La amarissima Passione redentrice di Gesù iniziò dal seno di sua Madre, che ne prendeva parte
“Vedi, figlia mia, con che eccesso d’amore amai la creatura. La mia Divinità fu gelosa di affidare alla creatura il compito della Redenzione, facendomi soffrire la Passione. La creatura era impotente a farmi morire tante volte per quante creature erano uscite e dovranno uscire alla luce del creato e per quanti peccati mortali avrebbero avuto la disgrazia di commettere. La Divinità voleva vita per ciascuna vita di creatura, e vita per ciascuna morte che col peccato mortale si dava. Chi poteva essere così potente su di Me, a darmi tante morti, se non la mia Divinità? Chi avrebbe avuto la forza, l’amore, la costanza di vedermi tante volte morire, se non la mia Divinità? La creatura si sarebbe stancata e venuta meno. E non ti credere che questo lavorio della mia Divinità incominciò tardi, ma non appena fu compiuto il mio concepimento, fin nel seno della mia Mamma, che molte volte era a giorno delle mie pene, e restava martirizzata e sentiva la morte insieme con Me. Sicché fin dal seno materno la mia Divinità prese l’impegno di carnefice amoroso, ma perché amoroso più esigente ed inflessibile, tanto che neppure una spina fu risparmiata alla mia gemente Umanità, né un chiodo, ma non come le spine, i chiodi o i flagelli che soffrii nella passione che Mi diedero le creature, che non si moltiplicavano: quanti Me ne mettevano, tanti ne restavano. Invece, quelli della mia Divinità si moltiplicavano ad ogni offesa; sicché tante spine per quanti pensieri cattivi, tanti chiodi per quante opere indegne, tanti colpi per quanti piaceri, tante pene per quanta diversità di offese. Perciò erano mari di pene, spine, chiodi e colpi innumerevoli.
Innanzi alla passione che Mi diede la Divinità, la passione che Mi diedero le creature nell’ultimo dei miei giorni non fu altro che ombra, immagine di ciò che Mi fece soffrire la mia Divinità nel corso della mia vita. Perciò amo tanto le anime, sono vite che Mi costano, sono pene inconcepibili a mente creata. Perciò entra dentro della mia Divinità e vedi e tocca con mano ciò che soffrii”. (12°, 4-2-1919)
negli scritti di Luisa Piccarreta
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