lunedì 17 agosto 2020

Santi Martiri del I – II e III Secolo



Dalla Gerarchia Cardinalizia di  Carlo Bartolomeo Piazza e dalle Rivelazioni Private 
  della mistica Maria Valtorta


S. Messa di Papa Clemente I, morte di S.  Petronilla (figlia spirituale di S. Pietro) e martirio  di S. Fenicola. 

Dagli scritti di Maria Valtorta veniamo a conoscere santi mai  sentiti nominare o perché poco famosi o proprio perché di loro  nessuno ne ha mai parlato, come del piccolo Castulo.  
Qui di seguito vi riporto ora il martirio di Santa Fenicola che  ebbe per maestra Petronilla, la figlia spirituale di S. Pietro, come  ci riporta lo stesso Gesù . 50 

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4 marzo 1944, ore 9.  

Mi dice Gesù: 
«Molto lavoro oggi per riprendere il tempo, non perduto ma usato  altrimenti secondo il mio volere. 
Sai dalla prima ora di questo giorno (ore 1 ant.ne) su cosa terrò fissa la tua mente, perché il primo e unico punto che ti s’è illuminato ti ha già detto su che poserai gli occhi dello spirito. E quel nome femminile e sconosciuto che t’è rimbombato dentro come campana  che chiami e non si placa che quando s’è risposto, ti ha detto che conoscerai anche questo. Ma fra la mia vergine e il Maestro devi  scegliere il Maestro e far precedere il mio punto a quello. 
Te ne farò conoscere molte di creature celesti. Hanno tutte il loro  ammaestramento, utile per voi divenuti consci di tutto, lettori di  tutto, ma non di quello che è scienza per conquistare il Cielo. 
Scrivi.» 
Scrivo, anzi descrivo. 
Questa notte, mentre fra dolori da impazzire mi chiedevo come ha fatto Gesù a sopportare quel gran male al capo - e glielo chiedevo  perché a me era tormento tale da farmi stringere i denti per non  urlare al minimo rumore o tentennamento al letto, e mi pareva di  avere tanti cuori che battessero veloci e dolenti per quanti denti  avevo, per la lingua, le labbra, il naso, le orecchie, gli occhi, e in  mezzo alla fronte mi pareva avere un groviglio di chiodi che mi  penetrassero nel cranio, e dalla nuca saliva e si irraggiava una fascia di  fuoco e di dolore stringente come una morsa, e nel parietale destro  mi pareva che ogni tanto urtasse contro un colpo di oggetto pesante  a conficcarmi vieppiù quella fascia nella testa e a rimbombarmi tutta  - e nel mio spasimo lo contemplavo dall’Orto al Calvario, ecco che,  proprio dopo la terza caduta, ho avuto una sosta di sollievo fisico e  spirituale, perché mi apparve bello, sano, sorridente sulle acque irate  del Mar di Galilea. 
Poi il tormento è ricominciato, finché verso le due, cessata la  contemplazione della Passione del Signore e calmato un pochino (poco, sa?) il tremendo dolore al capo, m’è suonato dentro un nome: 
Santa Fenicola. 
Chi è? Sconosciuta. Ci è proprio stata? Mah! Chi l’ha mai sentita! 
E cercavo dormire. Macché! Santa Fenicola. Santa Fenicola. Santa  Fenicola. 
Qui non si dorme, mi sono detta, se prima non so chi è. E in  grazia del diminuito dolore, che mi permetteva ora di muovermi  mentre dalle 15 alla mezzanotte e oltre mi aveva abbattuta e resa  inerte, corpo che soffriva spasmodicamente ma non poteva neppur  aprire gli occhi - Paola51 glielo può dire - ho preso un indice dei santi  e ho trovato che porta, insieme a S. Petronilla v., porta S. Felicola  v.m. Io ho sentito dire: Fenicola, ma forse ho capito male. 
Contemporaneamente a questa scoperta ho visto una giovane donna nuda, legata ad una colonna in maniera atroce. Poi nient’altro.  E ora per ubbidienza scrivo ciò che il Maestro mi mostra, senza rimandare, per quanto ho la testa che gira come una trottola. 

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4 marzo 1944. 

Vedo due giovani donne in preghiera. Una preghiera ardentissima  che deve proprio penetrare nei cieli. Una è più matura. Pare quasi sui trent’anni; l’altra deve da poco aver passato i venti. Sembrano in perfetta salute tutte e due. Poi si alzano e preparano un piccolo altare  su cui dispongono lini preziosi e fiori. 
Entra un uomo vestito come i romani dell’epoca, che le due giovani salutano con la massima venerazione. Egli si leva dal petto  una borsa dalla quale trae tutto quanto occorre per celebrare una  Messa. Poi si riveste delle vesti sacerdotali e inizia il Sacrificio. 
Non comprendo benissimo il Vangelo, ma mi pare sia quello di Marco: “E gli presentarono dei bambini... chi non riceverà il regno di  Dio come un fanciullo non c’entrerà”.52 Le due giovani,  inginocchiate presso l’altare, pregano sempre più fervorosamente. 
Il Sacerdote consacra le Specie e poi si volge a comunicare le due  fedeli, cominciando dalla più anziana, il cui volto è serafico di ardore. 
Poi comunica l’altra. Esse, ricevute le Specie, si prostrano al suolo in  profonda preghiera e sembra restino così per pura devozione. 
Ma quando il Sacerdote si volge a benedire e scende dall’altare collocato su una pedana di legno - dopo la celebrazione del rito, che  è uguale a quella di Paolo nel Tullianum.53 Solo qui il celebrante parla  più piano, date le due sole fedeli; ecco perché capisco meno il Vangelo54 - una soltanto delle giovani si muove. L’altra55 rimane  prostrata come prima. La compagna la chiama e la scuote. Si china  anche il Sacerdote. La sollevano. Già il pallore della morte è su quel viso, l’occhio semispento naufraga sotto le palpebre, la bocca respira a fatica. Ma che beatitudine in quel viso! 
La adagiano su una specie di lungo sedile che è presso una  finestra aperta su un cortile, in cui canta una fontana. E cercano  soccorrerla. Ma, radunando le forze, ella alza una mano e accenna al cielo e non dice che due parole: “Grazia... Gesù” e senza spasimi spira. 
Tutto ciò non mi spiega che c’entra la giovane legata alla colonna che ho visto questa notte e che, per quanto molto più pallida e  smagrita, spettinata, torturata, mi pare assomigli tanto alla superstite  che ora piange presso la morta. E resto così, nella mia incertezza, per  qualche ora. 
Soltanto ora che è sera ritrovo la giovane piangente prima, ora  ritta presso la fontana del severo cortile nel quale sono coltivate solo  delle piccole aiuole di gigli e sui muri salgono dei rosai tutti in fiore.  
La giovane parla con un giovane romano: “È inutile che tu insista, 
o Flacco. Io ti sono grata del tuo rispetto e del ricordo che hai per la  mia amica morta. Ma non posso consolare il tuo cuore. Se Petronilla  è morta, segno era che non doveva essere tua sposa. Ma io neppure.  Tante sono le fanciulle di Roma che sarebbero felici di diventare le  signore della tua casa. Non io. Non per te. Ma perché ho deciso di non contrarre nozze”. 
“Tu pure sei presa dalla frenesia stolta di tante seguaci di un pugno d’ebrei?”.  
“Io ho deciso, e credo non esser folle, di non contrarre nozze”. 
“E se io ti volessi?”. 
“Non credo che tu, se è vero che mi ami e rispetti, vorrai forzare  la mia libertà di cittadina romana. Ma mi lascerai seguire il mio desiderio avendo per me la buona amicizia che io ho per te”.  
“Ah, no! Già una m’è sfuggita. Tu non mi sfuggirai”. 
“Ella è morta, Flacco. La morte è forza a noi superiore, non è fuga di uno ad un destino. Ella non s’è uccisa. È morta...”. 
“Per i vostri sortilegi. Lo so che siete cristiane e avrei dovuto denunciarvi al Tribunale di Roma. Ma ho preferito pensare a voi  come a mie spose. Ora per l’ultima volta ti dico: vuoi esser moglie del nobile Flacco? Io te lo giuro che è meglio per te entrare signora  nella mia casa e lasciare il culto demoniaco del tuo povero dio,  anziché conoscere il rigore di Roma che non permette siano insultati  i suoi dèi. Sii la sposa mia e sarai felice. Altrimenti...”. 
“Non posso esser tua sposa. A Dio sono consacrata. Al mio Dio. 
Non posso adorare gli idoli, io che adoro il vero Dio. Fa’ di me quello che vuoi. Tutto puoi fare del corpo mio. Ma la mia anima è di  Dio ed io non la vendo per le gioie della tua casa”. 
“È la tua ultima parola?”.  
“L’ultima”.  
“Sai che il mio amore può mutarsi in odio?” 
“Dio te ne perdoni. Per mio conto ti amerò sempre come fratello e pregherò per il tuo bene”. 
“Ed io farò il tuo male. Ti denuncerò. Sarai torturata. Allora mi  invocherai. Allora comprenderai che è meglio la casa di Flacco alle dottrine stolte di cui ti nutri”. 
“Comprenderò che il mondo, per non avere più dei Flacchi, ha bisogno di queste dottrine. E farò il tuo bene pregando per te dal Regno del mio Dio”. 
“Maledetta cristiana! Alle carceri! Alla fame! Ti sazi il tuo Cristo se lo può”. 
Ho l’impressione che le carceri siano abbastanza prossime alla casa della vergine perché la strada è poca, e che il nobile Flacco sia né più né meno che un segugio del Questore di Roma perché,  quando la visione, mutando aspetto, mi riporta la sala già vista con la  giovane legata alla colonna, vedo che è un tribunale come quello in  cui fu giudicata Agnese56. Ben poche sono le differenze e che, anche  qui, vi è un brutto ceffo che giudica e condanna, e che Flacco gli fa  da aiutante e aizzatore. 
Fenicola, estratta dalla muda dove era, viene portata in mezzo alla  sala. Appare sfinita di forze ma ancor tanto dignitosa. Per quanto la luce l’abbacini, debole come è e abituata ormai al buio carcere, si  tiene eretta e sorride. Le solite domande e le solite offerte seguite dalle solite risposte: “Sono cristiana. Non sacrifico ad altro Dio che  non sia il mio Signore Gesù Cristo”. 
Viene condannata alla colonna. 
Le strappano le vesti e nuda, alla presenza del popolo, la legano con  le mani e i piedi dietro ad una delle colonne del Tribunale. Per fare ciò le  slogano le anche e le slogano le braccia. La tortura deve essere atroce. E  non basta, ma torcono le funi ai polsi e alle caviglie, la percuotono sul  petto e sul ventre nudo con verghe e flagelli, le torcono le carni con  tenaglie e altri così atroci supplizi che non sto a ridire. 
Ogni tanto le chiedono se vuol sacrificare agli dèi. Fenicola, con  voce sempre più debole, risponde: “No. Al Cristo. A Lui solo. Or che lo comincio a vedere, ed ogni tortura me lo rende più vicino,  volete che io lo perda? Compite la vostra opera. Che io abbia il mio  amore compiuto. Dolci nozze di cui Cristo è sposo ed io sposa sua!  Sogno di tutta la mia vita!”. 
Quando la slegano dalla colonna, ella cade come morta per terra.  Le membra slogate, forse anche spezzate, non la reggono più, non  rispondono a nessun comando della mente. Le povere mani, segate  ai polsi dalla fune che ha fatto due braccialetti di sangue vivo,  pendono come morte. I piedi, pure lacerati ai malleoli sino a  mostrare i nervi e i tendini, appaiono chiaramente spezzati dal modo come stanno ripiegati in modo innaturale. Ma il volto è pieno di una felicità d’angelo. Scendono le lacrime sulle gote esangui, ma l’occhio  ride assorto in una visione che l’estasia. 
I carcerieri, meglio i boia, la colpiscono di calci, e a calci la  spingono, come fosse un sacco tanto immondo da non poter esser  toccato, verso la predella del Questore. 
“Ancor viva sei?”. 
“Sì, per volontà del mio Signore”. 
“Ancora insisti? Vuoi proprio la morte?” 
“Voglio la Vita. Oh! mio Gesù, aprimi il Cielo! Vieni, Amore eterno!”.  
“Gettatela nel Tevere! L’acqua calmerà i suoi ardori”. 
I boia la sollevano con mal garbo. La tortura delle membra  spezzate deve essere atroce. Ma ella sorride. La avvolgono nelle sue  vesti, non per pudicizia ma per impedirle di reggersi in acqua. Inutile  cura! Con degli arti in quello stato, non si nuota. Solo la testa emerge  dal viluppo delle vesti. Il suo povero corpo, gettato sulle spalle di un  carnefice, pende come fosse già morta. Ma ella sorride alla luce delle  fiaccole, perché ormai è sera. 
Giunti al Tevere, come fosse un animale da sopprimersi, la prendono e dall’alto del ponte la precipitano nelle acque scure, sulle  quali ella riaffiora due volte e poi si inabissa senza un grido. 

Notizie sulla vita di S. Petronilla 

Dice Gesù: 

«Ti ho voluto far conoscere la mia martire Fenicola per dare a te  ed a tutti qualche insegnamento.  
Tu hai visto il potere della preghiera nella morte di Petronilla,  compagna e maestra di Fenicola di cui era molto più anziana, e il  frutto di una santa amicizia. 
Petronilla , figlia spirituale di Pietro, aveva assorbito dalla viva  parola del mio Apostolo lo spirito di Fede. Petronilla. La gioia, la  perla romana di Pietro. Sua prima conquista romana. Quella che, per la sua rispettosa e amorosa devozione all’Apostolo, lo consolò di tutti i dolori della sua evangelizzazione romana. 
Pietro per amore mio aveva lasciato casa e famiglia. Ma Colui che  non mente gli aveva fatto trovare in questa fanciulla - e in maniera sovrabbondante, colma, premuta, secondo le mie promesse -58  conforto, cure, dolcezze femminili. Come Io a Betania, egli in casa di  Petronilla trovava aiuti, ospitalità e soprattutto amore. La donna è  uguale, nel suo bene e nel suo male, sotto tutti i cieli e in tutte le  epoche. Petronilla fu la Maria59 di Pietro, con in più la sua purezza di fanciulla che il Battesimo, ricevuto mentre ancora l’innocenza non aveva conosciuto oltraggio, aveva portato a perfezione angelica.  Maria, ascolta. Petronilla, volendo amare il Maestro con tutta se  stessa senza che la sua avvenenza e il mondo potessero turbare  questo amore, aveva pregato il suo Dio di fare di lei una crocifissa. E  Dio la esaudì. La paralisi crocifisse le sue angeliche membra. Nella  lunga infermità sul terreno bagnato dal dolore fiorirono più belle le virtù e specie l’amore per la Madre mia. Ascolta ancora, Maria. 
Quando fu necessario, la sua malattia conobbe una sosta. Per  mostrare che Dio è padrone del miracolo. E poi, finito il momento,  tornò a crocifiggerla. 
Non conosci nessun’altra, Maria, alla quale il suo Maestro, come  Pietro a Petronilla, non dica, quando gli occorre: “Sorgi, scrivi, sii  forte” e cessato il bisogno del Maestro non torni una povera inferma  in perpetua agonia? 
Morto l’Apostolo e guarita Petronilla, ella trovò che la sua vita non era più sua. Ma del Cristo. Non era di quelle che, ottenuto il  miracolo, se ne servono per offendere Dio. Ma la salute la usò per l’interesse di Dio. 
La vita vostra è sempre mia. Io ve la do. Ve lo dovreste ricordare.  Ve la do come vita animale facendovi nascere e conservandovi vivi.  Ve la do come vita spirituale con la Grazia e i Sacramenti. Dovreste  ricordarvelo sempre e farne buon uso. Quando poi vi rendo la salute,  vi faccio rinascere quasi dopo malattia mortale, dovreste ancor più  ricordarvi che quella vita, rifiorita quando già la carne sapeva di tomba, è mia. E per riconoscenza usarla nel Bene. 
Petronilla lo seppe fare. Non si è assorbita per niente60 la mia  Dottrina. Essa è come sale che preserva dal male, dalla corruzione, è  fiamma che scalda e illumina, è cibo che nutre e fortifica, è fede che fa sicuri. Viene la prova, l’assalto della tentazione, la minaccia del mondo. Petronilla prega. Chiama Dio. Vuol essere di Dio. Il mondo  la vuole? Dio la difenda dal mondo. 
Il Cristo l’ha detto: “Se avete tanta fede quanto un granello di  senape, potrete dire ad un monte: ‘Levati a va’ più in là’”.61 Pietro glie l’ha detto tante volte. Ella non chiede al monte di muoversi. Chiede a  Dio di levarla dal mondo prima che una prova superiore alle sue forze la schiacci. E Dio l’ascolta. La fa morire in un’estasi. In  un’estasi, Maria, prima che la prova la schiacci. Ricordala questa cosa,  piccola discepola mia.62  
Fenicola era amica, più che amica figlia o sorella, data la poca differenza d’età di una diecina d’anni circa. Non si convive senza santificarsi con chi è santo. Come non ci si guasta convivendo con  chi è guasto. Se il mondo se la ricordasse questa verità! Ma il mondo  invece trascura i santi o li sevizia, e segue i satana divenendo sempre  più satana. 
La fermezza e la dolcezza di Fenicola l’hai vista. Che è la fame per chi ha Cristo a suo cibo? Che è la tortura per chi ama il Martire del  Calvario? Che è la morte per chi sa che la morte apre la porta alla Vita? 
È sconosciuta dai cristiani d’ora la mia martire Fenicola. Ma essa è ben conosciuta dagli angeli di Dio che la vedono ilare in Cielo dietro l’Agnello divino. Ho voluto renderla nota a te per poterti parlare  anche della sua maestra di spirito e per incuorarti al patire.  
Ripeti con lei: “Ora sì che fra questi dolori comincio a vedere il mio sposo Gesù, nel quale ho posto tutto il mio amore”, e pensa che anche per te ho suscitato un Nicomede63, per salvare dalle acque  delle passioni il tuo io che volevo per Me, e per raccogliere quanto di te merita d’esser conservato, ciò che è mio, ciò che può operare del  bene all’anima dei fratelli.» 

A cura di Mario Ignoffo 

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