e comunicarmi: così almeno avrei potuto salvare almeno l'anima, se non il corpo.
Sapevo anche che, se i miei ex confratelli si fossero resi conto che avevo ricevuto l'eucaristia, non avrebbero più cercato di ammazzarmi, perché a quel punto sarei divenuta una martire e sarei andata dritta in paradiso. Lo avevo capito bene qualche tempo prima, quando fummo convocati all'improvviso in una serata che non era di sabato né precedeva qualche festa significativa. Il Sacerdote si limitò a dirci che sospettava il tradimento da parte di uno dei membri e che questo significava un grande pericolo per tutti. Fu messa in votazione la proposta di ucciderlo: eravamo nove presenti, ma con il cappuccio rosso erano in tre. Soltanto loro potevano votare e la decisione fu unanime: farlo fuori, purché si avesse la certezza che non si era avvicinato ai sacramenti, altrimenti per noi sarebbe stata una sconfitta, un'anima definitivamente sfuggita a Satana.
Un paio di giorni più tardi seppi che in un viale della città era stato trovato un cadavere, con a fianco un uccello morto. Gli inquirenti ipotizzavano la pista satanica, ma poi il caso fu archiviato. Anche in quella circostanza la Dottoressa non mi fece tornare a casa, ma mi ospitò per un paio di giorni da lei. Sotto terapia mi spiegava che era giusto esserci comportati in tal modo, mi forniva una giustificazione che allora mi sembrava ragionevole. Dunque anche per quanto riguardava il mio caso ritenevo logico che al tradimento che stavo compiendo dovesse corrispondere la pena di morte.
In quel 18 gennaio avevo da poco finito di mangiare, quando vidi Chiara salutarmi con un bel sorriso. Siamo andate in cucina e d'improvviso mi sono scagliata a prendere un coltello e ho cercato di colpirla. In quel momento non ero padrona delle mie azioni perché ricordo ben poco di quel mio gesto, so solo che non sono riuscita a colpire Chiara perché lei si è messa subito a pregare e la forza diabolica che era in me è stata costretta a bloccarsi, limitandosi a proferire improperi contro di lei. Gli spiriti erano davvero furibondi e continuavano a ripetere con rabbia: «Tanto non ci scapperà, la ammazzeremo. Abbiamo lavorato a lungo per averla completamente in nostro potere. Non ti permetteremo di strapparcela. Ce la pagherai, ti distruggeremo!». Questo mi è stato raccontato dopo parecchio tempo da chi ha assistito alla scena da film; io di ciò che facevo e dicevo quando queste misteriose presenze si manifestavano attraverso il mio corpo non ricordo quasi niente. Mi rendevo solo conto che era successo in me qualcosa di strano e inspiegabile soprattutto dai dolori che provavo nel corpo: a volte era come se mi avessero bastonato a sangue ed effettivamente chi ha assistito a questi momenti aveva l'impressione che ci fosse qualcuno che mi stesse torturando.
Subito dopo mi sono messa a correre per prendere le chiavi dell'automobile e fuggire, come se i demoni avessero istigato in me una volontà autolesionistica. Mi hanno raccontato che, quando sono riusciti a bloccarmi, io parlavo con la mia voce normale, ma continuavo a dire: «Devo andare via, fatemi entrare in macchina, devo morire».
In sostanza sembrava che fossi in me, ma in realtà ero fuori di testa in quel momento, perché le forze che mi possedevano stavano cercando di condurmi al suicidio. Perdevo continuamente conoscenza e, quando rinvenivo, mi ritrovavo sdraiata a terra, con Chiara che pregava per me e mi rassicurava di «non avere paura di nulla... l'Amore di Dio è più forte, il Signore ti sosterrà e ti darà la forza per vincere questa battaglia». Chiara mi aveva portato nella sua stanza e non lasciava che nessuno dei ragazzi entrasse, voleva evitare che si spaventassero assistendo alle scene decisamente impressionanti dei momenti in cui gli spiriti a cui mi ero consacrata avevano il controllo del mio corpo e della mia voce. In quei momenti avevo una tale forza che neanche in cinque tra i ragazzi più forti riuscivano a tenermi... Soltanto la forza della preghiera riusciva a contrastare la forza inumana che mi possedeva, quindi Chiara preferiva restare sola con me, affiancata in alcuni momenti solo da due responsabili della comunità. In uno dei rari momenti in cui ero lucida, chiesi a Chiara di potermi confessare. Così fu chiamato un sacerdote che ci raggiunse quello stesso pomeriggio. Le tre ore fra la mia decisione di confessarmi e l'arrivo del prete furono terrificanti. Chiara mi ha sempre detto che ebbe davvero l'impressione che questa mia decisione avesse mandato su tutte le furie i miei "ospiti": la potenza degli inferi si era scatenata come non mai. Si trattò di un combattimento all'ultimo sangue, in cui i demoni cercavano di uccidermi lanciandomi per aria e cercando di farmi sbattere da tutte le parti; sembrava inoltre che proseguissero a torturarmi terribilmente perché io continuavo a contorcermi, a lanciare urla e lamenti inumani... Soltanto la forza della preghiera riusciva a fronteggiare la loro azione potente, tanto che Chiara non poteva lasciarmi sola neanche per un istante.
Non fu una confessione facile, sia per i gravissimi peccati che dovevo raccontare, sia per le ostilità messe in atto dalle forze demoniache. Il sacerdote mi disse che una delle azioni che avevo compiuto, il furto e la profanazione di ostie consacrate, poteva essere assolta soltanto dopo un particolare permesso della Congregazione per la Dottrina della Fede. Prese carta e penna e scrisse una relazione sulla mia storia, che il giorno dopo consegnò in Vaticano.
A stretto giro di posta, con una rapidità assolutamente inconsueta, arrivò una lettera firmata dall'allora cardinale Joseph Ratzinger, oggi papa Benedetto XVI, con l'autorizzazione ad accostarmi all'eucaristia, in una cerimonia che racconterò dettagliatamente più avanti (anche perché, in maniera misteriosa, la vicenda andrà ad accavallarsi alla duplice comparsa della suora di madre Teresa). Nella lettera mi veniva prescritto di studiare per un anno il catechismo e di essere seguita da un sacerdote che fosse garante del mio comportamento cristiano. E poi, con mia grande gioia, il testo affermava: «Oggi la Chiesa è in festa perché un figlio è tornato a casa».
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