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L’autentica rigenerazione dell’uomo non può venire che da parte di Dio, aprendosi alla sua grazia. Qualcosa come ciò che accadde nella Redenzione: siccome nessun uomo poteva redimere gli altri uomini, perché tutti erano immersi nel peccato, Dio, nel suo grande amore, si fa uomo per redimerli tutti. Così pure, nessuna forza interiore dell’uomo può rigenerarlo, perché tutte si trovano contaminate. La soluzione divina dell’Incarnazione e Redenzione si prolunga per mezzo della sua grazia. È come se Dio si “incarnasse” di nuovo per redimere ogni uomo dalle forze disordinate che combattono nel suo interno. A ciò manca un elemento decisivo a che si attui quel “rinascere” dell’uomo: la sua accettazione. Quella rinascita spirituale non può avvenire se non avvengono prima due cose: il riconoscimento della propria impotenza e il ricorso umile al potere di Dio. Alla base della vera rinascita c’è un’umiltà vissuta e sincera. Essa ci porterà segretamente al Paradiso dell’Eden, quello stato d’unione con Dio in cui vivevano i nostri progenitori prima di peccare. Là sentiremo la gioia di un triplice amore: l’amore di essere stati creati, l’amore di essere stati redenti e l’amore di aver potuto cooperare alla nostra propria redenzione. Non avremo più pretese: l’umiltà ci avrà dato quelle disposizioni che Gesù esigeva per entrare nel suo regno: «Se non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli».
Dopo aver raggiunto questa statura spirituale, non si può dimenticare un nuovo ostacolo: coloro che si decidano per quella rigenerazione, riceveranno i colpi dello spirito del mondo. L’umiltà di “bambini forti”, secondo Dio, sarà da quello spirito giudicata come un’impotenza e un’incapacità. Facciamo qui un altro passo: il “rinato” nello Spirito di Dio deve affermarsi davanti al mondo con un nuovo gesto di umiltà: deve accettare il fallimento piuttosto che servirsi della menzogna o della forza. Queste non sono le armi di Dio, benché le abbiano usate alcuni che si dicono figli di Dio. Naturalmente è duro accettare questo fallimento, ma ciò cui noi ci riferiamo non è un ordine naturale, bensì un ordine soprannaturale. Quella rinascita esige uno sguardo d’aquila, che non tenga in conto i valori stimati dal mondo: «Questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo : la nostra fede». Se l’umiltà è la base della nostra “rinascita”, la fede, infiammata dalla speranza e dalla carità, è la forza motrice che ci spinge ad agire secondo la nuova vita in Dio.
Perché niente mancasse, ci è stato dato un modello di vita perfetta, Gesù. Lui è il modello al quale devono conformarsi tutti i “rinati” per entrare nel regno di Dio. Orbene, che fece questo Uomo per accogliere nel suo seno il Figlio di Dio? Scomparire. La persona umana di Gesù “scomparve” affinché in lui apparisse il Dio vivo. L’“io” umano che in Adamo si riaffermò contro la volontà di Dio, in Gesù scomparve fino alla non-esistenza. Allora Dio, il Figlio, vive in questa Umanità di Gesù, santificandola fino all’infinito. Così pure, man mano che il nostro “io” vada scomparendo, andrà apparendo il Figlio di Dio in noi, Cristo Gesù. La stessa parola, “scomparire”, non vorrà significare apparizione di Dio?
Tutto questo porta con sé un’opera di logoramento, qualco- sa di simile a ciò che avviene per l’apparire della bella immagine che si nasconde in un blocco di marmo o di pietra. Ma in questa opera di logoramento spirituale c’è una differen- za: lo Scultore è dentro di noi. La grazia opera in noi come la linfa, che fa crescere la pianta dandole la forma che la sua natura richiede. Quante forme hanno dovuto scomparire perché la pianta conseguisse la sua forma definitiva e così dia il suo frutto! Se il seme non rinuncia alla sua forma, “rendo”, la vita non “appare”. Qual è la forma definitiva della nostra natura umana? La troviamo espressamente indicata nel piano divino: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e a nostra somiglianza» . La nostra “forma”, dunque, è un modo di essere divino. Gesù è non solo modello, ma incarnazione di quella forma divina, che lo fa essere il “primogenito di molti fratelli”. Gesù è lì, non come un quadro che dev’essere semplicemente ammirato, ma come un impegno ad identifi- carci con Lui. Poiché, se Lui è il Primogenito, vuol dire che devono esistere altri che partecipino in qualche modo della sua stessa forma e della sua stessa natura.
Pochissimi si decidono a scomparire perché in loro appaia la vita di Dio. Manca questa oblazione al Padre, come la fece Gesù, per accogliere nel proprio seno il Figlio di Dio. Noi vogliamo essere innanzi tutto noi stessi; Dio ha forse il secondo posto. Bisogna tener presente questa verità fonda- mentale: finché non avremo immolato questa “priorità personale” in tutte le sue forme, l’epifania di Dio non si realizzerà in noi. Una convinzione profonda deve sconvolgere tutti i “centri”, intorno ai quali ha girato l’antica vita, per “centrarsi” in Colui che è, fu e sarà il centro della creazione intera: il Dio umanato.
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JOSÉ BARRIUSO
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