La bontà del Padre e l'esistenza del male
Quando ci chiediamo perché il Padre ha consentito il dramma del peccato nell'universo che voleva creare, dobbiamo in primo luogo confessare che é molto difficile per noi raffigurarci un mondo diverso da quello che abbiamo sotto gli occhi, soprattutto un mondo dal quale il male fosse stato escluso. Non possiamo misurare tutte le conseguenze che tale esclusione avrebbe implicato, né tutto il bene che, per questo fatto, avrebbe dovuto essere sacrificato. Il mondo migliore che noi sogniamo è forse un mondo impossibile, e anche un mondo che, migliore sotto certi aspetti, sarebbe meno buono sotto molti altri. Non abbiamo l'apertura di mente del Creatore, e la profondità degli esseri rimane per noi mistero; molto spesso ci arrestiamo al particolare e non riusciamo a cogliere l'insieme. Perciò dobbiamo essere prudenti nel giudicare il nostro mondo. Non vi è una certa temerarietà, infatti, nel dichiarare che Dio avrebbe dovuto creare un universo migliore del nostro? Che ne sappiamo noi? Sappiamo solo che Dio era libero di creare l'universo col grado di bontà che desiderava attribuirgli; come sappiamo che egli era il miglior giudice, l'unico giudice delle diverse possibilità che gli si offrivano.
Ma il migliore dei mondi non può essere perfetto, perché un mondo perfetto è semplicemente impossibile. Solo Dio è l'essere perfetto; soltanto lui possiede la pienezza della perfezione, e quando la comunica alle creature, ciò non può avvenire che in maniera limitata. Perciò non dobbiamo stupirci se nel mondo creato esistono deficienze e imperfezioni: esse riguardano esseri creati, i quali non possiedono l'infinito che è proprio dell'Essere divino.
Non possiamo, dunque, trarre motivo da tutte le imperfezioni che incontriamo nel nostro universo per dire che il Creatore avrebbe potuto eliminarle, manifestando così una maggiore bontà verso le sue creature. Se vi è una creazione devono esserci necessariamente delle imperfezioni.
Così si spiega la possibilità del peccato negli uomini. È evidente che il Padre non è responsabile dell'esistenza del peccato: colui che commette peccato lo fa contro la sua volontà. Ma egli ha creato esseri capaci di commetterlo e il motivo per cui ha lasciato alle sue creature questa capacità non è difficile da riconoscere. Egli voleva che gli uomini fossero degli esseri liberi, di una libertà autentica, capaci di decidere essi stessi del loro comportamento attuale e del loro avvenire. Ma la libertà comportava la facoltà di scegliere tra il bene e il male, e di conseguenza la facoltà di commettere il peccato. La possibilità di peccare è dunque nell'uomo indissolubilmente legata all'esercizio della libertà.
L'uomo misura tutto il valore di quel bene che è la libertà, apprezza la possibilità di esprimere spontaneamente se stesso; sa che nella libertà soltanto la sua persona può sviluppare é spiegare tutte le sue intime risorse. La storia ci insegna quanto gli uomini tengano alla loro libertà; e quanto più è elevato il loro grado di cultura tanto più ne apprezzano il valore. Molti uomini non hanno esitato a dare la vita per la libertà politica o nazionale. Ma la libertà della condotta morale è più importante ancora della: libertà in regime politico, perché riguarda la fonte tutta interiore delle umane decisioni, di quelle decisioni che impegnano tutto un destino. Perciò, concedendo agli uomini quella libertà, il Padre fece loro un dono d'importanza primaria. È vero che esso implicava inevitabilmente la possibilità di commettere il male; ma, anche supponendo che gli uomini stessi fossero stati posti davanti all'alternativa: essere privati di ogni libertà e di conseguenza essere incapaci di peccare, oppure possedere la libertà, essi avrebbero scelto la libertà. Questa scelta il Padre l'ha fatta per loro lungi dal rinfacciargli questa possibilità di peccare ch'egli ha concesso all'umanità, dobbiamo ringraziarlo, perché essa non significa altro che la nostra qualità di esseri liberi.
Il dono della libertà mostra appieno la generosità del Padre. Se é vero che la storia umana rivela una aspirazione fortissima alla libertà, essa offre anche numerosi esempi di oppressione della libertà; perché coloro che detengono il potere sono costantemente tentati di abusarne e di dominare gli altri. Dio, signore supremo, avrebbe avuto il diritto di formare degli esseri sui quali esercitare una padronanza assoluta, imponendo loro con la costrizione ogni suo volere; il che sarebbe stato anche giustificato dalla necessità di impedire le deviazioni morali, di togliere agli uomini la possibilità di degradarsi con atti non convenienti. Ma nella sua onnipotenza Dio non ha voluto dispotismi; ha rinunciato a dominare con la forza la condotta interiore delle sue creature, dotandole di una libertà che avrebbe permesso loro di opporsi a lui e di offenderlo. Questa concessione della libertà prova che il Creatore non ha cercato il proprio vantaggio; egli si esponeva a ricevere oltraggi e offese, ma con un amore disinteressato voleva che le sue creature potessero decidere della loro condotta. In questa maniera di agire si rivela un cuore particolarmente paterno. Creando gli uomini, il Padre poneva nello stesso tempo il loro bene e la loro felicità nelle relazioni di amore filiale che essi avrebbero avuto a suo riguardo. Era la più alta forma di felicità che potesse loro essere concessa. Ma pur sapendo che il cuore umano non poteva essere appagato che amando lui, il Padre desiderava l'amore di un figlio, non di uno schiavo; un amore che scaturisse dal profondo dell'individuo, dalla sua volontà personale.
Proteggere la nostra libertà, significa proteggere la sincerità e la spontaneità dello slancio filiale. Nella protezione della nostra libertà il Padre ha evitato gli scogli di quello che oggi si suol chiamare paternalismo e che consiste in una sollecitudine paterna che cerca di sostituirsi all'attività e alla iniziativa di coloro sui quali veglia. È una sostituzione che avviene con intento che vorrebbe essere eccellente: supplire all'incapacità degli inferiori; poiché non possono agire da soli si agisce per essi. Il Padre avrebbe potuto scegliere questa via, disponendo la sua creazione in modo che fosse il campo d'azione del suo paternalismo. Indubbiamente egli era più capace degli uomini di dirigere la loro vita: avrebbe potuto sostituirsi a loro riservandosi di decidere al loro posto, affinché si avesse sempre la decisione, migliore. E ancora, avrebbe potuto lasciare agli uomini una certa apparenza di libertà, in modo da essere lui solo a guidarli senza che essi ne avessero coscienza: gli uomini avrebbero così avuto l'impressione, del tutto superficiale, di condursi da se, mentre sarebbero stati costretti a obbedire alla divina sapienza. Noi vediamo, invece, fino a qual punto la libertà umana sia autentica e a qual punto gelosamente rispettata dal Padre; egli non ha voluto soffocare col suo amore coloro che desiderava proteggere, né ha preso pretesto dalla loro debolezza e dai loro errori per mettersi al loro posto.
Concedendo una libertà, che non intendeva revocare e a cui rinunciava in precedenza a porre freni o limiti per incanalarla secondo le proprie vedute, il Padre ha affrontato un rischio immenso, la cui realtà è fin troppo evidente in tutti i peccati dell'umanità. Egli si esponeva a degli insuccessi, in quanto dava agli uomini la facoltà di optare per o contro di lui, permetteva, cioè, loro anche di respingerlo. Ma in fondo, accettando il rischio, egli concedeva agli uomini la sua fiducia, e la concedeva fino al limite estremo, perché rimetteva nelle loro mani il loro destino eterno: col dono irrevocabile della libertà egli lasciava gli uomini decidere irrevocabilmente dell'orientamento finale della loro vita. Nulla di più toccante di questa fiducia concessaci quando la nostra esistenza su questa terra e nell'al di là fu fatta dipendere dalla nostra volontà, fiducia che è un segno commovente di amore paterno.
Non si deve perdere di vista questo dono definitivo della libertà quando cerchiamo di conciliare con la bontà divina il fatto di un inferno eterno. Non esisterebbe l'inferno se l'uomo non avesse ricevuto la libera volontà che lo rende padrone del proprio destino. Dio ha elargito questo dono una volta per tutte, interdicendosi così la possibilità di forzare la libera decisione umana: se un uomo persevera sino all'ultimo nel male, drizzandosi ostinatamente contro la volontà divina e rifiutando tutte le sollecitazioni della grazia, il Padre non può che prendere atto di questo rifiuto. Il peccatore stesso ha deciso del suo destino eterno, e il Padre si limita a trarre le conseguenze di un atteggiamento che fu coscientemente adottato e mantenuto: la dannazione non sopravviene che come ratifica di una libera opzione, e l'inferno non é che il fissarsi definitivo dello stato di un'anima che ha respinto sistematicamente Dio. La bontà divina smentirebbe se stessa se togliesse all'uomo la libertà dopo avergliela concessa; e il dono divino non sarebbe più reale se un'opzione nel senso- del male non avesse efficacia.
Un mondo dal quale fosse stata esclusa ogni possibilità di male, sarebbe stato di gran lunga inferiore a quello che conosciamo: un mondo senza libertà, in cui tutto sarebbe accadutosotto un regime di costrizione, nel quale le anime non avrebbero potuto sviluppare e affermare tutte le loro possibilità; un mondo che non avrebbe conosciuto neppure il dono profondo di sé che può fare una persona padrona della propria vita. Il peccato sarebbe stato evitato, é vero, ma con gli atti moralmente cattivi sarebbero stati soppressi anche quelli moralmente buoni, gli innumerevoli atti di libera generosità, le vittorie nelle lotte della coscienza, i sacrifici eroici, le meraviglie della santità. Se siamo talvolta sconvolti dallo spettacolo orribile del peccato, la libertà umana fornisce, in compenso, altri spettacoli che superano in nobiltà quanto i primi hanno di ignobile. Come si potrebbe preferire la soppressione di tutto ciò per sostituirvi un universo incolore, uniforme, schiacciato da una sovranità divina tirannica? È chiaro che il Padre ha scelto la via migliore, riconoscendo agli uomini una amplissima libertà e rimettendo a loro la decisione dell'orientamento finale della loro vita. Volendo essere amato liberamente, ha agito da Padre e la fiducia che ha riposto in noi dandoci la libertà prova una bontà che sa essere ardita nei suoi doni.
Concludendo: quando ci si pone il problema dell'esistenza del male e ci si domanda perché il Padre abbia tollerato la possibilità del peccato nell'universo da lui creato, non si trova che una ragione: il suo amore paterno, che voleva in quel modo elargirci dei beni più grandi.
Di Jean Galot s. j.
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