LIBRO DEL PROFETA DANIELE
La vita dell’uomo è anche dalla vita rispettata della creazione. Se l’uomo non rispetta la vita della creazione all’istante è la sua vita che non viene rispettata.
Il Signore prese a dire a Giobbe in mezzo all’uragano:
«Chi è mai costui che oscura il mio piano con discorsi da ignorante? Cingiti i fianchi come un prode: io t’interrogherò e tu mi istruirai! Quando ponevo le fondamenta della terra, tu dov’eri? Dimmelo, se sei tanto intelligente! Chi ha fissato le sue dimensioni, se lo sai, o chi ha teso su di essa la corda per misurare? Dove sono fissate le sue basi o chi ha posto la sua pietra angolare, mentre gioivano in coro le stelle del mattino e acclamavano tutti i figli di Dio?
Chi ha chiuso tra due porte il mare, quando usciva impetuoso dal seno materno, quando io lo vestivo di nubi e lo fasciavo di una nuvola oscura, quando gli ho fissato un limite, e gli ho messo chiavistello e due porte dicendo: “Fin qui giungerai e non oltre e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde”?
Da quando vivi, hai mai comandato al mattino e assegnato il posto all’aurora, perché afferri la terra per i lembi e ne scuota via i malvagi, ed essa prenda forma come creta premuta da sigillo e si tinga come un vestito, e sia negata ai malvagi la loro luce e sia spezzato il braccio che si alza a colpire?
Sei mai giunto alle sorgenti del mare e nel fondo dell’abisso hai tu passeggiato? Ti sono state svelate le porte della morte e hai visto le porte dell’ombra tenebrosa? Hai tu considerato quanto si estende la terra? Dillo, se sai tutto questo!
Qual è la strada dove abita la luce e dove dimorano le tenebre, perché tu le possa ricondurre dentro i loro confini e sappia insegnare loro la via di casa? Certo, tu lo sai, perché allora eri già nato e il numero dei tuoi giorni è assai grande!
Sei mai giunto fino ai depositi della neve, hai mai visto i serbatoi della grandine, che io riserbo per l’ora della sciagura, per il giorno della guerra e della battaglia?
Per quali vie si diffonde la luce, da dove il vento d’oriente invade la terra?
Chi ha scavato canali agli acquazzoni e una via al lampo tonante, per far piovere anche sopra una terra spopolata, su un deserto dove non abita nessuno, per dissetare regioni desolate e squallide e far sbocciare germogli verdeggianti?
Ha forse un padre la pioggia? O chi fa nascere le gocce della rugiada? Dal qual grembo esce il ghiaccio e la brina del cielo chi la genera, quando come pietra le acque si induriscono e la faccia dell’abisso si raggela?
Puoi tu annodare i legami delle Plèiadi o sciogliere i vincoli di Orione? Puoi tu far spuntare a suo tempo le costellazioni o guidare l’Orsa insieme con i suoi figli?
Conosci tu le leggi del cielo o ne applichi le norme sulla terra? Puoi tu alzare la voce fino alle nubi per farti inondare da una massa d’acqua? Scagli tu i fulmini ed essi partono dicendoti: “Eccoci!”?
Chi mai ha elargito all’ibis la sapienza o chi ha dato al gallo intelligenza?
Chi mai è in grado di contare con esattezza le nubi e chi può riversare gli otri del cielo, quando la polvere del suolo diventa fango e le zolle si attaccano insieme?
Sei forse tu che vai a caccia di preda per la leonessa e sazi la fame dei leoncelli, quando sono accovacciati nelle tane o stanno in agguato nei nascondigli?
Chi prepara al corvo il suo pasto, quando i suoi piccoli gridano verso Dio e vagano qua e là per mancanza di cibo? (Gb 38,1-41).
Sai tu quando figliano i camosci o assisti alle doglie delle cerve?
Conti tu i mesi della loro gravidanza e sai tu quando devono partorire? Si curvano e si sgravano dei loro parti, espellono i loro feti. Robusti sono i loro figli, crescono all’aperto, se ne vanno e non tornano più da esse.
Chi lascia libero l’asino selvatico e chi ne scioglie i legami? Io gli ho dato come casa il deserto e per dimora la terra salmastra. Dei rumori della città se ne ride e non ode le urla dei guardiani. Gira per le montagne, sua pastura, e va in cerca di quanto è verde.
Forse il bufalo acconsente a servirti o a passare la notte presso la tua greppia? Puoi forse legare il bufalo al solco con le corde, o fargli arare le valli dietro a te? Ti puoi fidare di lui, perché la sua forza è grande, e puoi scaricare su di lui le tue fatiche? Conteresti su di lui, perché torni e raduni la tua messe sull’aia?
Lo struzzo batte festosamente le ali, come se fossero penne di cicogna e di falco. Depone infatti sulla terra le uova e nella sabbia le lascia riscaldare. Non pensa che un piede può schiacciarle, una bestia selvatica calpestarle. Tratta duramente i figli, come se non fossero suoi, della sua inutile fatica non si preoccupa, perché Dio gli ha negato la saggezza e non gli ha dato in sorte l’intelligenza. Ma quando balza in alto, si beffa del cavallo e del suo cavaliere.
Puoi dare la forza al cavallo e rivestire di criniera il suo collo? Puoi farlo saltare come una cavalletta, con il suo nitrito maestoso e terrificante? Scalpita nella valle baldanzoso e con impeto va incontro alle armi. Sprezza la paura, non teme, né retrocede davanti alla spada. Su di lui tintinna la faretra, luccica la lancia e il giavellotto. Con eccitazione e furore divora lo spazio e al suono del corno più non si tiene. Al primo suono nitrisce: “Ah!” e da lontano fiuta la battaglia, gli urli dei capi e il grido di guerra.
È forse per il tuo ingegno che spicca il volo lo sparviero e distende le ali verso il meridione?
O al tuo comando l’aquila s’innalza e costruisce il suo nido sulle alture? Vive e passa la notte fra le rocce, sugli spuntoni delle rocce o sui picchi. Di lassù spia la preda e da lontano la scorgono i suoi occhi. I suoi piccoli succhiano il sangue e dove sono cadaveri, là essa si trova» (Gb 39,1-30).
Il Signore prese a dire a Giobbe:
«Il censore vuole ancora contendere con l’Onnipotente? L’accusatore di Dio risponda!».
Giobbe prese a dire al Signore:
«Ecco, non conto niente: che cosa ti posso rispondere? Mi metto la mano sulla bocca. Ho parlato una volta, ma non replicherò, due volte ho parlato, ma non continuerò».
Il Signore prese a dire a Giobbe in mezzo all’uragano:
«Cingiti i fianchi come un prode: io t’interrogherò e tu mi istruirai! Oseresti tu cancellare il mio giudizio, dare a me il torto per avere tu la ragione? Hai tu un braccio come quello di Dio e puoi tuonare con voce pari alla sua? Su, órnati pure di maestà e di grandezza, rivèstiti di splendore e di gloria! Effondi pure i furori della tua collera, guarda ogni superbo e abbattilo, guarda ogni superbo e umilialo, schiaccia i malvagi ovunque si trovino; sprofondali nella polvere tutti insieme e rinchiudi i loro volti nel buio! Allora anch’io ti loderò, perché hai trionfato con la tua destra.
Ecco, l’ippopotamo che io ho creato al pari di te, si nutre di erba come il bue. Guarda, la sua forza è nei fianchi e il suo vigore nel ventre. Rizza la coda come un cedro, i nervi delle sue cosce s’intrecciano saldi, le sue vertebre sono tubi di bronzo, le sue ossa come spranghe di ferro. Esso è la prima delle opere di Dio; solo il suo creatore può minacciarlo con la spada. Gli portano in cibo i prodotti dei monti, mentre tutte le bestie della campagna si trastullano attorno a lui.
Sotto le piante di loto si sdraia, nel folto del canneto e della palude. Lo ricoprono d’ombra le piante di loto, lo circondano i salici del torrente. Ecco, se il fiume si ingrossa, egli non si agita, anche se il Giordano gli salisse fino alla bocca, resta calmo. Chi mai può afferrarlo per gli occhi, o forargli le narici con un uncino?
Puoi tu pescare il Leviatàn con l’amo e tenere ferma la sua lingua con una corda, ficcargli un giunco nelle narici e forargli la mascella con un gancio? Ti rivolgerà forse molte suppliche o ti dirà dolci parole? Stipulerà forse con te un’alleanza, perché tu lo assuma come servo per sempre? Scherzerai con lui come un passero, legandolo per le tue bambine? Faranno affari con lui gli addetti alla pesca, e lo spartiranno tra i rivenditori? Crivellerai tu di dardi la sua pelle e con la fiocina la sua testa? Prova a mettere su di lui la tua mano: al solo ricordo della lotta, non ci riproverai! (Gb 40,1-32).
Ecco, davanti a lui ogni sicurezza viene meno, al solo vederlo si resta abbattuti. Nessuno è tanto audace da poterlo sfidare: chi mai può resistergli? Chi mai lo ha assalito e ne è uscito illeso? Nessuno sotto ogni cielo. Non passerò sotto silenzio la forza delle sue membra, né la sua potenza né la sua imponente struttura. Chi mai ha aperto il suo manto di pelle e nella sua doppia corazza chi è penetrato? Chi mai ha aperto i battenti della sua bocca, attorno ai suoi denti terrificanti? Il suo dorso è formato da file di squame, saldate con tenace suggello: l’una è così unita con l’altra che l’aria fra di esse non passa; ciascuna aderisce a quella vicina, sono compatte e non possono staccarsi.
Il suo starnuto irradia luce, i suoi occhi sono come le palpebre dell’aurora. Dalla sua bocca erompono vampate, sprizzano scintille di fuoco. Dalle sue narici esce fumo come da caldaia infuocata e bollente. Il suo fiato incendia carboni e dalla bocca gli escono fiamme. Nel suo collo risiede la forza e innanzi a lui corre il terrore. Compatta è la massa della sua carne, ben salda su di lui e non si muove. Il suo cuore è duro come pietra, duro come la macina inferiore.
Quando si alza si spaventano gli dèi e per il terrore restano smarriti. La spada che lo affronta non penetra, né lancia né freccia né dardo. Il ferro per lui è come paglia, il bronzo come legno tarlato. Non lo mette in fuga la freccia, per lui le pietre della fionda sono come stoppia. Come stoppia è la mazza per lui e si fa beffe del sibilo del giavellotto.
La sua pancia è fatta di cocci aguzzi e striscia sul fango come trebbia. Fa ribollire come pentola il fondo marino, fa gorgogliare il mare come un vaso caldo di unguenti. Dietro di sé produce una scia lucente e l’abisso appare canuto. Nessuno sulla terra è pari a lui, creato per non aver paura. Egli domina tutto ciò che superbo s’innalza, è sovrano su tutte le bestie feroci» (Gb 41,1-26).
Giobbe prese a dire al Signore: «Comprendo che tu puoi tutto e che nessun progetto per te è impossibile. Chi è colui che, da ignorante, può oscurare il tuo piano? Davvero ho esposto cose che non capisco, cose troppo meravigliose per me, che non comprendo.
Ascoltami e io parlerò, io t’interrogherò e tu mi istruirai! Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto. Perciò mi ricredo e mi pento sopra polvere e cenere» (Gb 42,1-6).
Sadrac invita ogni elemento di questa stupenda creazione di Dio, portatore di un grande mistero di vita, a riconoscere il suo Creatore e a benedirlo.
Ogni elemento della creazione vicino e lontano, visibile e invisibile, noto e ignoto è opera di Dio. È giusto che riconosca il suo Signore. È giusto che lo lodi.
Il primo invito a lodare il Signore è rivolto agli Angeli di Dio. Essi sono creature incorporee, spirituali, ma sono sue creature. A Dio va la loro benedizione.
Poi nell’ordine seguono tutte le altre creature, a cominciare da quelle che stanno in alto, giungendo fino a quelle che stanno negli abissi delle acque.
Nei cieli, sulla terra, negli abissi del mare, sopra i cieli, tutto è opera di Dio. Ogni essere creato deve rivestirsi di umiltà e benedire il suo Signore.
MOVIMENTO APOSTOLICO CATECHESI
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