giovedì 20 ottobre 2022

I Dieci Comandamenti

 


Alla luce delle Rivelazioni a Maria Valtorta


Il nono Comandamento: ”Non desiderare la donna d’altri”. 

9.3 A Gesù viene insidiosamente chiesto di giudicare un caso di adulterio di cui durano le conseguenze: come si comporta e cosa sentenzia?   

Gesù sta evangelizzando, come al suo solito, il Suo popolo ed un giorno incontra per strada quello che poi sarà nominato anche dagli Atti degli Apostoli, il levita Giuseppe detto Barnaba 168 , che allora era un discepolo del grande rabbi Gamaliele: 

<<< 

[…] Si riuniscono tutti prima di prendere la via maestra, ma non hanno fatto che pochi metri quando due uomini vengono loro incontro con cenni di saluto. 169 

«Due discepoli dei rabbi, e uno è levita. Che vogliono?», dicono fra loro gli apostoli per nulla contenti dell'incontro. Io non so da che deducano che sono discepoli e che uno è levita.  

Non capisco ancora bene il linguaggio dei fiocchi e delle frange e altri segreti del vestiario israelita. 

Gesù, quando è a due metri circa dai due e quando non è possibile nessun equivoco, perché la via è ormai libera dei viandanti che a piedi o su cavalcature si affrettavano verso il paese, risponde al saluto ripetuto e si ferma in attesa.  

«La pace a Te, Rabbi», dice ora a voce il levita che prima si era limitato a profondi inchini.  

«La pace a te. E a te», dice Gesù rivolgendosi all'altro.  

«Sei Tu il Rabbi di nome Gesù?».  

«Lo sono».  

«Una donna è entrata avanti sesta in città e ha detto di aver parlato per via con un rabbi più grande di Gamaliele, perché oltre che sapiente è buono. La cosa è giunta a noi e i maestri ci hanno mandato, tutti quanti eravamo e sospendendo la partenza verso Gerusalemme, per trovarti. Due ad ogni strada che da Giscala scende sulle vie del piano. A loro nome e a nostro mezzo ti dicono: "Vieni nella città, ché ti vogliamo interrogare"».  

«E per qual motivo?».  

« Perché Tu sentenzi su un fatto accaduto in Giscala, del quale durano le conseguenze».  

«E non avete i grandi dottori d'Israele per sentenziare? Perché rivolgersi al Rabbi sconosciuto?».  

«Se sei Colui che dicono i rabbi, Tu non sei sconosciuto. Non sei Tu Gesù di Nazaret?».  

«Lo sono».  

«La tua sapienza è nota ai rabbi».  

«E a Me è noto il loro astio verso di Me».  

«Non in tutti, Maestro. Il più grande e giusto non ti odia».  

«Lo so. Neppure mi ama. Mi studia. Ma rabbi Gamaliele è in Giscala?».  

«No. É già partito per essere a Sefori avanti il sabato. Partito subito dopo il giudizio».  

«E allora perché mi cercate? Io pure devo rispettare il sabato e appena posso giungere in tempo a quel luogo. Non mi trattenete oltre».  

«Hai paura, Maestro?».  

«Non ho paura, perché so che nessuna potestà è data per ora ai miei nemici. Ma lascio ai sapienti la gioia di giudicare».  

«Che vuoi dire?».  

« Che Io non giudico. Io perdono».  

«Tu sai giudicare meglio d'ogni altro. Gamaliele lo ha detto. Ha detto: "Solo Gesù di Nazaret giudicherebbe con giustizia qui"».  

«Sta bene. Ma ormai avete giudicato. E la cosa non ha più riparo. Io avrei dato giudizio di far calmare le passioni prima di colpire. Se c'era colpa, il colpevole poteva pentirsi e redimersi. Se colpa non c'era, non sarebbe accaduto il supplizio che per qualcuno è, agli occhi di Dio, uguale ad omicidio premeditato». 

«Maestro! Ma come sai? La donna ha giurato che hai parlato con lei solo delle sue cose... e... Tu sai... Sei allora veramente profeta?».  

« Io son chi sono. Addio. La pace a te. Il sole si curva verso occidente», e gli volge le spalle andando verso il paese.  

«Bene hai fatto, Maestro! Certo ti insidiavano!».  

Gli apostoli sono solidali col Maestro. Ma le loro lodi, le loro ragioni sono troncate dai due di prima, che li raggiungono supplicando Gesù di risalire a Giscala.  

«No. Il tramonto mi coglierebbe per via. Dite a chi vi manda che Io osservo la Legge, sempre, quando l'osservarla non lede il comandamento più grande di quello sabatico: quello dell'amore».  

«Maestro, Maestro, te ne supplichiamo. Qui proprio è caso di amore e giustizia. Vieni con noi, Maestro».  

«Non posso. E neppur voi potete risalire in tempo».  

«Abbiamo licenza di farlo per questo caso».  

«E che? Si è alzata la voce se Io guarivo un malato e lo assolvevo in sabato, e a voi è concesso di violare il sabato per un'oziosa disputa? Ci sono forse due misure in Israele? Andate! Andate! E lasciatemi andare».  

«Maestro, Tu sei profeta. Tu sai perciò. Io lo credo e costui lo crede. Perché ci respingi?».  

«Perché!...».  

Gesù li guarda fisso fisso, fermandosi. I suoi occhi severi, che trafiggono e penetrano oltre i veli della carne a leggere i cuori, guardano dominatori i due che ha davanti. E poi i suoi occhi, così insostenibili nel rigore, così dolci nell'amore, cambiano sguardo e prendono una espressione così amorosa, così misericordiosa che, se prima il cuore tremava di timore per lo sguardo potente, ora trema di emozione davanti al brillare dell'amore del Cristo.  

«Perché!», ripete... «Non Io, ma gli uomini respingono il Figlio dell'uomo, e questo deve diffidare dei suoi fratelli. Ma a chi non ha malizia nel cuore Io dico: "Venite", e dico anche: "Amatemi" a coloro che mi odiano...».  

«E allora, Maestro...».  

«E allora Io vado al paese per il sabato».  

«Attendici, almeno».  

«Al tramonto del sabato parto. Non posso attendere». 

I due si guardano, si consultano restando indietro; poi uno, quello dal volto più aperto 170 e che ha quasi sempre parlato lui, torna di corsa.  

«Maestro, io resto con Te sino a dopo il sabato».  

Pietro, che è a fianco di Gesù, gli tira la veste obbligandolo a voltarsi dalla sua parte e gli sussurra: «No. Una spia». Giuda Taddeo alle spalle del cugino sibila: «Diffida». Natanaele, che è andato avanti con Simone e Filippo, si volta e fa gli occhiacci per dire: «No». Persino i due più fidenti, Andrea e Giovanni, fanno cenno di no col capo da dietro le spalle dell'importuno.  

Ma Gesù non tiene conto delle loro sospettose paure e risponde brevemente: «Resta», e gli altri si devono rassegnare. L'uomo, contento, si sente meno estraneo, sente il bisogno di dire il suo nome, chi è, perché è in Palestina, lui nato nella Diaspora, ma consacrato a Dio dalla nascita perché fu «consolazione ai parenti» che, grati al Signore d'averlo, lo affidarono ai parenti in Gerusalemme perché fosse del Tempio, e là, servendo la Casa di Dio, conobbe il rabbi Gamaliele e ne divenne discepolo attento e amato: «Mi hanno chiamato Giuseppe perché come l'antico ho levato alla madre la pena di esser sterile. 

Ma la madre sempre mi diceva "mia consolazione" mentre mi nutriva, e Barnaba son divenuto, per tutti. Anche il grande rabbi mi chiama così, perché egli si consola nei discepoli migliori».  

«Fa' che tale ti dica anche Dio, anzi soprattutto ti chiami così Dio», dice Gesù. 171  

Entrano in paese.  

«Sei pratico?», chiede Gesù. 

«No. Non ci sono mai stato.È la prima volta che vengo qui, in Neftali. Mi ha portato seco, con altri, il rabbi, perché sono rimasto solo...».  

«Hai Dio ad amico?».  

«Lo spero. Cerco di servirlo come meglio posso».  

«Allora non sei solo. Solo è il peccatore».  

«Posso peccare io pure...».  

«Tu discepolo di un grande rabbi, sai certo le condizioni per cui un'azione diviene peccato».  

«Tutto, Signore, è peccato. L'uomo pecca continuamente. Perché sono più i precetti dei momenti del giorno. E non sempre il pensiero e le circostanze ci aiutano a non peccare».  

«In verità anzi le circostanze, soprattutto esse, sovente ci inducono a peccare. Ma hai chiaro il concetto del principale attributo di Dio?». 

«Giustizia».  

«No».  

«Potenza».  

«Neppure»...  

«Rigore».  

«Men che mai».  

«Eppure... ciò fu sul Sinai e poi ancora...».  

«Allora fu visto l'Altissimo fra i fulmini. Essi cingevano di aureole tremende il volto del Padre e Creatore. In verità voi non conoscete il vero volto di Dio. Se lo conosceste, e se ne conosceste lo spirito, sapreste che il principale attributo di Dio è l'Amore, e Amore misericordioso».  

«So che l'Altissimo ci ha amati. Siamo il popolo eletto. Ma servirlo è tremendo!».  

«Se tu conosci che Dio è Amore, come puoi dirlo tremendo?».  

«Perché peccando noi perdiamo il suo amore».  

«Ti ho chiesto avanti se tu sai le condizioni per cui un'azione diviene peccato».  

«Quando non è azione dei seicentotredici precetti, delle tradizioni, delle decisioni, consuetudini, benedizioni e preghiere, oltre le dieci imposizioni della Legge, oppure non è come gli scribi insegnano queste cose, allora è peccato».  

«Anche se l'uomo non lo fa con piena avvertenza e perfetto consenso della volontà?».  

«Anche. Perciò chi può dire: "io non pecco"? Chi può sperare di aver pace in Abramo alla sua morte?».  

«Sono gli uomini perfetti nello spirito?».  

«No. Perché Adamo peccò e noi abbiamo quella colpa in noi. Essa ci fa deboli. L'uomo ha perduto la Grazia del Signore, unica forza per reggerci...» 172  

«E il Signore lo sa?».  

«Egli tutto sa».  

«E allora credi tu che Egli non abbia misericordia tenendo conto di ciò che indebolisce l'uomo? Credi tu che Egli esiga dai colpiti ciò che poteva esigere dal primo Adamo? In ciò sta la differenza che voi non considerate. Dio è Giustizia, sì. È Potenza, sì. Può essere anche Rigore per l'impenitente che continua nel suo peccare. Ma quando Egli vede che un suo fanciullo - tutti fanciulli sulla Terra, che è un'ora di eternità per lo spirito, il quale si fa adulto al suo esame spirituale di maggiorenne eterno nel giudizio particolare - quando Egli vede che un suo fanciullo manca perché svagato, perché tardo nel saper discernere, perché poco istruito, perché debole tanto in una o in più cose, pensi tu che il Padre Santissimo lo possa giudicare con inesorabile rigore? Tu lo hai detto. L'uomo ha perduto la Grazia, forza per reagire alla tentazione e agli appetiti. E Dio lo sa. E non bisogna tremare di Dio e fuggirlo come Adamo dopo la colpa. Ma ricordarsi che Egli è Amore. Il suo volto splende sugli uomini, ma non per incenerirli. Bensì per confortarli come il sole conforta coi suoi raggi. L'amore, non il rigore raggia da Dio. Raggi di sole, non saettar di fulmini. E del resto... Cosa, di suo, ha imposto l'Amore? Una soma che non si può portare? Un codice dagli innumerabili capitoli che si possono dimenticare? No. Dieci soli comandi. Per tenere l'animale uomo imbrigliato come puledro che senza briglie va a rovina. Ma quando l'uomo sarà salvato, quando gli sarà resa la Grazia, quando sarà il Regno di Dio, ossia il Regno dell'amore, ai figli di Dio e sudditi del Re sarà dato un solo comando e in esso tutto sarà: "Ama il tuo Dio con tutto te stesso e il tuo prossimo come te stesso". Perché credi, o uomo, che Dio-Amore non può che alleggerire il giogo e renderlo dolce, e l'amore renderà dolce il servire Dio, non più temuto, ma amato. Amato soltanto, amato per Se stesso e amato nei fratelli nostri. Come sarà semplice la Legge ultima! Così come è Dio, che è perfetto nella sua semplicità. Senti: ama Dio con tutto te stesso, ama il tuo prossimo come te stesso. Medita. I pesanti seicentotredici precetti e tutte le preghiere e benedizioni non sono già enumerate in queste due frasi, spogliandosi dei cavilli inutili che non sono religione, ma schiavitù verso Dio? Se ami Dio, certo lo onori a tutte le ore. Se ami il prossimo, certo non fai cosa a lui dolorosa. Non menti, non rubi, non uccidi o ferisci, non sei adultero. Non è così?».  

«Così è... Maestro giusto, io vorrei stare con Te. Ma Gamaliele ha già perso per Te i migliori discepoli... Io...».  

« Non è ancora l'ora che tu venga a Me. Quando essa sarà, il tuo stesso maestro te lo dirà, perché egli è un giusto».  

«Lo è, vero? Tu lo dici?».  

«Lo dico perché è verità. Non sono uno che abbatte per alzarsi sull'abbattuto. Riconosco ad ognuno il suo... Ma ci chiamano... Certo hanno trovato gli alloggi per noi. Andiamo... ». 

>>> 

a cura del Team Neval 

Riflessioni di Giovanna Busolini  

Nessun commento:

Posta un commento