Santa Caterina da Bologna
La grazia del perdono divino
Questa è un'altra grazia salutare concessa dalla clemenza divina del nostro Signore Iddio alla stessa religiosa, cui apparve il nemico sotto l'apparenza di Cristo.
Essa desiderava la remissione plenaria dei suoi peccati e cominciò a pregare il nostro Signore di perdonarla in colpa e in pena e, anche, di renderla certa della remissione, se di ciò si fosse compiaciuto.
Circa nel terzo anno della sua conversione, andò nella chiesa del Santo Spirito a confessarsi da un venerabile religioso, uno di quei veri coltivatori della vigna di Dio, nostro Signore, e veri uomini, la cui vita è degna di essere lodata innanzi a Dio e agli uomini, anche se coloro che, con cieca stoltezza, volgono i pensieri alle cose terrene e assai poco curano le cose celesti, non li sanno riconoscere e li chiamano per invidia capi storti; ma ohimè, ohimè, sarebbe meglio che i derisori si tritassero la lingua coi denti minutamente come sabbia del mare, perché, senza dubbio, non passerà troppo tempo all'ora della dura condanna che riceveranno dal giudizio divino.
Riprendendo il primo argomento, quando la religiosa ebbe più volte pregato nella stessa chiesa affinché la divina clemenza si degnasse di esaudirla, Iddio, nostro Signore, le manifestò apertamente di avere perdonato tutti i suoi peccati, in colpa e in pena.
Dilettissime sorelle, io scrivo queste cose principalmente per le mie carissime novizie, da poco entrate in campo di battaglia spirituale, e per quelle che qui verranno, perché tutte abbiano di che riflettere e di che stare sempre all'erta e imparino a non confidare mai nella sola propria forza e nel solo proprio senno. Infatti, esse potranno considerare quante grazie la suddetta religiosa ebbe da Dio e, nonostante quelle, quante tribolazioni e inganni essa ugualmente subì dal nemico in forma di Cristo e della Vergine Maria. E perché Dio permise che le avvenisse ciò? Solo perché si gloriò in sé stessa di conoscere le astuzie e di essere capace di eludere le tentazioni diaboliche. Per questo fu necessario che Dio lasciasse ai nemici il potere di ingannarla per un certo tempo, affinché poi, umiliata, essa avesse motivo di stare in perfetto timore e di riconoscere che solo Dio può dare intelletto e forza per resistere ai nemici infernali. E certamente avvenne così perché, nel tempo dell'inganno, si sentì tanto avvilita e afflitta, da credersi abbandonata da Dio; e, per la tristezza che le aveva piagato il cuore, era tanto fuori di sé, da non ricordare le grazie ricevute, come se fossero state cose mai avvenute.
Ma ora, passato il mare tempestoso e giunta alla terra promessa, canta con il salmista: «Sono stata umiliata e mi ha liberata.» perché è in grandissima pace e sicura in ogni battaglia. Così, ormai senza nessuna angoscia, vive con ferma speranza della sua salute e aspetta l'uscita da questo pellegrinaggio con sommo desiderio, per congiungersi totalmente a Cristo Gesù, nostro Salvatore; in Lui spera così fermamente, che già le pare di essere cittadina della corte celeste, anche se vive ancora nel corpo mortale. In tutta verità, questa sicurezza non le viene dalla stima di sé: infatti, se fra tutte le presenti fu la prima a dimorare in questo monastero, pure è convinta di essere l'ultima e la più vile di tutte, indegna di stare fra le dilettissime sue madri e sorelle, al cui confronto si reputa un serpente velenoso e pestifero.
Tuttavia, poiché la divina bontà la sostiene, la ristora di ogni fatica e la mantiene in così nobile e alto luogo, umilmente e di cuore essa esclama, rivolta al Cielo: - O infinita clemenza della Maestà di Dio, io non sono degna di abitare nella vostra casa e neanche di ringraziarvi di tanto e tale beneficio. I miei occhi di tenebra non devono avere l'audacia di lodare Voi, sole di giustizia, che illuminate e nobilitate il Cielo e la moltitudine di quanti vi abitano con il radiante splendore della bellissima e piissima vostra faccia; la mia abominevole bocca, piena di orribile fetore, non può lodare Voi, soavissimo e inestimabile balsamo, che generate tutti gli altri soavissimi odori; la mia nullità, la mia bassezza, la mia mortalità, non possono lodare Voi, altissimo e divinissimo Dio, uomo vivo e vero, incomprensibile e immortale. Ma la vostra altissima e piissima carità, che si degna di soccorrere e sostenere me e gli altri peccatori, sia lode e gloria di Voi stesso; e così la vostra pazienza, che consente alla terra dì nutrirmi e che io, tanto immondo e vilissimo verme, dimori nella vostra casa, sia lode e gloria a Voi, bene infinito. -
Così, in tutte le cose, si comporta in questo modo, cioè ringraziando la Divina Provvidenza; e per quanto, come è detto sopra, le pare di essere già cittadina della corte celeste, però non presume di sé stessa, perché Dio le ha dato tanta conoscenza della sua impotenza, della sua nullità e di quella di tutti i mortali, che non può in alcun modo gloriarsi di sé stessa e di nessun altro; confida solo nella bontà divina e sempre ricorda l'immacolato Agnello che la riscattò a così caro prezzo, ossia con la sua amarissima e acerba Passione, nei cui meriti pone tutta la sua speranza.
Questo lascia in eredità a tutte le sue venerabili e dilettissime madri e sorelle in Cristo Gesù. E quanto mai le prega di essere forti e costanti nel campo di battaglia, di perseverare fino all'ultimo, di desiderare e di cercare sempre in tutte le cose solo la parte che vada a lode e gloria dell'altissimo Dio; perché Egli dissiperà le ossa di coloro che cercano di piacere ad altri, piuttosto che a lui.
Illuminata Bembo
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